Teresa d'Ávila e la fondazione del monastero di San José
Quella «femmina inquieta» che infiammò la storia
di Cristiana Dobner
In pieno XVI secolo, una donna, per di più monaca, osa sfidare la municipalità della sua città: Ávila, ben nota per l'imponente e bellissimo monastero di San Tomás, fondato dal grande inquisitore Torquemada, ma non di certo per quelle irrilevanti casette appena sorte, dette “Carmelo San Giuseppe”.
La donna non manca di coraggio ma la sfida è terribile, sferrata su tutti i fronti. Doña Teresa de Ahumada y Cepeda non indietreggia, sottolinea Luisa Muraro: «Fra i molti impedimenti con cui Teresa d'Ávila doveva fare i conti, lo svantaggio sociale di essere di sesso femminile era forse il più grave, sicuramente il più elementare, e lei ne fece il significante della sua condizione umana e la leva per giungere a Dio».
Che cosa voleva la carmelitana, uscendo dal suo grande e illustre monastero dell'Incarnazione, fuori le mura e formato da ben 180 monache, rinchiudendosi in un minuscolo Carmelo con quattro compagne? Lo sintetizza Benedetto XVI nel suo messaggio per il quattrocentocinquantesimo anniversario di fondazione: «Voleva propiziare una forma di vita che favorisse l'incontro personale con il Signore», offrire «le condizioni migliori per trovare Dio e stabilire una relazione profonda e intima con Lui».
In questo gruppetto animato da lei, ormai divenuta Teresa di Gesù, troviamo il nucleo incandescente che, nella sua vita e, soprattutto, dopo la sua morte, avrebbe incendiato il mondo intero: infiammare tutti d'amore per Dio e condurli a comprendere che, dentro di loro, pulsava una Presenza.
Teresa resse all'urto dei tribunali e perseverò in quella iniziativa, tutta femminile e guidata da lei, donna: il 24 agosto 1562 segna la data di nascita di quel ramo del Carmelo che sarà detto Scalzo. La forma visibile non è indifferente per Teresa di Gesù. Deve palesare e far comprendere la dinamica profonda sottesa alla vita carmelitana: vivere, in povertà e in abbandono all'intervento del Padre provvido, un quotidiano teso all'ascolto della Parola e alla lode dell'Eucaristia, grandi centri spaziali e temporali di ogni comunità teresiana.
Teresa nella sua vita di fondatrice e formatrice si attirò notevoli strali: il nunzio l'apostrofò come «femmina inquieta e vagabonda», le diverse forze politiche si dettero da fare per eliminare la presenza delle sue monache. Donne senza nessuna pretesa di potere economico: il Carmelo scalzo non può possedere né beni, né rendite. Senza nessuna pretesa di potere sociale: le solitarie vivono sempre all'interno del loro monastero, organizzato e pensato come una comunità di eremite. Eremite ma eremite insieme, in una comunità che la madre Teresa voleva gioiosa e fraterna, tanto da insegnare a Giovanni della Croce, quando giunse il momento di affiancare alle Scalze gli Scalzi, lo stile delle ricreazioni.
Senza nessuna pretesa ecclesiastica: le carmelitane -- come intuirà più tardi Teresa di Gesù Bambino -- vogliono solo pulsare «nel cuore della Chiesa» essendo e portandovi l'Amore. Un bruscolo nell'occhio della società perché un richiamo a quanto non passa e implica il distacco dal benessere temporale, dall'arrivismo, da ogni conquista cui non sia sottesa la gloria di Dio. Con la sua penna di scrittrice abile e vivace, la madre Teresa formò non solo le sue prime compagne e amiche -- facendole diventare sue “figlie” -- ma consegnò ai posteri un legato fecondo che contagia con la sua esperienza di Dio proposta in un linguaggio, ancor oggi, pregnante.
Chi le viveva vicino, come il prete Giuliano d'Ávila che la scortò in quasi tutte le sue fondazioni in Spagna, aveva intuito di trovarsi dinanzi a una dottrina, non solo a un'esperienza santificante. La lettura della vita della madre Teresa che egli scrisse, narrando con garbo e umorismo tutte le peripezie fondazionali, lo fa percepire chiaramente.
Ci si dimentica però, abitualmente, che fu una donna a scrivere la prima biografia della madre: Maria di San Giuseppe, la giovane nobile donna conquistata dalla presenza di Teresa e che, con molta fatica, accettò la sua chiamata monastica teresiana. Una realtà di vita evangelica in una Chiesa del periodo post-tridentino che è, ancora oggi, la fonte da cui sgorga quell'acqua che alimenta tutti i Carmeli, ma che deve rispondere, come Teresa rispose, alle sfide di oggi.
Edith Stein, in pieno furore nazista, lo comprese e poté attuare il desiderio nato in lei, dodici anni prima, con la lettura di quell'opera di Teresa, Vita, che la scosse nel profondo e la portò nel grembo della Chiesa cattolica e del Carmelo Scalzo.
La Patrona d'Europa -- divenuta nel Carmelo Teresa Benedetta della Croce -- scrisse di Teresa di Gesù: «Lo straordinario lavoro di educazione della nostra santa Madre non finì con la sua morte. Il suo operare travalica i confini del suo popolo e del suo Ordine, non rimane neppure rinchiusa nella Chiesa, ma invade anche coloro che ne sono al di fuori. La potenza del suo linguaggio, la veracità e la naturalezza della sua esposizione aprono i cuori e conducono all'interno della vita divina. Il numero di coloro che la ringraziano per il cammino alla luce, sarà rivelato solo nel giorno del giudizio».
Teresa scrisse: «Basta essere donna per farmi cadere le ali». Non le mancarono momenti di scoraggiamento ma trovò nell'orazione, cioè nel continuo ascolto e colloquio con il Signore, la forza di sollevarsi.
Oggi noi parliamo di maternalità di Teresa, in quella auroralità da cui spuntò il momento sorgivo e fontale: San Giuseppe d'Ávila. María Zambrano, che tanto si sentiva partecipe dello spirito carmelitano, percepì la straordinaria genialità di Teresa perché «uno degli scrittori che è riuscito a dare espressione al linguaggio interiore sia degli uomini che delle donne nel Castello interiore era una femmina, Teresa d'Ávila».
Perdutamente arresa a Dio, è divenuta forma di icona primaria, nello spazio carmelitano, sia reale sia simbolico, tutto femminile e non maschile, di un monastero, spazio di pensiero e spazio di vita, che schiude i sentieri del silenzio interiore.
Per le donne di oggi, la madre del Carmelo è una donna di spicco e di riferimento anche per chi, come Diana Sartori, non ne condivide la fede: «Nel cercare un insegnamento femminile riguardo il mettere al mondo il mondo, la figura di Teresa d'Ávila mi è apparsa esemplare».
Perché è una donna che pensa da sé, parte dalla sua natura femminile per riflettere e agire, senza lasciarsi condizionare. Perché le riuscì di rendere concreto, nella minuscola comunità di San Giuseppe, il passaggio, sempre cruciale, dal yo al nos, dall'io al noi, alle sorelle e figlie: cioè con la peculiare relazione fra donne, per far venire al mondo il mondo e la libertà, ma dove l'ideale non è il gruppo fusionale ma la relazione evangelica e comunionale.
La madre Teresa è per noi memoria pienamente restituibile, vita, lingua, noi ospiti sue e lei ospite nostra, missione di continuare il suo lavoro nel mondo, per attraversare l'abisso fra Creatore e creatura e per non patire una sorta di orfanata lungo il cammino ma giungere a lambire la soglia del mistero liberante.
(©L'Osservatore Romano 25 agosto 2012)
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