domenica 13 maggio 2012

Una Chiesa che si riconosce nella gratuità. Il Papa ad Arezzo per confermare l'eredità del patrono san Donato (Fontana)


Il Papa ad Arezzo per confermare l'eredità del patrono san Donato


Una Chiesa che si riconosce nella gratuità


di Federico Fontana*


«Pietro viene a trovare Donato», come in mille modi abbiamo ripetuto a ogni aggregazione della nostra bella e vasta Chiesa di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, in questi tre mesi dalla pubblicazione della straordinaria notizia che il Papa avrebbe compiuto una visita pastorale da noi. C'è un entusiasmo che perfino commuove. Tutte le parrocchie, anche le più piccole, hanno risposto. I fedeli, anche dai paesi più lontani dal centro diocesi, si riuniranno sul prato dietro il duomo attorno al Papa, per essere con lui e con i vescovi di tutta la Toscana, attorno a Gesù.
Come facemmo a Palermo con le varie Chiese d'Italia, ogni parrocchia arriverà all'appuntamento in cattedrale, sub cruce, recitando i salmi ascensionali, pregando e cantando. In ogni comunità in questi giorni i parroci hanno invitato i fedeli al sacramento della riconciliazione. Speciali preghiere abbiamo chiesto alle monache di clausura, agli ammalati, ai bambini. Sappiamo bene che ben altra portata ha necessariamente il convito escatologico di Isaia 25, rispetto alla liturgia, con la quale la comunità cristiana anticipa quello straordinario evento risolutivo della storia. Sappiamo anche che tocca alla Chiesa, con la sobrietà che alterna i momenti forti alla ferialità quotidiana, di scegliere talvolta la visibilità, perché i piccoli possano sperimentare la nozione di popolo di Dio in cammino, come una realtà tangibile; i poveri possano sentirsi confortati dall'impegno dei fratelli.
Questi mesi sono stati l'occasione propizia per una catechesi intensa sulla Chiesa, sul munus petrinum, sulla collegialità, sulla sollecitudine per tutte le Chiese che compete ai vescovi. La Lumen gentium viene riletta in tutte le nostre comunità, avvalendosi del mese di maggio. Ragionare su Pietro non è mai superfluo, giacché in questa società secolarizzata vi è anche chi non sa che il Papa è il successore di san Pietro nella Sede Romana, cioè nel ruolo di guida e di riferimento per la Chiesa universale. Come l'apostolo a cui Cristo affidò le chiavi, ciascun Romano Pontefice ha il compito di favorire in ogni modo la comunione tra le Chiese sparse nel mondo, la giustezza della dottrina e proporre al mondo intero la mediazione tra il Vangelo e la storia, che di volta in volta, laddove la Chiesa sa far bene la sua parte, si colora di santità.
Ragionare invece di san Donato in questa Arezzo all'inizio del terzo millennio è stata una bella occasione, anzi una sfida per avviare un dibattito costruttivo sulla nostra identità collettiva. È facile per me ricordare che Gregorio Magno già nel vi secolo diceva: «San Donato, ossia Arezzo», Donatus Arretii. Certamente il medio evo è finito, ma non posso fare a meno di ricordare che 257 Chiese nel mondo venerano con noi il secondo vescovo di questa Chiesa. Significa che lo pregano, lo invocano, cercano di seguirne l'esempio di santità, ma anche vengono a visitarne le spoglie mortali. Molto di più si potrebbe fare se, a cominciare da noi, decidessimo di essere pronti ad accogliere i pellegrini di san Donato, che già ora provengono a frotte da varie parti del mondo. Se così già siamo, è facile immaginare quale riflessione, quale proposta pastorale possa nascere da una ripresa del culto di san Donato, per recuperare in questi tempi difficili l'identità del prete e del vescovo. Ridire a tutti che l'ideale del ministro di Dio è un atto d'amore, che coinvolge tutta la vita è certamente utile per noi sacerdoti, ma anche per il resto del mondo.
Chiederci se questa città si riconosce nella generosità del dono, nell'amabilità di essere solidali gli uni con gli altri, nella grandezza di non guardare a sé, ma al bene comune, mi pare già un buon argomento su cui chiamare tutte le differenze culturali che arricchiscono il nostro stare insieme a un proficuo dialogo. Mi piacerebbe per esempio ragionare in questa città dove perfino la Madonna faceva ponti -- è il nome antico del nostro ospedale --, dove la misericordia cessò presto di essere una virtù intellettuale per diventare storia cristiana vissuta, dove ancora oggi i nomi di Aliotti, Thevenin, Severi, Fossombroni, soprattutto Fraternita e tanti altri, dicono ancora servizi sociali e assistenza fatti tutti, esplicitamente o meno, a onore di Dio e per il bene dei poveri. Credo che domandarci ancora oggi quanto questa città sia davvero solidale nella sua identità più profonda, nel sentimento della nostra gente, nella vita di ogni giorno, è un argomento non da poco e non solo di Chiesa.
Forse qualcuno si sarà chiesto come mai il gotico del nostro duomo, o i palazzi medioevali aretini, facevano descrivere Arezzo dai viaggiatori ottocenteschi, come la città di pietra e di ferro, a connotare anche negli attributi architettonici un'asciuttezza assai più nordica che toscana, come si addice a una patria ghibellina. Arezzo fu in antico in grandi relazioni con il resto d'Europa, talché perfino il vescovo di questa Chiesa fu annoverato per secoli tra gli elettori dell'imperatore germanico. Uomini di calibro europeo furono gli artisti di questa terra, coraggiosi viaggiatori nel mondo allora conosciuto. Più tardi -- Andrea Cesalpino in testa -- gli aretini amarono confrontarsi con la scienza dotta delle più significative università del Continente. Quando si annota che sessantaduemila persone nate altrove hanno ricevuto un'inclusione sociale decente tra noi, è come dire che v'è una costante che soggiace persino alle politiche e ci fa non esser mai secondi, quando si ragiona di umanità. Più che l'usurata battuta sulla natura polemica della nostra gente, mi piace ricordare che il popolo di san Donato, parla, sì, e giudica con libertà, ma non è meno amante della coerenza e della concretezza di quanto lo sia dell'esprimersi libero e senza timori. Questo non è un popolo di cortigiani, ma di amanti del diritto, come Francesco Redi, della famiglia della nostra santa carmelitana del Settecento e come da ultimo, all'interno della Chiesa, il grande giurista Raffaello Funghini, arcivescovo e presidente della Corte d'Appello dello Stato della Città del Vaticano, dopo aver lavorato per anni al servizio per la Rota Romana ed esserne stato Decano.
La venuta di Benedetto XVI è un'occasione per guardarsi allo specchio, non già perché ci interessi fare bella figura con gli altri, ma per interrogarci sostanzialmente se ci piaciamo come siamo e cosa possiamo fare per diventare migliori. È un appuntamento anche questo con la storia e mi piace pensare che il benevolo lettore, di manzoniana memoria, abbia voglia di raccogliere queste poche considerazioni che potrebbero giovare al bene comune. Grazie Papa Benedetto di venire a trovarci: tutto questo e molto altro sono frutti di gran pregio che l'appuntamento del 13 maggio porta a questa antica e bellissima Chiesa diocesana.


*Arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro


(©L'Osservatore Romano 13 maggio 2012) 

1 commento:

Andrea ha detto...

L'arcivescovo mons. Fontana: ".. ciascun Romano Pontefice ha il compito di favorire in ogni modo la comunione tra le Chiese sparse nel mondo, la giustezza della dottrina e proporre al mondo la mediazione tra il Vangelo e la storia (Storia?).."

Il Concilio Vaticano II: " Il Papa, vescovo di Roma e successore di san Pietro, “ è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli” [Lumen gentium, 22]. “Infatti il romano Pontefice, in virtù del suo ufficio di vicario di Cristo e di pastore di tutta la Chiesa, ha sulla Chiesa la potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente” [Lumen gentium, 22] "