Intervista all'arcivescovo anglicano Jackson dopo il Congresso eucaristico di Dublino
La responsabilità di camminare insieme
dal nostro inviato Mary Nolan
«Attraverso ogni battezzato la Chiesa viene modellata come comunità di partecipazione. Il battesimo permette alle diverse comunità cristiane di non vivere semplicemente in parallelo, bensì in maniera condivisa, “congiunte nel fine missionario di Dio”. Il ministero e la missione di Dio, nella Chiesa, per il mondo, sono responsabilità di tutto il popolo di Dio». È quanto ha affermato il reverendo Michael Jackson, arcivescovo anglicano di Dublin and Glendalough, durante la liturgia della Parola e dell'acqua presieduta nella giornata del Congresso eucaristico internazionale di Dublino dedicata all'ecumenismo. Al termine del Congresso, l'arcivescovo Michael Jackson, in questa intervista rilasciata al nostro giornale, si è soffermato sui rapporti tra anglicani e cattolici.
Nel corso di una recente conferenza stampa, lei ha dichiarato che le relazioni tra le Chiese sono ora «piuttosto naturali» e non sono più un momento in cui i leader «s'incontrano e vengono fotografati insieme» come fosse un evento straordinario. Cosa è cambiato?
I fedeli delle nostre Chiese hanno raggiunto la certezza di condividere sia la fede sia il culto a un livello profondo. Ciò è nato grazie alla Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, fedelmente osservata anno dopo anno, ed è cresciuto andando anche oltre. Questo significa che il popolo di Dio, che costituisce la Chiesa, ne è l'ambasciatore nel mondo, non ha bisogno che i leader vengano fotografati insieme per dare identità e vitalità alla naturalezza dello stare insieme. Sotto molti aspetti sono loro a guidare noi, e il rapporto tra i leader e il popolo ci porta ben oltre dove potremmo andare da soli. Ritengo che questo avvenga ormai da una ventina d'anni. Le persone sono molto più a proprio agio quando si tratta di trovarsi insieme gli uni con gli altri, rispettando le differenze. In Irlanda la gente ha sempre superato i confini dell'appartenenza religiosa in famiglia, sebbene le istituzioni non l'abbiano aiutata molto. Le organizzazioni di assistenza sociale laiche e inter-denominazionali hanno favorito l'apertura di nuovi cammini. L'Irlanda continua inoltre a essere un Paese di comunità locali, e quindi le persone conoscono e beneficiano dell'amicizia reciproca e partecipano ai dispiaceri e ai bisogni altrui.
In cosa ha contribuito al cammino ecumenico in Irlanda il Congresso appena concluso?
Direi che certamente ha contribuito molto. La generosità dimostrata dall'arcivescovo Martin, dai laici e dal clero nei nostri confronti è stata eccezionale. Abbiamo avuto la possibilità di partecipare come volontari, come oratori, agli eventi per i giovani e ai workshop. Sotto molti aspetti, il Congresso eucaristico internazionale è diventato un festival del cristianesimo, e non lo dico con superficialità o trionfalismo. Tutti conosciamo le pene e le scandalose ferite causate e imposte alle persone all'interno della Chiesa da parte di alcuni suoi membri, e non ci si è sottratti neanche a questo bisogno di realismo. Il cammino che ha toccato sette chiese del centro cittadino comprendeva quella di St Anne a Dawson Street, che è una chiesa parrocchiale del XVIII secolo nella tradizione della Chiesa d'Irlanda. Anche questo ci ha coinvolti. Mi risulta che, fino a sabato 16, la chiesa sia stata visitata da 19.500 persone quasi come parte di un pellegrinaggio. La preghiera nella Christ church cathedral ha visto la presenza di un numero considerevole di partecipanti al Congresso eucaristico internazionale.
Qual è la sua impressione sulla cerimonia di chiusura?
C'è stato un forte senso di partecipazione. Per me è stata la prima celebrazione con una folla così grande: mi pare che fossero oltre 75.000 persone. È importante la sicurezza nel celebrare all'aperto e permettere al mondo intero di partecipare a tutto ciò attraverso la televisione e la radio.
Qual è in sintesi la sua esperienza del Congresso?
Il Congresso ha permesso alla gente comune di gioire insieme per essere figli di Dio. Potremo così tutti pensare ecumenicamente in maniera devota. Offre molte opportunità alle persone per continuare a impegnarsi, non ultimo nell'ambito dell'amicizia tra i giovani e nella condivisione delle questioni.
(©L'Osservatore Romano 20 giugno 2012)
Nessun commento:
Posta un commento