Il cardinale Braz de Aviz su religiosi ed evangelizzazione
Linguaggio nuovo e comprensibile per far conoscere Cristo
In un mondo secolarizzato, dove specialmente le nuove generazioni mancano di un'esperienza personale con Dio e sono «religiosamente analfabete», il modo migliore di annunciare il Vangelo è quello di mostrare Dio in modo palpabile, evidente, per sentieri che non esigano iniziazioni costose e difficili.
Esemplare in questo senso è la comunione tra consacrati, perché testimonia la possibilità di «offrire qualcosa dell'esperienza di Dio a tanti lontani». Ne è convinto il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica-.
Tanto che ne ha fatto il punto centrale del suo intervento su «Comunione ed evangelizzazione» davanti a una folta presenza di consacrati a Madrid, nell'ambito della passata Settimana della vita religiosa.
La carenza di una dimensione religiosa nelle nostre società, ha notato il porporato, provoca un serio problema di linguaggio, in quanto molti non comprendono più i termini usati nella tradizione e nella cultura religiosa.
Questa incomprensione impedisce la comunicazione del messaggio evangelico. Da qui l'importanza della comunione, poiché rende possibile «dare visibilità, nei limiti di questa vita, alla salvezza che annunciamo. Ci dà la possibilità di confermare il valore positivo che si nasconde dietro i precetti della morale cristiana». Infatti, la comunione, ha sottolineato il cardinale, ci dà la possibilità di mostrare Dio, «rispettando le esigenze della “secolarità”, senza usare risorse o mezzi direttamente religiosi. E questo è decisivo per la pastorale indiretta, ma anche per la pastorale diretta».
D'altronde, ha fatto notare il porporato, la vita consacrata è sempre stata storicamente in prima linea nell'annuncio del Vangelo in ogni parte del mondo, anche quando le situazioni richiedevano sacrificio, coraggio e costante dedizione. Questo perché ogni carisma dato dallo Spirito ha sempre una finalità e un respiro ecclesiale ed è concesso con una missione specifica a favore dell'umanità. È una riscoperta necessaria e di scottante attualità in questo periodo che precede la celebrazione del prossimo Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. In molte occasioni, ha sottolineato il porporato, i religiosi sono stati i pionieri che hanno aperto la strada al Vangelo proprio perché nella chiamata a seguire Cristo è inserito il compito di dedicarsi interamente alla missione.
La stessa comunione che esiste all'interno delle comunità, come ricorda l'esortazione post-sinodale Vita consecrata, possiede un'intrinseca dimensione evangelizzatrice.
Per questo, i consacrati devono essere «esperti in comunione», così da poter mostrare concretamente la presenza di Cristo. Infatti, insieme con la testimonianza della carità eroica, ha evidenziato il cardinale, «la comunione vissuta tra i consacrati è l'unico segno visibile di salvezza per tanta gente del nostro mondo secolarizzato “dura di orecchie” quando si parla di religione».
(©L'Osservatore Romano 25 agosto 2012)
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