giovedì 9 agosto 2012

I gioielli della corona. A colloquio con l'arcivescovo Jean-Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa (Gori)

A colloquio con l'arcivescovo Jean-Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa

I gioielli della corona


Dal «ministero del futuro» al «dicastero della memoria»


di Nicola Gori


Un popolo che perde la sua memoria storica si espone a una pericolosa amnesia e vede allontanarsi la possibilità di progredire verso il futuro. Per questo «la Biblioteca Apostolica e l'Archivio Segreto Vaticano sono da considerare come i gioielli della corona della Chiesa». Ne è convinto l'arcivescovo Jean-Louis Bruguès, recentemente nominato da Benedetto XVI archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. «Ritengo la memoria fondamentale per costruire solide basi per il futuro» spiega in questa intervista rilasciata al nostro giornale l'ex segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica, al quale dal 26 giugno, è stato affidato il nuovo incarico. «E lo è a maggior ragione -- prosegue -- se la memoria di cui si parla è quella della Chiesa». Ecco perché parla di «gioielli»: a essi «sono affidati non solo la conservazione dell'antica identità della Chiesa, ma anche lo slancio per il suo futuro».


Dopo i cardinali Tisserant e Tauran, un francese torna a capo della Biblioteca Apostolica Vaticana. Una sorta di continuità nella tradizione?


Se i miei calcoli sono giusti, a partire dal 1550, da quando cioè il titolo entrò in uso con il cardinale Marcello Cervini, divenuto poi Papa nel 1555, io sono il 47° archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Se si guarda la lunga lista dei miei predecessori, che abbraccia quasi sette secoli, si nota la schiacciante maggioranza di italiani. Ma l'espressione italiana è giusta? Prima dell'unificazione della penisola, i cardinali di Venezia, Firenze, Napoli, Milano potevano essere chiamati italiani? Questa è una questione che lascio agli storici. In questa lunga lista appaiono alcuni nomi non italiani: un inglese, un tedesco, un austriaco, 2-3 spagnoli, a seconda che si consideri uno nato in Italia però da famiglia iberica, e tra questi tre un catalano. Poi troviamo tre francesi prima di me. Io sono quindi il quarto. Considerando i percorsi personali di ognuno di questi quattro sono molto differenti. Il primo francese, che si chiamava Jean-Baptiste Pitra, già il nome è un po' italiano, è stato bibliotecario tra il 1869 e il 1882. Era un monaco della congregazione benedettina di Solesmes, nata qualche anno prima. Era uno storico, ma ha giocato un ruolo assai importante durante il concilio Vaticano i. Il secondo è il cardinale Eugène Tisserant che era piuttosto uno specialista di lingue orientali antiche, e il terzo Jean-Louis Tauran, diplomatico di alto livello. Si può parlare di tradizione di quattro persone francesi così differenti? Forse sì. Quello che accomuna noi francesi, pur avendo conosciuto itinerari diversi, credo sia la preoccupazione dell'umanesimo, una certa ricerca letteraria e un certo gusto, si potrebbe anche dire curiosità, per il fatto politico e l'evoluzione delle idee.


C'è un aspetto che l'ha colpita particolarmente nella figura del cardinale Tisserant, definito da Paolo VI «grande talento», «energia poderosa»?


Quando sono stato nominato bibliotecario ho ricevuto in dono un libro sul cardinale Tisserant e ho notato che c'era in lui la preoccupazione di unire la ricerca scientifica, la più scrupolosa possibile, a un interesse per gli avvenimenti che ha vissuto durante la sua esistenza. Non tutti i francesi presentano questo grande talento e questa energia; ma in lui è manifesta. Ha avuto una vita straordinaria, perché ha conosciuto da vicino, e le descrive nei suoi scritti, due guerre mondiali, la crisi del modernismo, l'apogeo dei sistemi coloniali e la loro scomparsa. È stato presente a tre conclavi e ha giocato un ruolo di primo piano nel concilio Vaticano II. È stato una grande personalità all'altezza dei grandi avvenimenti che ha conosciuto.


La Biblioteca Apostolica Vaticana è un'immensa miniera anche per le catechesi.


Quando il Papa mi ha ricevuto per affidarmi il nuovo incarico mi ha detto una frase che mi ha fatto riflettere. Mi ha confidato che prima di diventare Papa aveva un sogno. Era quello di andare alla Biblioteca come bibliotecario e archivista. Un sogno, mi ha detto, che avrebbe voluto ora realizzare attraverso di me. Non mi ha detto come. Il mio impegno ora è cercare di capire come possa io realizzarlo. 

Quando si guarda alla ricchezza e alla potenza delle catechesi del Papa -- si tratti delle udienze del mercoledì o delle prediche, per non parlare dei suoi altissimi discorsi, come per esempio quelli a Ratisbona, a Londra o al Parlamento federale di Germania -- non si può non immaginare che quest'uomo, così portato per la catechesi, non abbia pensato ad un legame diretto con la Biblioteca.

Qual è la natura di questo legame?


Mi sono posto questa domanda e mi sono detto: deve essere come la chiglia della barca, che non si vede. In effetti poche persone riescono a vederla. Così è per la Biblioteca: sono in pochi, a parte gli specialisti, a conoscerla, a capire la mole di lavoro che si svolge nella Biblioteca e negli Archivi. Sono proprio queste istituzioni che permettono alla barca della Chiesa di restare a galla e di avanzare. Se non ci fosse la chiglia, la barca sarebbe sottoposta ai venti dottrinali di qualsiasi natura o alle mode. È questa chiglia che dà all'opera catechetica della Chiesa e all'insegnamento la sua profondità. Se posso usare le parole di Simone Weil, è quella che permette alla missione educativa della Chiesa di ricevere tutti i doni della grazia. Il mio predecessore, il cardinale Raffaele Farina, amava ripetere che la memoria è un elemento essenziale della missione della Chiesa.


Cosa rappresenta per lei la memoria?


Sono arrivato a una doppia convinzione. La Chiesa è la più antica istituzione dell'umanità. È più vecchia delle università, delle città e dei sistemi politici. E dunque la sua memoria non è solo propria, ma è di una buona parte dell'umanità. Ecco perché la Biblioteca ha per natura una vocazione universale. Non è solo un luogo dove si deposita, ma è anche un mezzo per far beneficiare del suo tesoro la più grande parte dell'umanità. 

A proposito di tesori, il Papa mi ha confidato di considerare ricevuto, la Biblioteca uno strumento meraviglioso. Allora ho capito che i fondi della Biblioteca e dell'Archivio sono come i gioielli della corona della Chiesa
La Chiesa fa spesso, se non essenzialmente, memoria. Occorrono però gli strumenti per farlo. E proprio attraverso la Biblioteca e l'Archivio la Chiesa si è data gli strumenti per la sua memoria e per quella di buona parte dell'umanità. La seconda convinzione è ancora più radicata nella mia mente: quando una persona anziana perde la memoria, non sa più come orientarsi nell'esistenza. La memoria è la condizione dell'identità e, di conseguenza, del futuro. Chi perde la memoria perde la possibilità di orientarsi. È vero per gli individui, ma è vero anche per le società e le istituzioni. Una società che smarrisce la sua memoria a seguito di un incidente storico, o volontariamente per delle ragioni ideologiche, è in realtà una società che si stacca dal proprio avvenire. Perciò considero con molta pena che le materie della memoria -- penso in particolare alla cultura generale, ma anche alla storia -- stiano sparendo dalle scuole e dall'università. Credo che la nostra società si esponga a una grande crisi di amnesia e di conseguenza sia impossibilitata a progredire. La memoria è la condizione di ogni progresso sociale.

In una società in cui le nuove tecnologie stanno prendendo sempre più campo, come vede il futuro del libro?


Quando arriverò alla Biblioteca vorrei prima di tutto incontrare quanti vi lavorano, ma anche comprenderne le dimensioni tecniche. Non credo proprio che l'apparizione delle nuove tecnologie di comunicazione possano un giorno sopprimere il libro e rimpiazzarlo. Il libro per sua costituzione è come un amico. Come qualcuno che si può consultare, che si può toccare, e perfino sentirne l'odore. È qualcosa che riposa dove noi vogliamo, che non cambia molto di aspetto fisico e che si tiene a nostra disposizione. Tutto ciò non possiamo farlo con i nuovi mezzi di comunicazione. Dunque il libro è un amico e credo che l'umanità avrà sempre bisogno di un amico simile, perché il libro è la nostra vita intima.


Vista la sua esperienza nel dicastero dell'Educazione Cattolica ritiene la Biblioteca uno strumento per educazione?


Quando il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, mi ha chiamato per comunicarmi la data della mia nomina, mi ha fatto notare che c'è un legame diretto tra la missione del segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica e la Biblioteca e l'Archivio: proprio quello della memoria. Fino a ora, ho avuto la fortuna e la possibilità di lavorare in quello che spesso chiamavo, il ministero del futuro, perché lavorando con i giovani si lavora al futuro e alla speranza. Adesso arrivo al dicastero della memoria. Qual è il legame tra le due realtà? Le nostre scuole, un po' dappertutto nel mondo, sono soggette a pressioni molto forti, lo si vede nelle università. Si vorrebbe che rispettassero le leggi del mercato e fossero prima di tutto strumento di formazione professionale. In pratica, chi esce dalle università deve essere immediatamente impiegabile sul mercato. Ecco il pericolo di strumentalizzazione che si corre nei sistemi ultra liberali. La scuola è un'altra cosa. È quella che permette al bambino di crescere, di svilupparsi, di prendere coscienza di quello che è e di quello che può fare. C'è tutta una dimensione di formazione umana, fisica, intellettuale e spirituale che deve essere assicurata dalle scuole e dalle università. Occupandomi d'ora in poi di questo ministero della memoria continuerò a difendere la causa della dimensione umanistica al servizio dell'uomo, dell'educazione, delle scuole e delle università.


La attendono nuove sfide quindi?


Arrivando in Vaticano, circa quattro anni e mezzo fa, mai avrei pensato che un giorno sarei diventato prefetto della Biblioteca. Concluso il noviziato dei domenicani, il maestro alla fine del corso, mi disse che per il futuro potevo scegliere sia l' insegnamento sia l'attività di governo. Mi sono reso conto nel corso della vita, di averle fatte tutte e due. Sono stato insegnante di teologia morale in Francia e all'estero, superiore di comunità, di provincia religiosa, poi vescovo di Angers, una diocesi dove esiste una grande università cattolica, quella dell'Ovest. Questi due aspetti nella mia vita si sono nutriti sempre mutualmente. Ho beneficiato dell'uno e dell'altro. Ora, alla Biblioteca e dell'Archivio, penso di continuare a fare quello che ho fatto fino a ora, perché attraverso questi strumenti unici la Chiesa persegue una missione d'insegnamento. Il professore che è in me si ritrova con la responsabilità di questi strumenti meravigliosi, con l'aggiunta di un compito di governo. Infatti, tra Biblioteca e Archivio lavorano circa 150 persone in maggioranza laici, oltre a una cinquantina di associati. All'interno del Vaticano, quindi, rappresenta una grande impresa. Essendo in comunicazione con il circuito delle grandi biblioteche del mondo la vivo come una sfida che mi stimola particolarmente.


(©L'Osservatore Romano 10 agosto 2012)

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