domenica 11 novembre 2012

Card. Ravasi: Ci sono vescovi che non capiscono il latino (Vecchi)


Ravasi: «Ci sono vescovi che non capiscono il latino»

di Gian Guido Vecchi

«I giovani preti? Se è per questo pure diversi vescovi fanno fatica, anche all'ultimo sinodo un po' si rideva, molti hanno una difficoltà quasi strutturale a leggere e comprendere il latino, anche fra gli europei, e dico quello ecclesiastico che è molto più semplice della lingua di Cicerone...». 

Il cardinale Gianfranco Ravasi sorride con una punta di mestizia, come presidente del Consiglio della Cultura vaticano sarà lui a controllare la nuova «Pontificia Accademia di Latinità» (Pontificia Academia Latinitatis) che Benedetto XVI ha istituito ieri con un motu proprio nel quale scrive (in latino, ovvio) quanto sia «urgente» contrastare «il pericolo di una conoscenza sempre più superficiale». 
La Chiesa, aggiunge il Papa, è da duemila anni «custode e promotrice» del latino nel mondo.

Eminenza, il Papa parla dei seminari ma in generale dei giovani e del «vasto mondo della cultura». Quale sarà il ruolo dell'Accademia?

«Esistevano già delle istituzioni vaticane come la Latinitas, da ora estinta, però adesso si vuole rivedere tutta la questione in modo diverso. Anzitutto c'è un valore che si considera permanente dell'umanità: il latino — con il greco, naturalmente — è una delle matrici assolute della cultura europea e occidentale. Per questo il Santo Padre ha nominato presidente dell'Accademia un grande latinista come il professor Ivano Dionigi, rettore dell'università di Bologna. Non è solo un problema ecclesiale».

Quindi, come si muoverà?

«Prima di tutto ci si impegnerà nella diffusione della cultura latina alta e dei suoi contenuti, che sono inscindibili dalla conoscenza della lingua. Ogni traduzione è sempre una belle infidèle, come diceva Gilles Ménage, anche se è bella è infedele. Io, per dire, penso che Agostino perda la metà.
Pensi alle Confessioni, «Nondum amabam, et amare amabam... quaerebam quid amarem, amans amare...», ma come si fa?, è come tradurre Dante, Agostino sta dicendo che ancora non amava davvero perché non sapeva quale fosse l'oggetto del suo amore e c'è una bellezza musicale nella lingua, lui ne è un cultore raffinato, ci gioca. Così vogliamo recuperare tutto il grande patrimonio culturale latino, classico, patristico e medievale: per il mondo. L'Accademia si amplierà a livello internazionale, con diverse personalità laiche».

Benedetto XVI parla anche dei seminari...

«Certo, il secondo elemento è ad intra. Il latino è stato ed è la lingua ufficiale della Chiesa, in latino sono gli scritti dei Padri, i documenti della tradizione, i testi dei Concili, del magistero dei Papi, i libri liturgici... Ci vuole un impegno maggiore nei seminari, bisogna fare in modo che riescano a capirli!».

Come si è arrivati a questa situazione?

«Non è solo colpa della Chiesa, c'è un problema generale degli studi umanistici. Del resto una volta per studiare teologia nei seminari si doveva venire dal liceo classico e poi non è stato più così, i corsi integrativi non sono bastati, bisogna fare di più. Ma c'è un terzo livello...».

Quale?

«Il recupero del latino nella modernità. Oggi c'è il gusto di ritornare alla lingua, lo sa che in Finlandia esiste un quindicinale per ragazzi in latino? Perché il latino ha una funzione formativa.
L'inglese parlato — non dico quello alto — è una semplificazione, quasi un "twitteraggio" del pensiero. Mentre il latino ha una forte impronta razionale, la costruzione dei casi, i verbi, la consecutio temporum... Per questo lo si vuole riproporre ai giovani».

C'è chi farà l'equazione latino-Chiesa preconciliare...

«Lo so, purtroppo. Se si vuole c'è un recupero del passato e del suo patrimonio, ma non reazionario né sterile. La bellezza del latino non è alternativa o contrapposta alla Chiesa postconciliare. E poi mi piacerebbe sapere se quelli che partecipano ai riti latini sarebbero in grado di tradurmi gli inni di Sant'Ambrogio, così raffinati e complessi... Anche loro ne hanno bisogno!».

© Copyright Corriere della sera, 11 novembre 2012

7 commenti:

Anonimo ha detto...

"mi piacerebbe sapere se quelli che partecipano ai riti latini sarebbero in grado di tradurmi gli inni di Sant'Ambrogio, così raffinati e complessi". Strano e "non ad rem": mi sembra possibile di pregare in latino (anche con une messale con la traduzione) senza esser capace di tradure testi difficilissimi... Celebro ogni giorno la S. Messa (di Paolo VI) in latino, e questo cardinale non mi ispira fiducia.

Anonimo ha detto...

Condivido in pieno l'osservazione del Card. Ravasi. Io che vengo dai vecchi seminari, dove il latino era pane quotidiano, mi stupisco nel constatare che alcuni giovani preti sono attratti dall'antico rito e non sanno il latino! Ad uno di questi, un giorno, dissi questa frase: "bonum diffusivum sui" e lui mi ha risposto: "In che lingua parli?". Io ho replicato: "Prima di volere celebrare nel vetus ordo, dovresti conoscere il latino"...se ne andò confuso!

Anonimo ha detto...

Questa di don Ravasi è giusta! Non ti pare, cara Raffaella?

montmirail ha detto...

Si ok , tutto giusto , ma sembra di cogliere un certo sarcasmo per l'iniziativa del papa (tanto per cambiare). Ad essere cattivelli si potrebbe anche dire che ci sono molti fedeli che non capiscono un accidente di tante esegesi a la page , anche se in italiano.

Dante Pastorelli ha detto...

Se persino vescovi non conoscono il latino di chi la colpa?
Quanto alla comprensione del latino
da parte del popolo, ricordo che per secoli milioni di fedeli si sono santificati col venerando rito di S. Pio V, del quale non comprendevano le singole parole, ma che vivevano con la massima devozione, unendosi al sacerdote nell'offerta del Sacrificio, magari leggendo libretti di devozione o recitando silenziosamente il rosario. Pio XII nella Mediator Dei esplicitamente indica in queste forme di devozione uno dei modi fruttuosi di partecipare alla S. Messa. L'importante è sapere cosa fa il sacerdote: render presente Cristo sull'altare in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. E poi ricevere il Signore nel cuore dopo essersi confessati.
Vorrei sapere se l'anonimo ha mai chiesto ai fedeli Orientali se fossero in grado di capir il greco liturgico, lo slavone, ecc. ecc. ed ai musulmani l'arabo del Corano, ai buddisti il Pali, agl'induisti il sanscrito e via discorrendo.

Anonimo ha detto...

Come dire episcopi asini magni...il latino si studi e sia obbligatorio per chiunque acceda all'episcopato o al sacerdozio.

Anonimo ha detto...

«Il recupero del latino nella modernità. Oggi c'è il gusto di ritornare alla lingua, lo sa che in Finlandia esiste un quindicinale per ragazzi in latino? Perché il latino ha una funzione formativa.
L'inglese parlato — non dico quello alto — è una semplificazione, quasi un "twitteraggio" del pensiero. Mentre il latino ha una forte impronta razionale, la costruzione dei casi, i verbi, la consecutio temporum... Per questo lo si vuole riproporre ai giovani».



Ma il Ravasi che menziona i latino-virtuosi finlandesi, lo sa quanti casi ha il finlandese?

Il finlandese ha 15 casi, ad esempio:


SUFFISSO ESEMPIO

NOMINATIVO ---- talo
GENITIVO -n talon
ESSIVO -na talona
PARTITIVO -(t)a taloa
TRASLATIVO -ksi taloksi
INESSIVO -ssa talossa
ELATIVO -sta talosta
ILLATIVO -an, -en ecc. taloon
ADESSIVO -lla talolla
ABLATIVO -lta talolta
ALLATIVO -lle talolle
ABESSIVO -tta talotta
COMITATIVO -ne- taloineni
ISTRUTTIVO -n talon

vide :

http://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_finlandese#I_casi


(Ok, mettendo da parte le urro-finniche, lo sa il Cardinale che anche quelle slave ne hanno almeno tanti quanto il latino?)

(Ovvero: è anche questione di forma mentis grammaticale, ma non può essere ridotto solo tutto a questo..)