venerdì 7 settembre 2012
Un continente stanco e in crisi d'identità che deve ritrovare il senso dell'assoluto. Intervista all'Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa monsignor Aldo Giordano (Bellizi)
Intervista all'Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa monsignor Aldo Giordano
Un continente stanco e in crisi d'identità che deve ritrovare il senso dell'assoluto
dal nostro inviato a Durazzo Marco Bellizi
«L'Europa non sa più bene quale sia il suo ruolo nel mondo», «si arrocca» in una prospettiva che in ottica storica è «perdente», «soffre una crisi d'identità culturale» ed è a volte «autolesionista», soprattutto quando la necessaria autocritica diventa «sgretolamento dei nostri valori» e «incapacità di cogliere la grande vocazione» del continente. E alcuni segnali che vengono anche dalle recenti sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo «mettono il sospetto che ci sia un percorso, magari a piccoli passi, verso un pericoloso liberismo etico». Sono questi alcuni dei passaggi chiave dell'intervista rilasciata al nostro giornale dall'Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa, monsignor Aldo Giordano, in occasione dell'incontro organizzato dallo stesso organismo europeo a Durazzo, intitolato «Taking responsibility for tomorrow's Europe: the role of young people in the religious dimension of intercultural dialogue». Monsignor Giordano si è anche soffermato sullo stato del dialogo interreligioso ed ecumenico. Le differenti visioni sui temi etici, all'interno delle confessioni cristiane, costituiscono «un grave problema ecumenico». Su questi argomenti la «riflessione comune» ha fatto ancora registrare «pochi passi avanti».
Qui a Durazzo si è fatto appello alle nuove generazioni affinché prendano in mano la costruzione dell'Europa del futuro, diventando veicoli di mutuo rispetto e collaborazione fra credenti di diverse fedi e fra credenti e non credenti. Si tratta di un naturale passaggio di consegne o è la denuncia di un fallimento dell'Europa?
Ho l'impressione che l'attenzione ai giovani nasca in parte da un problema, cioè dal renderci conto che la trasmissione dei valori alla nuova generazione in Occidente sia in un momento critico. Qualcosa si è rotto! Innanzi tutto i giovani sono segnati oggi da un nuovo mezzo di trasmissione dei valori, quello dei nuovi media, che costituiscono una storica evoluzione a livello sociale, paragonata da qualcuno a quelle della scoperta della scrittura e della stampa. È un mondo diverso e nuovo, un mondo che la generazione precedente fa fatica a comprendere, e a volte è un'incomprensione reciproca. A questo si aggiunge la complessità di dover vivere in un mondo di mobilitazione universale che crea un pluralismo indefinito a livello culturale, religioso, etnico. Ma la difficoltà più profonda probabilmente è culturale ed è eredità dei decenni passati, in particolare degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, che hanno visto una forte affermazione del secolarismo e un abbandono di punti di riferimento della tradizione. Anche se quest'epoca è passata a causa del ritorno attuale dell'interesse per il tema della religione e di una più avvertita coscienza che le società non possano esistere senza riferimenti fondanti, i giovani di oggi sono figli di genitori di quegli anni e sono forse la prima generazione in Occidente che sperimenta con ampiezza la rottura della trasmissione dei valori e che non fa riferimento a ciò che ha fondato la nostra tradizione. Nel mio intervento a Durazzo ho citato l'annuncio della morte di Dio nello spazio europeo di un pensatore come Nietzsche. Ma se Dio viene allontanato dall'orizzonte della storia e dell'esistenza delle persone, si spegne anche il sole della verità, del bene, del bello e dell'uno in termini assoluti. Non c'è più una sorgente unitaria a cui attingere e tutto diviene relativo alla libertà delle singole persone. La libertà di ognuno è all'origine del vero e del falso, del bene e del male... Ognuno può decidere. Al posto di un sole, una miriade anarchica di soli “soli”. Mi sembra che i nuovi media esprimano questa rete infinita di prospettive, dove ogni singolo è all'origine della comunicazione, dove sembra esserci molta libertà e protagonismo, ma dove c'è anche molta solitudine e assenza di senso. Nel nostro incontro è emerso l'appello ai giovani a essere fautori di pace e di dialogo, a essere promotori dei diritti dell'uomo e della democrazia, ma ciò che fatichiamo a fare è una riflessione seria sull'origine, sul fondamento, sui contenuti, sull'interpretazione, sul senso, di questi valori. Rischiamo di fare retorica, cioè di elencare dei valori, di dare dei nomi, ma di non sapere veramente quale contenuto dargli. Il dibattito che abbiamo avuto qui a Durazzo è stato molto interessante ma si vede la fatica che questo lavoro richiede.
Quello della solidarietà è uno di quei valori che tutti ritengono imprescindibili in ogni convivenza. Si può dire che l'Europa sia ancora un continente solidale?
L'Europa ha certo maturato una grande tradizione di solidarietà: basti pensare ai monasteri, agli ordini religiosi, ai missionari, alle opere sociali, al volontariato... I giovani europei sentono immediatamente l'esigenza della solidarietà, la avvertono quasi a livello emotivo e sono pronti a compromettersi. Essi hanno spontaneamente un orizzonte universale e vedono che il problema è quello della solidarietà verso le altre regioni del mondo davanti alle sfide della fame, della povertà, dell'acqua, delle risorse naturali, delle catastrofi... Sono convinto che l'Europa abbia quest'anima solidale e anche la coscienza che essa può esistere solo in rapporto agli altri continenti. Tuttavia le cose si complicano oggi per il fatto che l'Europa non sa più bene quale sia il suo ruolo nel mondo ed è costretta a cercare un riposizionamento nei confronti dell'Asia, della Cina, dell'India, dell'Africa, dell'America Latina e anche degli Stati Uniti. Cambia lo scenario geo-politico ed economico mondiale. Più in profondità ancora l'Europa diviene esitante nella solidarietà perché soffre anche una crisi d'identità culturale. A questo livello, a volte, anche nei dibattiti europei a cui partecipo, ho l'impressione che l'Europa sia autolesionista e si “faccia del male” da sola. Una capacità di autocritica è certo molto salutare, ma se questo diventa lo sgretolamento dei nostri valori, una messa in crisi della nostra identità, un'incapacità di cogliere la grande “vocazione” del nostro continente, rischiamo di diventare uno spazio piuttosto vuoto di idee e di proposte. Ed è ovvio che senza un'identità da donare non c'è grande possibilità di un dialogo autentico e che uno spazio vuoto viene presto occupato. La crisi d'identità culturale credo renda l'Europa più fragile riguardo alla solidarietà. C'è urgenza di persone capaci di cogliere la verità storica e di avere una “visione”. In particolare l'Europa potrebbe essere anche oggi protagonista nella “solidarietà delle idee”. L'Europa ha prodotto moltissimo nel campo dei saperi, della filosofia, del diritto, delle scienze, dell'arte, della tecnica, senza dimenticare la teologia. È vero che alle volte sono idee impazzite, ma non si può negare la ricchezza del nostro pensiero. Mi chiedo se in questo nuovo spazio globale della solidarietà, l'Europa non dovrebbe riscoprire la sua capacità di rimettere ordine alle proprie idee e condividere il pensare. Solo così essa sarebbe anche capace di attingere alle idee delle altre culture della terra.
Il tema della solidarietà richiama quello dell'unità. Crede che, sotto questo aspetto, si debba registrare un rallentamento della spinta propulsiva dell'Europa?
Da un lato, soprattutto se vediamo le cose a livello planetario, è chiaramente auspicabile che l'Europa trovi sempre di più delle strade di unificazione. Ogni passo di vera unità contribuisce infatti alla fraternità universale. Senza avere una voce “unita” cosa può dire l'Europa davanti alle enormi sfide mondiali delle crisi economica, energetica, ambientale, terroristica, interculturale...? Dall'altro lato, sembra che fatichiamo a trovare il metodo e il percorso di un'unità europea, perché essa è tipica, particolare. È un'unità di nazioni che sono fra loro molto diverse per storia, cultura, etnie. È significativo pensare alla grande diversità delle lingue. Un processo di unificazione che non valorizzi questa storia finirebbe con l'uniformare degli elementi e impoverire le diversità. È anche la mia esperienza presso le istituzioni europee: quando ci sono prese di posizione che non rispettano l'originalità dell'identità e della tradizione delle singole nazioni, viene a mancare il principio di sussidiarietà e nascono i problemi. L'Europa sembra allora diventare un corpo estraneo o anche ostile. Conciliare l'esigenza di unificazione con il rispetto dell'identità delle nazioni è una grande sfida dell'Europa. A volte credo che la stanchezza che sperimentiamo oggi sia anche legata a una volontà di autodifesa: si ha paura e ci si arrocca in una sorta di fortezza. In un'ottica storica credo sia una prospettiva perdente. Ancora una volta noi europei dovremmo domandarci se non sia il cristianesimo a contenere il segreto di un'unità che sia inveramento e non distruzione delle differenze, delle singole culture e tradizioni, dei singoli volti.
Da tempo il Consiglio d'Europa ha avviato una serie di incontri sulla dimensione religiosa del dialogo culturale. Oggi per i cristiani è più difficile il dialogo con i credenti di fede diversa dalla propria, di altre religioni, o con i non credenti?
Posso dare un'impressione personale. Se guardiamo ai cristiani dei Paesi dell'Europa dell'Ovest, credo che paradossalmente questi si trovino più a loro agio nel dialogo con i non credenti. Infatti siamo più preparati e abituati a questo dialogo. Veniamo da un lavoro culturale, da una riflessione filosofica e teologica che da sempre si è confrontata con la “non credenza”. Nei tempi della modernità abbiamo visto la secolarizzazione diventare secolarismo, fino alla affermazione dell'ateismo e del nichilismo e ci siamo confrontati seriamente con queste questioni e con i contemporanei che sostenevano la non esistenza di Dio. Invece il tema del confronto religioso come lo conosciamo oggi è una realtà fondamentalmente nuova per l'Occidente. Diversa è la situazione di Paesi dell'Europa orientale. Il rapporto con l'ebraismo è eccezione in quanto esso appartiene alle radici dell'Europa e agli inizi del cristianesimo. La novità è piuttosto il confronto con i musulmani e ancor più con i fedeli di religioni o filosofie del mondo asiatico. Quando lo spazio del mondo era molto esteso, i credenti delle diverse religioni abitavano anche più lontano fra loro e quindi l'urgenza del dialogo appariva meno. È il fatto che lo spazio del mondo si stia riducendo sempre più velocemente, con i media, le migrazioni, lo sviluppo tecnico, che ci ha portati a vivere vicini, nella stessa casa e a renderci così coscienti di quanto siamo “lontani”, nel senso di “diversi”. La novità è che oggi i musulmani abitano anche in Francia, in Germania, in Italia e in genere nei Paesi europei occidentali. Abbiamo meno esperienza, ed è una sfida anche più grande. Tuttavia, quando il dialogo viene avviato fra credenti di religioni diverse, troviamo la ricchezza degli strumenti comuni: abbiamo il riferimento comune alla fede, a Dio, alla trascendenza, ai valori. Però dobbiamo andare in profondità ed evitare i compromessi. In particolare dobbiamo avere il coraggio di sgretolarci di dosso i condizionamenti politici e ideologici che compromettono enormemente le cose. Se cadono le ideologie e le macchinazioni dei poteri, ci ritroviamo fra persone umane con i medesimi desideri di felicità e le medesime sofferenze e paure. L'incontro così inizia.
Una delle questioni principali nel rapporto con i credenti è quella legata alle differenti visioni circa il ruolo della religione nello spazio pubblico. Questo ruolo è sufficientemente garantito in Europa?
Questi spazi di dialogo che viviamo a livello europeo, come l'incontro a Durazzo, dimostrano che le istituzioni cominciano a riconoscere seriamente il ruolo delle religioni nello spazio pubblico. Dobbiamo però ammettere che c'è tanta ignoranza del vero contenuto delle religioni. Circolano molte maschere. Si capisce che la religione ha un'importanza perché determina la vita dei popoli e le culture, ma manca ancora una riflessione seria sul contenuto delle religioni e su quale è il contributo che una religione può dare all'Europa. Questa ignoranza dell'autentico contenuto delle religioni mi sembra una delle cause del permanere di forze e gruppi che usano ogni mezzo per relegare ideologicamente la religione nello spazio del privato. Anche se appare spesso molto militante, questa mi sembra una posizione già superata dalla storia. Mi auguro si facciano dei passi in avanti.
I reiterati interventi della Corte europea dei diritti dell'uomo sui temi etici possono fare pensare alla volontà di un restringimento dello spazio pubblico delle religioni?
Vedo dei segnali contraddittori. Da una parte noto una sensibilità maggiore per il principio della sussidiarietà, quindi per il principio del rispetto delle tradizioni, delle identità locali. La famosa sentenza sulla presenza del crocifisso nella scuola in Italia, per esempio, sembra aver chiarito che la Corte non ha competenza su ciò che determina l'identità e l'essenza di una nazione. Ogni paese ha il diritto e la libertà di autodeterminarsi e di scegliere come vuole essere. Il compito della Corte è di occuparsi dell'agire dei Paesi, non della loro essenza, e di garantire che questo agire rispetti i diritti dell'uomo. Dall'altra parte, alcune sentenze mettono il sospetto che ci sia un percorso, magari a piccoli passi, verso un pericoloso liberalismo etico. Siamo in un momento di confronto. Questo ci spinge a lavorare di più: a ragionare sulle cose, a essere competenti, a scrivere, a diffondere le idee, a creare cultura, a creare opinione pubblica. Sempre più notiamo persone sensibili a questi temi. È importante che i Paesi dell'intera Europa si sentano coinvolti in questa riflessione, perché un gruppo di Paesi non imponga la propria interpretazione dei diritti dell'uomo, forse ritenendola più moderna e avanzata!
Le differenti posizioni su alcuni temi etici da parte delle confessioni cristiane possono essere un ostacolo al dialogo ecumenico?
Anche qui ci sono due realtà. Da una parte troviamo una significativa collaborazione fra delle confessioni cristiane proprio nell'ambito dei valori e delle problematiche etiche. Dall'altra, in effetti, tra altre confessioni, le differenti posizioni riguardo temi come la vita o la famiglia si rivelano un grave problema ecumenico. Una riflessione comune su questi argomenti mi sembra abbia fatto ancora pochi passi.
È possibile trovare dei valori comuni che non siano legati alla ricerca dell'assoluto, al discernimento fra il bene e il male, che non tocchino in sostanza queste domande fondamentali?
Ho l'impressione che esistano diversi livelli di valori. Possiamo trovarci facilmente d'accordo sul fatto che l'amicizia, un gesto di amore, una esperienza estetica, la creatività del lavoro, la paternità, sono cose che “valgono”. Questi valori sono fondati nell'esperienza dell'esistere stesso. Possiamo trovare un consenso sul fatto che per rendere il viaggio della vita più agevole e sopportabile sia utile concordare valori, regole, diritti e doveri. Forse anche per sopravvivere è necessario concordare dei valori. Possiamo anche cercare di mostrare che una vita secondo certi valori sia più soddisfacente. Come detto, in Europa, riusciamo anche abbastanza facilmente a trovare consenso sull'elenco dei valori. Quando però ci si pone davanti ai grandi problemi della storia e alle grandi domande della vita, nasce improvvisamente la questione della verità, del fondamento e del contenuto dei valori. Già Socrate si domandava: «Chi mi dice che è meglio essere onesto, piuttosto che disonesto, tanto più che nella storia la disonestà sembra pagare di più? Perché siamo uguali? Cosa è il contenuto della libertà? Perché essere solidali? Perché rispettare l'altro? Chi definisce la dignità della persona umana o della vita?». Mi sono confrontato a lungo su questa questione del fondamento anche durante i miei studi e nell'insegnamento e anche se ho visto molti tentativi importanti e pensati di fondare i valori solo a livello umano-storico, devo concludere che senza un riferimento assoluto e trascendente non trovo un fondamento ultimo ai valori. Ci saranno molte motivazioni per dire che conviene essere onesti, piuttosto che disonesti, ma mancherà sempre un motivo ultimo. Il fatto che si deve morire e che tutto termina con la morte in fondo giustifica la possibilità di decidere in proprio i “valori”, ciò che è bene e ciò che è male, secondo ciò che sembra corrispondere al proprio piacere. Mi è veramente difficile fondare un'etica senza un riferimento assoluto e trascendente. Solo l'orizzonte dell'eterno fonda i valori in modo assoluto.
Ha citato il tema della dignità della vita. Che idea si è fatto della recente sentenza della Corte, che ha giudicato incongruente con le altre norme vigenti in Italia la legge 40 sulla fecondazione assistita e la diagnosi preimpianto?
Credo che occorra prendersi del tempo per studiare con attenzione e capire cosa è successo. Una prima cosa da chiarire è perché la Corte abbia accettato di pronunciarsi su questa causa senza che ci sia stato a livello nazionale il normale iter di processi richiesto. Sembra si sia saltata la giurisprudenza italiana. Neppure si è considerato che la legge in causa è frutto di lavoro parlamentare e anche di un importante confronto referendario. Altre volte la Corte aveva indicato che su temi così sensibili è un popolo e un parlamento che devono pronunciarsi e non una sentenza di giudici. In ogni caso, la Corte ha giocato sul rapporto fra diagnosi preimpiantatoria e l'aborto -- due temi diversi fra loro -- denunciando l'incongruenza del fatto che la legge italiana vieta la diagnosi preimpianto di embrioni frutto di fecondazione in vitro in vista della scelta di un embrione sano, nel caso di genitori portatori di fibrosi cistica, ma consente l'aborto se il bambino è affetto da questa malattia. Se proprio voleva evitare l'incongruenza, la Corte non avrebbe potuto chiedere all'Italia di risolverla rivedendo la legge sull'aborto, piuttosto che adattare la diagnosi preimpiantatoria all'aborto? Cosa significa fare leggi coerenti con la possibilità dell'aborto? È un caso che sembra influenzato da forti elementi di emotività, ma la giurisprudenza esige lucidità. E, lucidamente, l'aborto è un problema, non il punto chiaro di riferimento. Non si tratta solo di giudicare un singolo caso, perché la sentenza crea giurisprudenza a livello europeo. La sentenza sembra aprire la porta al diritto di un bambino sano e alla possibilità di selezione. E la domanda che sorge subito è: “Dove la chiudiamo, poi, questa porta?”. Cominciamo una lista interminabile di malattie o situazioni in cui la scelta degli embrioni è possibile? Perché non estenderla ad altre caratteristiche come il grado di intelligenza, la forza, la bellezza? È una sentenza da studiare, ripeto, e ritengo positiva la volontà espressa dal Governo italiano di fare ricorso alla Grand Chambre, per permettere una grande riflessione.
(©L'Osservatore Romano 7 settembre 2012)
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