A colloquio con l'arcivescovo Nikola Eterović sul significato dell'esortazione post-sinodale che Benedetto XVI firmerà ad Harissa
Comunione e testimonianza
di Mario Ponzi
C'è molta attesa in Libano per l'ormai prossimo arrivo del Papa. E c'è attesa per il messaggio che egli porterà con sé, frutto di quelle intense giornate di riflessione e di confronto maturate durante i lavori dell'Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Benedetto XVI ha fatto proprie le speranze manifestate dai padri sinodali ed è pronto a portare la sintesi di ciò che definì l'espressione della «polifonia dell'unica fede». Ecclesia in Medio Oriente è il titolo dell'esortazione apostolica post-sinodale che Benedetto XVI firmerà in Libano la sera di venerdì 14 settembre, nella chiesa di San Paolo ad Harissa, per consegnarla poi personalmente a rappresentanti delle diverse comunità. All'arcivescovo Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei vescovi, abbiamo chiesto di ripercorrere per il nostro giornale l'itinerario che si concluderà proprio con la pubblicazione dell'esortazione.
Quali sono gli elementi caratterizzanti del cammino iniziato il 10 ottobre 2010?
Direi innanzitutto la manifestazione, da parte della Chiesa cattolica in Medio Oriente, in tutta la ricchezza dei suoi riti, della volontà di ravvivare la comunione e la testimonianza. Questo è risultato molto evidente sia negli interventi in aula sia nella formulazione delle proposte finali. Il Papa ha accolto il voto dei Padri sinodali e ha elaborato l'abbondante materiale prodotto, apportandovi il suo notevole contributo, proprio del carisma petrino, attraverso una rilettura della prima lettera che san Pietro scrisse ad alcune comunità credenti dell'Asia Minore che si trovavano in difficoltà. Naturalmente si tratta di una rilettura alla luce del tempo in cui viviamo. La Chiesa cattolica si esprime in Medio Oriente nelle sei venerabili Chiese Orientali cattoliche sui iuris: la Chiesa Copta; la Chiesa Greco-Melkita, la Chiesa Sira, la Chiesa Maronita, la Chiesa Caldea, la Chiesa Armena. Bisogna poi aggiungere la Chiesa di rito latino e poi i presbiteri e i fedeli venuti dall'India, dagli arcivescovati maggiori di Ernakulam-Angamaly dei Siro-malabaresi e di Trivandrum dei Siro-malankaresi. Insieme, i membri di queste Chiese testimoniano l'unità della fede nella diversità delle loro tradizioni, delle espressioni teologiche, spirituali, liturgiche e canoniche, come pure nella varietà dei contesti geografici, religiosi, culturali, sociali e politici. Ciò che è stato ribadito dal Sinodo è che per potere manifestare pienamente la comunione a livello ecumenico e in rapporto con le altre religioni, i cristiani la devono vivere prima in seno alla Chiesa cattolica e all'interno di ciascuna delle Chiese particolari.
L'esortazione è rivolta ai cattolici del Medio Oriente. Ma il Papa la consegnerà idealmente a tutti i popoli della regione attraverso alcuni loro rappresentanti.
Non bisogna dimenticare che ai lavori sinodali hanno assistito anche membri di altre Chiese e di altre Chiese e comunità cristiane, come pure i rappresentanti di altre confessioni religiose. Bisogna poi considerare il fatto che Benedetto XVI più volte ha ripetuto che la vera pace e la riconciliazione tra i popoli non saranno efficaci se alla base non c'è la giustizia, in Dio e tra gli uomini, e se questa stessa giustizia non lotta contro il peccato che è all'origine di ogni divisione. Io credo che soprattutto in questa occasione il Papa desideri superare tutte le distinzioni tra gli uomini e incoraggiare ogni sforzo per giungere alla pace nel mondo e nel Medio Oriente in particolare.
Alcuni padri sinodali accennarono alla necessità di rendere più continuo e più efficace il dialogo all'interno della stessa Chiesa cattolica, soprattutto in queste terre, per rendere più credibile ed efficace l'annuncio. In cosa si è concretizzato alla fine questo appello?
Non credo ci fosse bisogno di altro se non ribadire l'insegnamento del concilio Vaticano II sull'ecumenismo e il primato dell'ecumenismo spirituale. Il Papa lo ha ricordato più volte nel suo magistero: il consolidamento della comunione in seno alla Chiesa cattolica renderà più credibile la sua testimonianza e la aprirà a praticare maggiormente l'ecumenismo. La comunione esige la ricerca della verità nell'umiltà di colui che si riconosce peccatore davanti a Dio e al prossimo, la capacità di perdono, di riconciliazione e di purificazione della memoria, a livello personale e comunitario. Il dialogo ecumenico è sollecitato anche dagli stretti vincoli con le Chiese d'Oriente che ancora non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma hanno comuni origini religiose. Ciò richiede la promozione, ove possibile, di una pastorale ecumenica d'insieme.
E il dialogo con le altre religioni?
Benedetto XVI ricorda spesso che la natura e la vocazione universale della Chiesa esigono che essa sia in dialogo con i membri delle altre religioni. In Medio Oriente questo dialogo diviene fondamentale. Esso poggia anzitutto su basi teologiche che interpellano la fede derivate dalla Sacra Scrittura, basi che sono definite soprattutto in due documenti del concilio Vaticano II: la costituzione dogmatica Lumen gentium e la dichiarazione Nostra aetate. Se vissuta con un cuore puro, la fede può contribuire notevolmente a riscoprirsi come fratelli e offrire la testimonianza della serenità e della convivialità che possono regnare tra i fedeli delle tre religioni monoteiste se riscoprono la necessità dell'unità e dell'armonia della famiglia umana.
In che modo ciò potrebbe influire nell'orizzonte mediorientale?
Riflettere su ciò che unisce e cercare di superare ciò che divide sicuramente può facilitare la crescita di una spirito di convivenza pacifica. Non possiamo nasconderci il fatto che esistono differenze dottrinali sulle quali deve proseguire il confronto, non lo scontro. I Padri sinodali, dopo aver illustrato le situazioni di sofferenza che vivono i cristiani in molti Paesi, hanno ricordato che tuttavia essi condividono con i musulmani la stessa vita quotidiana in Medio Oriente; e che la presenza cristiana nella regione risale ai primissimi anni del cristianesimo. Nel corso dei secoli hanno poi vissuto e promosso, in una particolare simbiosi, i valori cristiani, inserendosi nella cultura circostante, rimanendo parte integrante del Medio Oriente. Pertanto il Sinodo ha ritenuto giusto reclamare il riconoscimento del contributo cristiano, al pari di quello ebraico e musulmano, nella formazione di una ricca cultura propria del Medio Oriente e dunque il diritto di partecipare pienamente alla vita delle proprie nazioni e di continuare a offrire il loro specifico contributo al suo sviluppo, soprattutto nel campo dell'educazione e della sanità.
Qui si entra nel tema della libertà religiosa...
La libertà religiosa è radicata nella dignità della persona umana, e dunque è un diritto sacro e inalienabile. I musulmani condividono la convinzione che per quanto riguarda la religione nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza. Però la costrizione può assumere molteplici forme, tutte ugualmente contrarie alla volontà di Dio. Bisognerebbe anche superare il concetto di tolleranza, cosa ben diversa dalla libertà religiosa. Altra questione è il fondamentalismo che rifiuta il vivere insieme che si protrae da secoli. In questo senso i Padri sinodali hanno chiesto il massimo sforzo per sradicare questa minaccia che tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni.
Come riassumerebbe in poche parole il messaggio che deriva dal documento?
Con le parole del Signore Gesù: «Non temere, piccolo gregge». Il vescovo di Roma desidera incoraggiare tutti i Pastori e i fedeli cristiani in Medio Oriente a mantenere viva, con coraggio, la fiamma dell'amore divino nella Chiesa e nei loro ambienti di vita e di attività. Il Papa sostanzialmente raccomanda di mantenere integra la missione della Chiesa, voluta da Cristo. Del resto l'urgenza del momento presente e di tante situazioni drammatiche, richiedono di unirsi per testimoniare insieme Cristo morto e risorto. Per annunciarlo e renderlo prossimo ai fratelli e sorelle che soffrono varie tribolazioni, in particolare in queste terre benedette da Dio. Il Papa assicura che i cristiani in Medio Oriente non sono soli, tramite lui ricevono l'appoggio di tutti i cristiani del mondo affinché possano, con rinnovato coraggio, testimoniare il Signore Gesù vivo, presente in mezzo ai suoi fino alla fine dei tempi.
(©L'Osservatore Romano 13 settembre 2012)
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