sabato 25 febbraio 2012

In Campidoglio il contributo degli istituti religiosi italiani alla costruzione del moderno welfare dello Stato. Intervento del card. Tarcisio Bertone

In Campidoglio il contributo degli istituti religiosi italiani alla costruzione del moderno welfare dello Stato

Nuove forme di socialità e di sviluppo sociale

Occorre leggere il passato sapendo che in esso sono sparsi semi di speranza per costruire nuovi laboratori di cittadinanza

Per carità e per giustizia. Il contributo degli istituti religiosi alla costruzione del welfare italiano (Padova, Fondazione Emanuela Zancan, 2011, pagine 383) è il titolo del volume presentato il 25 febbraio a Roma nella Sala della protomoteca del Campidoglio. Vi hanno preso parte il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, Elsa Fornero ministro italiano del Lavoro e delle Politiche sociali, il sindaco Gianni Alemanno, Marco Pomarici, presidente dell’Assemblea Comunale, il vescovo di Città di Castello, monsignor Domenico Cancian, in rappresentanza della Conferenza episcopale italiana, monsignor Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana, Emanuele Emmanuele presidente della Fondazione Roma, don Alberto Lorenzelli presidente della Conferenza italiana superiori maggiori, e suor Viviana Ballarin, presidente dell’Unione superiore maggiori italiane. Sullo Stato sociale il ministro Fornero ha detto che il Governo vuole disegnarlo su basi nuove. Il principio di equità per tutti — ha ricordato — s’ispira in qualche misura alla preoccupazione che ha animato l’azione dei religiosi e dei santi sociali: operare per carità e per giustizia al bene comune. Elsa Fornero ha poi sottolineato che anche oggi non si può prescindere dal contributo del mondo dei religiosi. Pubblichiamo quasi integralmente il discorso del segretario di Stato e stralci del saggio introduttivo del curatore del volume.

Tarcisio Bertone

L’idea di realizzare questa ricerca è nata durante il convegno dei religiosi svoltosi ad Assisi nell’ottobre del 2009, sul tema «Il Vangelo nelle opere di carità e nelle attività sociali dei Religiosi in Italia»; allora, in collaborazione con la Fondazione Emanuela Zancan, venne proposta una prima rilevazione delle opere socio-assistenziali e socio-sanitarie dipendenti da ordini e congregazioni religiose, con l’intento di interrogarsi su quanto tali iniziative avessero inciso effettivamente ed in profondità nella società civile.A partire da tale analisi, Cism e Usmi hanno voluto impegnarsi in un ulteriore approfondimento circa le iniziative caritative di questi centocinquant’anni, sorte su iniziativa di religiose e religiosi, in risposta ai bisogni spirituali e materiali dei poveri e degli indigenti. Così è stato realizzato questo volume.
Si tratta di un’opera storica documentata e minuziosa, volta a dare conto di una realtà storica non sufficientemente considerata. Ecco allora emergere un quadro assai dettagliato degli interventi e delle prestazioni inventate ex novo per mettere in pratica il Vangelo e dargli forma concreta; ecco delinearsi il modo in cui tali forme progressivamente si sono evolute, trasfondendosi nella legislazione sociale italiana. Viene così portata all’attenzione dell’opinione pubblica la storia del welfare italiano a partire dalle sue origini, ovvero il suo sorgere dal basso come risposta generosa alle necessità degli ultimi.
Per quale motivo è importante che oggi si racconti questa storia? A questa domanda vorrei rispondere con le parole di Papa Benedetto XVI, prese dall’enciclica Caritas in veritate: «Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità» (n° 1).
Mentre plaudo all’alto livello scientifico dell’opera, la mia ammirazione si estende al suo contenuto, all’illustrazione dei modi sempre nuovi in cui, in questi centocinquant’anni, le congregazioni religiose si sono poste alle frontiere del servizio della carità e dell’annuncio del Vangelo. L’assistenza domiciliare, gli oratori per la gioventù, la formazione professionale, le mense, le scuole popolari, le case-famiglia, i convitti per operai e operaie, le organizzazioni per la tutela sindacale e del lavoro minorile, il volontariato negli ospedali, gli asili infantili, i doposcuola, le scuole di lavoro, gli istituti di Magistero, i patronati, il sostegno ai migranti: sono queste le forme della carità suscitate dallo Spirito Santo nella Chiesa attraverso l’intelligenza e la generosità di tante donne e di tanti uomini dell’Italia unita.
Mossi dal solo desiderio di seguire il Signore Gesù e nulla anteponendogli, nel quotidiano esercizio delle virtù, essi hanno speso senza riserve la propria vita per i fratelli, dando spesso prova di santità. Non sono pochi, infatti, i santi “sociali” che hanno contribuito alla costruzione dell’Italia nel XIX e nel XX secolo. La storia d’Italia è ricca di figure così, note e meno note, di persone totalmente dedite a Dio e, proprio per questo, realmente vicine e fattivamente solidali con quanti, in un’epoca di grandi trasformazioni sociali e di povertà, ne subivano i disagi e vivevano in gravi ristrettezze. Dallo studio emerge anche come tale molteplicità di opere caritative sia venuta progressivamente cristallizzandosi, almeno in parte, in strutture di assistenza stabili, a cui l’istituzione statale ha sentito il dovere di provvedere in proprio, essendosi conseguito a livello diffuso nella società un certo benessere economico, che ha permesso alla collettività di farsi carico sempre più di tali incombenze.
È interessante notare come la presenza capillare di opere benefiche e caritative, sorte su iniziativa di istituzioni religiose, sia venuta a contribuire in modo significativo alla maturazione nella società di una nuova sensibilità rispetto all’adozione di politiche assistenziali, affinando l’esigenza e facendo crescere il bisogno di una maggiore giustizia sociale. Quello che era stato anticipato dagli istituti religiosi in forma di impegno volontario, con quella gratuità che da duemila anni è cifra della carità cristiana e della prassi della Chiesa, è stato assunto a modello nel processo di costituzione del moderno welfare ed è confluito così in quel patrimonio di umanità che oggi lo Stato garantisce attraverso il suo stato sociale.
Le celebrazioni giubilari per l’Unità d’Italia sono state perciò una preziosa occasione per iniziare una più approfondita analisi storica delle origini e dello sviluppo dello Stato sociale italiano e, in pari tempo, per far conoscere il volto luminoso della vita consacrata in Italia, di quello che è stato e continua a essere un importante contributo alla convivenza civica. L’instancabile impegno per la promozione e il riconoscimento della dignità di ogni uomo che è andato così delineandosi — e a cui ancora oggi concorrono i 22.000 religiosi e le 80.000 religiose presenti nel nostro Paese — è ben sintetizzato dal titolo di questo volume: Per carità e per giustizia. Soffermandosi su questo binomio, sulla relazione tra il necessario impegno per la giustizia e il servizio della carità, nella sua prima enciclica Papa Benedetto XVI riporta l’obiezione che fin dall’Ottocento veniva sollevata contro le attività caritative della Chiesa, e cioè che i poveri non hanno bisogno di opere di carità, ma di giustizia (cfr. Deus caritas est, 26). Nel cercare di dipanare questa obiezione, il Pontefice ricorda che il perseguimento della giustizia dev’essere la norma fondamentale dello Stato e che lo scopo di un giusto ordine sociale è di garantire a ciascuno, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la sua parte dei beni comuni (cfr. ibidem).
Spetta perciò alla politica, come suo compito centrale, perseguire il giusto ordine della società e dello Stato; e la giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. Da ciò comprendiamo anche l’importanza dell’impegno educativo, la necessità di formare delle coscienze capaci di riconoscere ciò che è giusto; e il Papa sviluppa il suo ragionamento proprio sottolineando il compito della fede di contribuire alla purificazione della ragione, così che ciò che è giusto possa essere riconosciuto e realizzato (cfr. ivi, 28). Ma, dopo aver argomentato la riflessione sulla giustizia, l’enciclica risponde alla suddetta obiezione spiegando che, pur ponendo tutto l’impegno alla realizzazione di una società davvero giusta, la carità sarà sempre necessaria. E conclude: «non c’è nessun ordinamento statale che possa rendere superfluo il servizio dell’amore» (ibidem).
La ricostruzione storica che emerge da questa ricerca non ha il senso di una esposizione museale su di un passato che non c’è più. Al contrario, essa ci richiama all’esercizio della carità, vuole far trasparire lo Spirito da cui tale storia era animata, così che possa continuare a pervadere la realtà degli oltre quindicimila servizi sociali e sanitari che la Chiesa attualmente continua a sostenere in Italia. Occorre leggere il passato sapendo che in esso sono disseminati semi di speranza per un nuovo domani, per impiantare nuove presenze a favore del popolo italiano. Avendo per fondamento questa testimonianza, è possibile delineare un progetto per il futuro. Nel far tesoro dell’esperienza di quanti vi hanno generato alla fede, portando in sé i germi profetici dei carismi dei vostri istituti, mettete a frutto questo dono per la costruzione di nuovi laboratori di cittadinanza, di nuove alleanze educative. Ritengo significativo che l’odierna presentazione non avvenga in una sede ecclesiastica, ma che sia stata scelta una sede politico-istituzionale, messa a disposizione dal Campidoglio; anche tale collocazione ci richiama visibilmente l’urgenza di mantenere una necessaria “confidenza” con la comunità civile, quasi a ribadire, se ce ne fosse bisogno, all’opinione pubblica italiana, che anche i religiosi sono parte del tessuto civico italiano.
La fedeltà a Dio e al carisma che ha orientato i vostri fondatori comporta innanzitutto un impegno concreto nella città degli uomini, in mezzo ai quali siete chiamati a operare; a tale riguardo vorrei richiamare il campo di lavoro che la Conferenza episcopale italiana, con il documento Educare alla vita buona del Vangelo, ha indicato come «l’emergenza educativa». L’intero decennio che stiamo vivendo, dedicato dai vescovi italiani proprio all’impegno nell’educare, ci chiama a intraprendere insieme, laici e religiosi, Stato e Chiesa, credenti e non credenti, nuovi cammini, nuove forme di socialità e di sviluppo sociale.
Volgiamo il nostro sguardo al futuro! Guardiamo attraverso la finestra che questo studio ha aperto sul bene profuso nella società italiana dai vostri fondatori e fondatrici, e a cui i loro figli e figlie spirituali hanno saputo dare continuità. Le ricerche storiche continueranno a leggere e scavare dentro la storia dei vostri istituti religiosi, in un passato ricco e benedetto da Dio, affinché voi, nell’attingere alle vostre sorgenti, possiate vivere in pienezza il presente, assecondando i disegni della Provvidenza divina e seguendo il soffio dello Spirito Santo, autore primario di ogni opera di carità.

(©L'Osservatore Romano 26 febbraio 2012)

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