lunedì 7 maggio 2012

I quattrocento anni dell’Archivio Segreto Vaticano. Intervista con il cardinale bibliotecario Raffaele Farina (30Giorni)



I quattrocento anni dell’Archivio Segreto Vaticano – Lux in arcana


La propensione della Chiesa alla memoria


Intervista con il cardinale bibliotecario Raffaele Farina: perché la Chiesa ha sempre sentito il bisogno di conservare sistematicamente atti e documenti della sua attività


Intervista con il cardinale Raffaele Farina di Roberto Rotondo


Il transitus Domini, ovvero il passaggio che lega la Chiesa alla Tradizione e alle sue origini secondo una nota espressione di Paolo VI, è l’aspetto più importante ma anche il meno evidenziato dell’Archivio Segreto Vaticano. L’archivio centrale della Santa Sede, infatti, è molto più famoso per le sue dimensioni: creato quattrocento anni fa da papa Paolo V nella sede in cui è anche oggi e a cui si accede dal Cortile del Belvedere in Vaticano, raccoglie dodici secoli di storia in ottantacinque chilometri di scaffali. È uno dei centri di ricerche storiche più importanti e celebri al mondo, vi sono conservati milioni di documenti di cui moltissimi di valore storico inestimabile e, naturalmente, è in continua crescita. Per capire a che cosa serve e come si è formato l’Archivio dei papi, abbiamo rivolto alcune domande a Raffaele Farina, cardinale archivista dell’Archivio Segreto Vaticano e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Il cardinale bibliotecario è una specie di patrono della Biblioteca Apostolica Vaticana e dell’Archivio Segreto, mentre la gestione è affidata rispettivamente a due prefetti. Il cardinale Farina, salesiano, storico, esegeta, con una lunga esperienza anche come prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, ci riceve nel suo studio e, prima di iniziare l’intervista, ricorda con piacere il rapporto speciale che lega Benedetto XVI alla Biblioteca e all’Archivio: lo stesso papa Ratzinger, quando venne qui in visita nel 2007, raccontò che quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede chiese più di una volta a Giovanni Paolo II di essere nominato cardinale bibliotecario, e per un periodo fu anche convinto che quello sarebbe stato il suo futuro incarico, ma le cose andarono diversamente e in Biblioteca ci è andato da Papa.


Eminenza, l’Archivio Segreto ha quattrocento anni ma raccoglie documenti molto più antichi. Perché la Chiesa ha sempre sentito il bisogno di conservare atti e documenti della sua attività in modo così sistematico?


RAFFAELE FARINA: Fin dai primissimi tempi della Chiesa di Roma, come ricorda il Liber Pontificalis, i papi usarono custodire nel proprio “scrinium” (archivio) le gesta martyrum, i codici liturgici, le memorie delle consacrazioni episcopali, le donazioni compiute al vescovo di Roma e ai cristiani nei primi secoli. L’esigenza nasceva dalla necessità di tramandare memoria dell’azione della Chiesa nascente dopo le persecuzioni e dal bisogno “amministrativo” della Chiesa romana stessa, che naturalmente desiderava conoscere i testimoni della fede morti per Cristo (il migliore suo tesoro di fede) e l’azione dei pastori e dei fedeli nell’Urbe. Dal IV secolo in poi l’Archivio della Chiesa di Roma si arricchì di documenti, codici, libri provinciali, formule di giuramento, attestati di consacrazione di chiese o fondazioni di abbazie, papiri riguardanti la corrispondenza inoltrata ai pontefici dagli imperatori d’Oriente, prima, e d’Occidente, poi, e altri scritti pastorali e amministrativi, come ben dimostra il Liber diurnus Romanorum Pontificum, un antico codice formulario di cancelleria posseduto dall’Archivio Segreto Vaticano che risale alla fine dell’VIII secolo o all’inizio del IX secolo.


Quindi non era solo una necessità legata alle funzioni del papato specialmente all’esercizio del potere temporale...


Alle origini non vi è il potere temporale del papa, che iniziò soltanto con papa Adriano (772-795); vi era quindi una preoccupazione memorialistica, pastorale e amministrativa. Con la nascita dello Stato della Chiesa si aggiunse anche una preoccupazione di governo del Patrimonium Petri dipendente dal pontefice. La cosa più importante, come detto, è la propensione primaria della Chiesa a far memoria. Quasi istintiva, direi, alla cura e alla custodia di ciò che la collega alla sua origine. Anche il manoscritto anticamente veniva considerato una specie di reliquia.
L’Archivio ha avuto varie vicissitudini prima dello spostamento nell’attuale sede. La costituzione di un archivio centrale nel XVII secolo fu dovuta anche alle esigenze della nascente scienza archivistica?
Le ragioni che possono aver influito sono diverse. Resta il fatto che i pontefici del XVI e XVII secolo tentarono a più riprese di riunire in un solo luogo, ben vigilato, i documenti della Santa Sede: operarono in tal senso Paolo IV (1555-1559), san Pio V (1566-1572), Sisto V (1585-1590), Clemente VIII (1592-1605) senza riuscirvi per svariate ragioni. Vi riuscì invece Paolo V Borghese che all’inizio del 1612 fece confluire nelle sale attigue al Salone Sistino della Biblioteca Vaticana, abitate fino a quel tempo dal cardinal nipote, i nuclei documentari provenienti da diversi punti del Palazzo Apostolico e dal vecchio Archivio di Castel Sant’Angelo.


L’Archivio è anche stato definito un oceano, ma c’è un settore più importante degli altri?


Tutte le carte d’archivio sono equivalenti in sé stesse, perché tutte appartengono a un unicum che lega e tiene insieme le pratiche; valutare o svalutare qualcuna di esse significherebbe decretarne inevitabilmente la sua salvezza o il suo accantonamento. Questo negli archivi non si opera mai. Tutti gli scritti sono importanti e tutti hanno una loro ragione, che li vincola gli uni agli altri. Ciò non vuol dire che alcuni celebri atti della storia colpiscano più di altri la fantasia o la mente dello storico.


Che importanza ha oggi l’Archivio Segreto Vaticano per la Chiesa e il Papa? Che ruolo svolge?


L’Archivio Segreto Vaticano conserva gli atti dei pontefici romani e della loro Curia, praticamente senza soluzione di continuità, dall’XI secolo fino ad oggi. Da qui la sua ovvia importanza. Il ruolo dell’Archivio è prima di tutto “amministrativo”, in quanto serve all’azione del Pontefice e degli organismi della Curia romana per lo studio dei precedenti di questioni e situazioni. In questo senso l’Archivio serve principalmente e primariamente al Sommo Pontefice e alla Segreteria di Stato. Il suo ruolo è poi anche di custode della memoria della Santa Sede. L’Archivio riceve periodicamente i versamenti di parte degli archivi della Curia romana (fatte alcune eccezioni), così come l’abbondante materiale documentario delle varie rappresentanze pontificie nel mondo.


Non crede che l’attualità dell’Archivio dal punto di vista giornalistico sia anche la possibilità di approfondire la conoscenza delle strutture e del metodo di lavoro degli uffici vaticani? 


La corrispondenza diplomatica tra la Segreteria di Stato e i nunzi apostolici, al di là dei temi trattati, illumina nei più minuti dettagli un modo di pensare e agire che il succedersi degli anni e dei pontificati non ha sostanzialmente modificato…
Certo, ma c’è anche un altro aspetto che è poco studiato: la Chiesa, dalla fine delle persecuzioni, ha preso l’impronta della riforma dello Stato voluta da Diocleziano e da Costantino, sia nella divisione geografica in diocesi, sia nell’imitazione della cancelleria imperiale. A volte gli storici sottovalutano il fatto che le cancellerie avevano una loro politica e che su certi temi avevano anche un certo potere decisionale. Così per capire i comportamenti di alcuni papi del passato bisogna tener conto anche della Segreteria di Stato, della Curia.


Quante persone lavorano nell’Archivio?


L’ordinario governo dell’Archivio è affidato dal Pontefice al suo prefetto, che è coadiuvato dal viceprefetto, dal segretario generale, da archivisti, scrittori, addetti e impiegati ai vari livelli: in tutto cinquantaquattro persone. Un numero esiguo, se si confronta con il personale di altri archivi di Stato paragonabili in certo modo all’Archivio Segreto Vaticano. Si spera che in futuro tali forze possano aumentare, secondo le compatibilità di bilancio della Santa Sede, che per l’Archivio Segreto Vaticano e per la sua apertura gratuita agli studiosi di tutto il mondo investe già una rilevante somma.


Oggi quanto è importante per gli studiosi l’Archivio e quanto viene valorizzato? Quali sono le epoche storiche che vengono più consultate?


L’importanza dell’Archivio Segreto Vaticano per i solidi studi storici è ovvia. Quasi nessun saggio storico serio, tanto in Europa, quanto nelle parti del mondo in cui la Chiesa cattolica è stata presente, può ignorare l’Archivio Segreto Vaticano; e così accade nei fatti, perché al nostro Archivio ricorrono ogni anno più di duemila ricercatori da tutto il mondo. Le epoche più studiate oscillano secondo gli interessi storiografici del tempo: fino alla metà del Novecento prevaleva senza dubbio il Medioevo e l’Età moderna; dalla metà del Novecento e tanto più negli ultimi decenni è molto indagata anche l’epoca contemporanea, fino alla morte di Pio XI (febbraio 1939).


Quali sono stati i Papi di epoca moderna che hanno maggiormente valorizzato l’Archivio Segreto?


A mia conoscenza hanno valorizzato molto le fonti dell’Archivio per il loro magistero o per il loro governo ordinario Pio XI, Pio XII, il beato Giovanni XXIII (che si recò in visita più volte) e Paolo VI. Molta attenzione riserva all’Archivio l’attuale nostro pontefice Benedetto XVI.


L’Archivio Segreto Vaticano è tra i più accessibili al mondo eppure gode di un’immeritata fama secondo la quale è un luogo dove vengono nascosti chissà quali segreti e documenti scomodi per la Chiesa. Perché questo preconcetto che si concretizza nella richiesta pressante di aprire sempre nuovi settori e fondi?


Questa domanda mi è stata rivolta numerose volte, ma solo da persone che non sono addentro alle ricerche storiche o prive della reale conoscenza dell’Archivio. La favola di oscure trame che in esso si ordirebbero deriva dal suo nome: Archivio Segreto Vaticano. Quel «segreto», che dice semplicemente archivio «privato» (come era l’Archivio segreto degli Estensi, dei Gonzaga, degli Sforza eccetera) è letto nell’immaginazione popolare o di alcuni romanzieri come “misterioso”, oscuro. Forse nessun archivio al mondo è più “aperto” dell’Archivio Segreto Vaticano, che mette a disposizione dei ricercatori i suoi circa 630 fondi da più d’un secolo.


Oltre all’apertura alla consultazione dei documenti relativi al pontificato di Pio XII, quali altri progetti si prevedono nei prossimi anni?


I progetti sono tanti, ma i mezzi economici per attuarli piuttosto modesti, almeno per ora. In questi ultimi decenni, sotto la prefettura di monsignor Sergio Pagano, si sono realizzate tre nuove sale di studio, tre nuovi laboratori, si è passati alla fotografia digitale, alla informatizzazione di procedure amministrative, si sono incrementate di molto le collane di pubblicazioni dell’Archivio. Oltre a ciò, si vorrebbe nel futuro procedere alla informatizzazione delle domande di consultazione dei documenti e si vorrebbe incrementare la riproduzione digitale degli oltre duemila indici o inventari dell’Archivio. E forse altro ancora, con l’aiuto di Dio. Per ciò che concerne i documenti del pontificato di Pio XII, tornando alla sua domanda, è quasi sicuro che tra meno di due anni saranno disponibili.


Quanto i documenti conservati nell’Archivio e nella Biblioteca Apostolica Vaticana sono di aiuto per la Chiesa nell’affrontare i problemi attuali?


Questa è una domanda che fa riferimento alla teologia oltre che alla storia. Per esempio, durante il Concilio Vaticano II, per il tema della riforma liturgica, lo studio dei testi antichi conservati nella Biblioteca fu importantissimo. Venne sfatato anche il mito che il Medioevo fosse un’epoca buia, mentre, al contrario, dal punto di vista della liturgia e della pietà popolare, fu invece un’epoca ricchissima. In generale, penso che riscoprire le ricchezze della Tradizione nel corso dei secoli fa crescere la Chiesa. Un po’ come nella storia della nostra vita personale. Ciò che abbiamo fatto di bene non viene cancellato. Così è anche per la Chiesa. Rinnovamento è anche guardare indietro alla Chiesa antica come modello di riforma, alla Chiesa come Corpo di Cristo senza macchia e senza rughe. Conservare comporta anche un arricchimento.


© Copyright 30 Giorni, aprile 2012

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