lunedì 21 maggio 2012

Divulgazione di lettere riservate. Si crea così un'opinione «pubblicata» anziché pubblica (Gagliarducci)

Si crea così un'opinione «pubblicata» anziché pubblica


ANDREA GAGLIARDUCCI

«Penso ci sia un diritto di cronaca». 
Gianluigi Nuzzi risponde così, sulla sua bacheca Facebook, ad un lettore che lo accusa di voler infangare il direttore dell'Osservatore Romano, Gian Maria Vian, come al tempo era stato infangato Dino Boffo. Oggetto del contendere, le anticipazioni dell'ultimo libro del giornalista, «Sua Santità» (Edizioni Chiarelettere), in cui c'è anche un fax che Boffo invia a Georg Gaenswein, segretario del Papa, per dirgli che ha saputo che sarebbe stato Vian a mandare la velina sulla condanna per molestie che innescò l'affaire Boffo. Il libro è una raccolta di missive destinate a Benedetto XVI. Carte nelle quali si trova di tutto, dall'affare Boffo al caso Orlandi. Ma se è vero che c'è un diritto di cronaca, ci sono altre domande cui rispondere: quanto pubblicare acriticamente le missive rappresenta una notizia? E quanto un giornalista viene strumentalizzato quando gli viene fornita una mole di documenti che tra l'altro è solo una parte della realtà che si va a descrivere?
Sono problemi che vanno molto al di là della macchina del fango vaticana, e che rappresentano l'eterno scacco del giornalista. Il quale scrive perché ha qualcuno che gli parla e passa le informazioni. Ma che deve anche imparare a discernere quali di queste informazioni siano reali e complete. Posto che nessuna scrittura è completamente oggettiva, il rischio per ogni giornalista è quello di perdere di vista la ricerca dell'obiettività.
La premessa non nasconde quanto accade ogni giorno dentro le Sacre Stanze. Dove ogni mattina sulla scrivania del Papa arrivano dossier di ogni tipo. Dossier che vengono poi passati alla Segreteria di Stato, che li timbra e li archivia. Tutti. Quelli più veritieri e quelli meno veritieri. Quelli plausibili e quelli implausibili. Come il complotto di morte ai danni di Benedetto XVI, una carta portata al Papa dal cardinal Darìo Castrillòn Hoyos il 16 gennaio scorso. Prima, nella trasmissione di Gianluigi Nuzzi «Gli Intoccabili», erano state mostrate le lettere private che Carlo Maria Viganò, allora numero due del governatorato vaticano, aveva inviato al Papa e Bertone denunciando la «corruzione» in Vaticano e scongiurando la sua partenza verso la nunziatura di Washington. Sono evidentemente due filoni da cui fuoriescono le carte del Vaticano, e quello di Nuzzi sembra avere un particolare interesse a destrutturare l'interno ambiente della Curia di Benedetto XVI. Nel momento in cui tutte le accuse dirette al Papa - da quella di essere antimoderno a quella di aver coperto la pedofilia - si sono rivelate infondate, si punta sulle divisioni di un ambiente - quello curiale - che da sempre non vive solo di Spirito Santo, ma anche di aspirazioni di carriera, delazioni, sgomitamenti. Poco commendevole, forse, ma molto, molto umano.
Ma la pubblicazione dei documenti - che pure un usciere ben innescato può far uscire dalla Città Leonina - senza una conoscenza vera di quello che è il Vaticano (a partire dal suo linguaggio, del tutto peculiare), senza un racconto a 360 gradi, diventano solo gossip da dare in pasto alla curiosità morbosa del lettore. Il cardinal Bertone - in un documento preliminare all'incontro periodico con i capi dicastero - «lo ha chiamato pettegolezzo minuto», stigmatizzando la fuoriuscita di documenti. Una fuoriuscita che è stata un vero gioco al massacro. Nuzzi segue il filone che aveva inaugurato con «Vaticano Spa»: anche lì documenti riservati - ma decontestualizzati, e raccontati con varie imprecisioni e sviste, tra cui quella evidente anche ad un profano di citare la giornalista del Messaggero, Franca Giansoldati, come Gianfranca Giansoldati - e che aveva proseguito nella sua trasmissione su La7. La trama, piena di imprecisioni, è ormai scontata: l'oggetto indiretto e diretto delle critiche sembra sempre essere il cardinal Bertone, segretario di Stato vaticano, il cui posto evidentemente fa gola a molti.
Si dice che il gossip venda di più e questo ha portato i retroscena a prendere gradualmente il posto delle notizie. Eppure, i dati raccontano anche di lettori diversi. Una analisi condotta da Perfect Market ha analizzato15 milioni di articoli pubblicati in estate su 21 siti, scoprendo che gli articoli più «profittevoli» sono quelli legati a temi sociali e di pubblica utilità, articoli che affrontano problemi quotidiani con cui tutti noi ci confrontiamo nella vita reale, dalla disoccupazione alle rate del mutuo. Ed è stata Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti le cui bozze sono approvate in Segreteria di Stato, a lanciare l'allarme in tempi non sospetti. Nel numero dello scorso 17 marzo, in un articolo intitolato «Giornalismo Responsabile», Francesco Occhetta metteva in luce la genesi del rapporto tra giornali e nascita dello stato dopo la II guerra mondiale. Un giornalismo che si è sviluppato - scrive il padre gesuita - «senza una piena coscienza del proprio ruolo sociale», e questo ha trascinato via via i media ad essere considerati poco affidabili e poco obiettivi da circa la metà della popolazione. Perché? Una ragione la trovava addirittura Indro Montanelli nel dire che «il giornalista in Italia non si sente espressione della opinione pubblica, ma portavoce della sua fazione».
Forse è per questo che è sempre più difficile trovare notizie, verificate, di interesse pubblico e corrette, mentre si trovano pagine di commenti, di dichiarazioni, si leggono scoop veri e presunti, si trovano anche notizie costruite per creare una opinione «pubblicata» invece che pubblica, cioè condivisa. Ma questo evidentemente non basta ai lettori, cioè ai cittadini, che sempre più invece vanno sul Web alla ricerca delle «fonti dirette». Scriveva Occhetta: «Se in generale ai giornalisti italiani sono mancate le condizioni per essere liberi e indipendenti, diventare faziosi ed autoreferenziali sono state invece scelte precise».

© Copyright La Sicilia, 18 maggio 2012

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