giovedì 24 maggio 2012

C'è una risposta alla crisi dell'Occidente. Benedetto XVI la indica nel ''dono prezioso'' della fede (Sir)


CRISI DELL'OCCIDENTE


C'è una risposta


Benedetto XVI la indica nel ''dono prezioso'' della fede


Sir


La fede è stata ancora un volta il cuore del discorso del Papa all’assemblea generale dei vescovi italiani. Perché “il nostro primo, vero e unico compito rimane quello di impegnare la vita per ciò che vale e permane, per ciò che è realmente affidabile, necessario e ultimo”. Ritorna, il Papa, sull’Anno della fede, che si aprirà il prossimo 11 ottobre. E ci ritorna ripercorrendo il Concilio, cinquant’anni dopo e l’impulso alla nuova evangelizzazione, “per riscoprire e riaccogliere questo dono prezioso che è la fede, per conoscere in modo più profondo le verità che sono la linfa della nostra vita, per condurre l’uomo d’oggi, spesso distratto, a un rinnovato incontro con Gesù Cristo ‘via, verità e vita’”.
Il dinamismo del Concilio, quella ribadita “ermeneutica della continuità e della riforma” è sempre attuale, è sempre decisivo. Si fa azione pastorale, impegno a tutto campo. 
Certo l’impegno è arduo, di fronte al “deserto” che sembra configurarsi proprio qui in Occidente, dove sembrano venire meno molti elementi connettivi del tessuto culturale, morale e anche ecclesiale. L’analisi di Benedetto XVI è preoccupata, quando constata che “passa da questo abbandono, da questa mancata apertura al Trascendente, il cuore della crisi che ferisce l’Europa, che è crisi spirituale e morale: l’uomo pretende di avere un’identità compiuta semplicemente in se stesso”. Eppure il Papa ribadisce con convinzione che “la Chiesa può offrire una risposta significativa alle grandi trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo, che hanno conseguenze visibili anche sulla dimensione religiosa”. È la forza del Regno di Dio, una realtà che ci trascende e che opera con efficacia.
“Dio – ripete il Papa – è il garante, non il concorrente, della nostra felicità, e dove entra il Vangelo – e quindi l’amicizia di Cristo – l’uomo sperimenta di essere oggetto di un amore che purifica, riscalda e rinnova, e rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore divino”.
Non a caso il Papa ha concluso il suo intervento con una preghiera allo Spirito Santo. Questo momento confuso e travagliato è il tempo del discernimento e dell’impegno. Per questo il riferimento al Concilio Vaticano II è importante e creativo. Perché permette di guardare il futuro con fiducia, con la semplicità e la certezza della fede.
Dopo aver parlato ai vescovi, Benedetto XVI sarà tra qualche giorno a Milano. È un appuntamento mondiale, ma che si tiene in Italia, l’incontro delle famiglie.
Dimostrerà come in concreto l’evangelizzazione, la nuova evangelizzazione può contare sulla concretezza della vita, sulla testimonianza di “persone adulte nella fede perché hanno incontrato Gesù Cristo, che è diventato il riferimento fondamentale della loro vita; persone che lo conoscono perché lo amano e lo amano perché l’hanno conosciuto; persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di vita”. Che è un programma, ma anche una realtà da sostenere e da sviluppare, in tutto.


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1 commento:

Anonimo ha detto...

Dopo aver letto le venerate parole del Santo Padre mi sono chiesto: perché il Papa torna a ripetere per l'ennesima volta, con rinnovata insistenza e con toni che non possono non dirsi drammatici una diagnosi già mille volte enunciata (da Lui e dal suo Predecessore), che ormai conosciamo a memoria?

Poi ho considerato, insieme a quella abituale diagnosi, l'esortazione altrettanto insistita e forte a ritrovare la Fede.

A questo punto credo di aver colto una chiave di lettura che spiega la "ripetitività", anche se è sconvolgente. Ma è oggettiva perché deriva da un fatto: il Papa si è rivolto all'episcopato italiano.

E' di una gravità inaudita che Benedetto XVI avverta la necessità di rivolgere insistentemente quella esortazione semplice ed "essenziale", insieme alla indicazione della generale apostasia, ai Vescovi. Avranno tenuto le orecchie aperte? Sapranno riappropriarsi del loro compito e delle loro responsabilità? E noi abbiamo capito che occorre pregare?