martedì 15 maggio 2012

Il cardinale Amato: Santa Ildegarda di Bingen, esempio di virtù anche per i nostri giorni (R.V.)


Il cardinale Amato: Santa Ildegarda di Bingen, esempio di virtù anche per i nostri giorni


Il 10 maggio scorso, Benedetto XVI ha esteso alla Chiesa Universale il culto liturgico in onore di Santa Ildegarda di Bingen, monaca tedesca professa dell'Ordine di San Benedetto, vissuta nel XII secolo in Germania. Su questa figura femminile straordinaria, canonizzata de facto, Roberto Piermarini ha intervistato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi: 


R. - In realtà Ildegarda era considerata santa da secoli. Recentemente, lo stesso Papa Benedetto XVI aveva dedicato alla badessa renana due catechesi e aveva iniziato dicendo: «Anche in quei secoli della storia, che noi abitualmente chiamiamo Medioevo, diverse figure femminili spiccano per la santità della vita e la ricchezza dell'insegnamento. Oggi vorrei iniziare a presentarvi una di esse: santa Ildegarda di Bingen, vissuta in Germania nel XII secolo»?


D. - E allora: chi era Ildegarda di Bingen e perché questo riconoscimento ufficiale della sua santità?


R. - Diciamo subito che il caso di Ildegarda di Bingen è molto singolare almeno per due motivi. Il primo riguarda il momento storico particolare, in cui non si era ancora definitivamente concluso il passaggio dalla canonizzazione vescovile a quella pontificia. Di conseguenza i primi passi compiuti per la canonizzazione, subito dopo la morte della badessa renana (1179), risentono ancora di un clima di transizione. Il secondo motivo è dato dalla radicata e comune convinzione della santità di Ildegarda di Bingen, convinzione che non si è praticamente mai interrotta fino ai nostri giorni e che fa riferimento a una canonizzazione de facto della mistica renana, pur non essendo ella de iure mai stata proclamata santa. Le fonti biografiche; sia quelle coeve sia quelle successive alla morte, parlano chiaramente di lei come "sancta" o "beata". La convinzione della sua santità fu ulteriormente rafforzata dalla venerazione riservata alla sua tomba e alle sue reliquie, e anche dal culto liturgico a lei tributato, con l'approvazione delle autorità ecclesiastiche, non solo a Magonza, ma successivamente anche a Treviri, Spira e Limburg e in tutto l'Ordine Benedettino. In seguito, e fino ai nostri giorni, il suo nome si ritrova riportato sia nei martirologi locali, sia in quelli ufficiali della Chiesa Romana, e sempre accompagnato dall'appellativo di "santa". Inoltre, oltre ai tre papi, che avevano la chiara intenzione di procedere alla canonizzazione di Ildegarda di Bingen - e cioè Gregorio IX, Innocenzo IV e Giovanni XXII - non mancano sommi pontefici che la designano con l'appellativo di "santa", come Clemente XIII, Pio XII e, come abbiamo già visto, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Tale convinzione comune e generalizzata ha fatto ritenere implicitamente non necessaria o del tutto superflua oppure già acquisita una procedura specifica per la canonizzazione di Ildegarda di Bingen, comunemente ritenuta già canonizzata.


D. - Come si è proceduto per regolarizzare questa situazione?


R. - Benedetto XVI, constatando l'esistenza da tempo immemorabile di una solida e costante fama sanctitatis et miraculorum, ha proceduto alla cosiddetta canonizzazione equipollente, secondo la legislazione di Urbano VIII (1623-1644), in seguito definitivamente teorizzata da Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV (1740-1758). Nella canonizzazione equipollente «il Sommo Pontefice comanda che un Servo di Dio - che si trova nel possesso antico del culto e sulle cui virtù eroiche o martirio e miracoli è costante la comune dichiarazione di storici degni di fede [...] - venga onorato nella Chiesa universale con la recita dell'ufficio e la celebrazione della messa in qualche giorno particolare, senza alcuna sentenza formale definitiva, senza aver premesso alcun processo giuridico, senza aver compiuto le consuete cerimonie». Tale canonizzazione equipollente di Ildegarda di Bingen ha avuto luogo con la decisione di Papa Benedetto XVI, del 10 maggio 2012. Esempi di "canonizzazioni equipollenti" vengono elencati da Prospero Lambertini nel capitolo XLI del libro I del suo opus magnum. Egli cita, ad esempio, i casi dei santi Romualdo, Norberto, Bruno, Pietro Nolasco, Raimondo Nonnato, Giovanni Maria de Matha e Felice di Valois, Margherita regina di Scozia, Stefano re di Ungheria, Venceslao duca di Boemia, Gregorio VII e Gertrude la Grande.


D. - Cosa ci può dire della sua vita?


R. - Ildegarda di Bingen nacque nel 1098 a Bermersheim in una famiglia di nobil e ricchi possidenti terrieri. All'età di otto anni fu accettata in qualità di "oblata" nella clausura femminile agganciata alla badia benedettina di Disibodenberg, dove prese il velo intorno al 1115, emettendo quindi la sua professione monastica nelle mani del vescovo Ottone di Bamberga. Nel 1136, Ildegarda ormai trentottenne fu nominata "magistra", orientando la sua spiritualità sulla radice benedettina dell'equilibrio spirituale e della moderazione ascetica. Intorno al 1140 si intensificarono le sue esperienze mistiche e le sue visioni, descritte e interpretate poi con l'aiuto del monaco Volmar nello Scivias e negli altri suoi scritti. Nell'incertezza iniziale sull'origine e sul valore delle sue esperienze e visioni, ella si rivolse in cerca di consiglio, intorno al 1146, a Bernardo di Chiaravalle, da cui ebbe piena approvazione, e tra il novembre 1147 e il febbraio 1148, tramite il vescovo Enrico di Magonza e l'abate Kuno di Disibodenberg, al papa Eugenio III, allora a Treviri, dal quale ottenne praticamente una conferma pontificia delle sue visioni e dei suoi scritti. In seguito all'aumento numerico delle monache, dovuto soprattutto alla grande considerazione attribuita alla sua persona, e in presenza di alcuni contrasti con i vicini monaci benedettini di Disibodenberg, intorno al 1150 fu possibile a Ildegarda fondare, anche utilizzando i suoi beni familiari e il supporto economico della ricca famiglia von Stade, un proprio monastero sul Rupertsberg, alla confluenza del fiume Nahe con il Reno, nei pressi di Bingen, dove si trasferí insieme a venti monache, tutte di estrazione nobiliare. Nel 1165, sia a causa del grande numero di richieste di ingresso, sia soprattutto per permettere anche alle candidate non nobili di accedere alla vita monastica benedettina, Ildegarda fondò ad Eibingen, sulla riva opposta del Reno, un nuovo monastero, utilizzando e ristrutturando un vecchio edificio, già appartenuto agli agostiniani, e insediando in esso una priora per la comune amministrazione. Di entrambi i monasteri, del Rupertsberg e di Eibingen, ella rimase l'unica badessa: pur risiedendo normalmente a Rupertsberg, si recava due volte la settimana in barca al monastero di Eibingen per assicurare alle sue due fondazioni unità di indirizzo spirituale, di direzione amministrativa e di governo.


D. - Cosa dire della santità di Ildegarda?


R. - In Ildegarda esiste estrema consonanza tra i suoi insegnamenti e la sua vita reale. All'inizio della sua prima opera, lo Scivias, Ildegarda vede il timor di Dio come sommo ideale monastico secondo la Regula Benedicti. Al timor Domini si accompagnano le altre virtù, particolarmente importanti nella vita monastica, come l'umiltà, l'obbedienza, la castità, insieme alle colonne portanti di ogni credente, che sono la fede, la speranza e la carità. Dopo il timor Domini c'è la discretio, la moderazione, che non è frutto dello sforzo umano ma dell'aziohe divina nell'uomo: «Il parlare discreto consiste nel fatto che i monaci nelle principali consultazioni comuni si esprimano "modice ac breviter" e che nella loro convivenza fraterna si rivolgano vicendevolmente parole che vogliano essere comprese come espressioni di amore che siano orientate all'affetto fraterno». Come autrice degli scritti sulle sue visioni, come badessa della comunità di suore benedettine, come personalità di spicco in frequente contatto con i personaggi del suo tempo, ella divenne sempre più di dominio pubblico. Per cui tutti, consorelle e persone esterne, potevano verificare la coerenza tra le sue parole e i suoi comportamenti. Fu questa virtuosità concreta che spinse Teodorico di Echternach a comporre la Vita Sanctae Hildegardis, che fu stesa proprio con l'intenzione di rendere nota la vita esemplare e santa di Ildegarda. E in questa biografia appare il suo edificante atteggiamento anzitutto nel monastero, con le virtù della carità verso tutti, della verginità, dell'umiltà, della modestia, del silenzio, della pazienza. Ella bruciava di carità e di zelo. In modo particolare ella praticò la virtù dell'umiltà, sperimentata non solo nelle forme e nei gradi dell'articolo 7 della Regola benedettina, ma anche nell'accettazione devota della debolezza fisica e della sofferenza, che la resero capace di ricevere i doni straordinari della grazia. Prima ancora che all'esterno, la sua vita era devota e gradita a Dio nel nascondimento prima del monastero di Disibodenberg e poi in quello proprio di Rupertsberg. Il benedettino Guiberto di Gembloux (1124-1214) in una lettera al suo amico Bovo esprime le sue impressioni su Ildegarda e le sue monache dicendo, tra l'altro, che nel monastero c'è una tale concentrazione di virtù, tra la madre che abbraccia le sue figlie con tanta carità e le figlie che si sottomettono alla madre con tanta riverenza, che a stento si riesce a discernere se in questo zelo reciproco sia la madre a superare le figlie o viceversa.

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