venerdì 1 giugno 2012

Una sinfonia in salita. La «Nona» di Beethoven al Teatro alla Scala per la Giornata mondiale delle famiglie (Filotei)


La «Nona» di Beethoven al Teatro alla Scala per la Giornata mondiale delle famiglie


Una sinfonia in salita


di Marcello Filotei


La Nona sinfonia di Beethoven è tutta in salita. L'Inno alla gioia è il panorama che si gode dalla vetta. Prima però bisogna pedalare parecchio e questa volta tocca a Daniel Barenboim, alla guida di Orchestra e Coro del Teatro alla Scala e di solisti di livello. Toccherà a loro riempire quelle «quinte vuote» che, come spiegava Benedetto XVI in un discorso del 27 ottobre 2007, all'inizio del primo movimento restituiscono «il vuoto interno di chi dalla sordità era stato spinto nell'isolamento».
Poche note bastano a Beethoven per descrivere il suo dramma esistenziale, si sente solo, tradito, incompreso, ma non si compiace del dolore, non è un romantico. Trova rifugio temporaneamente nell'eloquenza del primo movimento, richiamando un individualismo assoluto sperimentato nella Terza e nella Quinta. Ma ormai quella visione è superata, non esistono più eroi. Il balzo nella fantasia dello Scherzo è un sollievo da poco: il balsamo allevia il dolore ma non intacca la sofferenza. Finalmente l'Adagio riconduce la carica dei temi universali nell'ambito delle confessioni personali, un processo di maturazione che trova nella religiosità e nel moralismo kantiano le possibili ancore di salvezza. Eccolo dunque il finale, appello corale all'umana fratellanza: una speranza che nasce dal passaggio nella più desolata solitudine, la necessità dell'ottimismo direttamente dedotta dalla disperazione.
Ma la salita è dura e l'uomo è solo. Il mito rivoluzionario di Napoleone si è già infranto nella dittatura, Vienna idolatra Rossini ed esige disimpegno. Beethoven invece continua a porre interrogativi. Non sempre trova risposte. Procede per tentativi utilizzando le sonate per pianoforte come palestra di scrittura. Nell'ultima, l'opera 111, approda a una sorta di introduzione senza seguito che rimane sospesa. Sospesa come l'inizio della Nona, sospesa come un'opera che avviandosi a concludere è costretta a invocare l'uso della parola.
Un testo dunque. Ma quale? Su questo Beethoven non ha avuto dubbi: l'Inno alla gioia di Schiller gli frullava in testa da decenni. Nel 1808 aveva sperimentato l'introduzione del coro nella Fantasia opera 80, ora per primo inseriva il testo in una sinfonia, decretando l'insufficienza espressiva del suono. Mahler gli era debitore e lo sapeva. Schiller, invece, non avrebbe mai sperato di entrare nella storia con un incipit nemmeno troppo riuscito, ma perfetto per rompere per sempre il silenzio in una sinfonia: «Amici, non queste note, intoniamone altre, più grate, più gioiose». Ma a chi affidare l'esortazione? Non certo al coro, più adatto a sostenere il ruolo degli «amici» da convincere a intonare «note più grate» che a quello dell'esortatore. Ci vuole un solista: la fortuna ha arriso ai baritoni che a ogni esecuzione della Nona tornano a infrangere il muro del suono. Poi il quartetto si ricompone con l'ingresso di tenore, soprano e contralto.
La via è segnata il coro prima accenna qualche intervento, poi prorompe inesorabilmente. Niente più sarà come prima: «Gioia bella scintilla degli dei, figlia di Elisio, ebbri e ardenti noi entriamo, creatura celeste, nel tuo santuario! Abbracciatevi moltitudini! Un bacio al mondo intero! Fratelli! Oltre il firmamento deve abitare un Padre amato».
Perfetto. Ma Beethoven non lo sentirà mai. Quando sale sul podio per la prima esecuzione, il 7 maggio del 1824, è completamente sordo. Muove il braccio e pensa di dirigere, ma non è del tutto vero. Il maestro di cappella Umlauf impartisce discretamente ordini a orchestra e coro da una postazione defilata. La musica finisce, il pubblico è in delirio. L'autore continua a dirigere. Una cantante gli tocca la spalla e lo invita a voltarsi verso la sala. Applausi scroscianti, molti per lui, pochi per la Nona, che semmai suscita sconcerto.
I critici che si rispettano sono sempre qualche decennio indietro e sollevano riserve. Ancora non sanno che le quinte non sono più «vuote», che il cammino ha avuto un suo approdo. Ma che fatica. Chi ascolta la Nona e alla fine non è stremato non ha fatto la salita.


(©L'Osservatore Romano 1° giugno 2012)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Torno ora da piazza Duomo imbandierata, mi sembra, però, di non aver visto quella della Santa Sede, magari ero in una posizione poco favorevole. Di fronte a Palazzo Marino e alla Scala non ho notato.
Alessia

Raffaella ha detto...

Ciao carissima,
scommetto che non hai guardato in alto :-)

http://milano.repubblica.it/cronaca/2012/06/01/foto/la_bandiera_del_vaticano_sulla_madonnina-36341932/1/

Anonimo ha detto...

Che tontolona!. In effetti sino alla "Bela Madunina" non ci sono arrivata. Sai cara, la cervicale ... :-))
Alessia

Raffaella ha detto...

Beh, non e' facile vedere la Madunina dalla Piazza. Forse si vede meglio dalla Rinascente. Speriamo che qualcuno scatti le foto da lassu' :-)
R.