Parte dal testo biblico l'efficacia dell'annuncio
Alleanza della lettura
di Marco Tibaldi
«La porta della fede (Atti, 14, 27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l'ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. È possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma».
Così Benedetto XVI nell'incipit di Porta fidei, il documento che prepara tutta la Chiesa alla celebrazione dell'ormai prossimo anno della fede. In esso un ruolo centrale è ricoperto dalla Parola perché è ancora attuale il monito paolino: «e come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?» (Romani, 10, 14).
Nella società della comunicazione, il modo di annunciare il vangelo affinché possa essere efficace non è certamente un tema secondario. Tale efficacia però non va ricercata al di fuori del testo e della dinamica di grazia che è capace di suscitare, proprio a partire da come è stato scritto. Di questo si occupa il libro del gesuita belga Jean-Pierre Sonnet, che insegna Esegesi dell'Antico Testamento alla Pontificia Università Gregoriana, L'alleanza della lettura. Questioni di poetica narrativa nella Bibbia ebraica (Cinisello Balsamo - Roma, San Paolo - Gregorian & Biblical Press, 2011, pagine 448, euro 54).
Il libro raccoglie una serie di saggi sul tema della narrazione. In particolare, l'autore mette in risalto le strategie di coinvolgimento che il testo attiva. È infatti uno dei pregi della critica narratologica l'aver messo in luce la collaborazione interpretativa che il testo narrativo postula. E il narratore biblico, come mostra con perizia Sonnet, è particolarmente abile a tessere le trame della narrazione coinvolgendo il proprio lettore. Ciò che è funzionale alla lettura di ogni opera di narrativa, diventa però, nel testo biblico, una vera e propria alleanza. Un testo paradigmatico in questo senso è il racconto della conclusione dell'alleanza del Sinai in Esodo, 24. L'evento narrato viene, per così dire, sdoppiato secondo la tecnica definita da Andrè Gide della mise en abyme. A conclusione dell'alleanza infatti nel capitolo 24 dell'Esodo, Mosè compie l'atto della lettura del testo: «prese il libro dell'alleanza e lo lesse agli orecchi del popolo e dissero: “faremo e ascolteremo tutto quello che Yahweh ha detto” (Esodo, 24, 7)».
Chi legge non è presente alla scena, però la può rivivere in quanto lettore del libro dell'Esodo di cui ora viene celebrata la proclamazione: «grazie a questo effetto di mise en abyme il destinatario interno al racconto e il destinatario esterno al racconto sono per così dire contigui (pur senza confondersi) e l'impegno etico dell'uno non può fare a meno di influenzare l'etica della ricezione dell'altro».
Questo dispositivo non a caso ricorre in tratti peculiari della Bibbia, soprattutto lì dove l'alleanza deve essere rinnovata, che è in fondo uno dei temi principali dell'anno della fede. Il testo biblico è così il luogo teologico in cui il lettore è invitato a entrare nella dinamica dei personaggi, in un certo senso a provare quello che provano loro, per poter così decidersi a favore delle scelte che vengono indicate.
Particolarmente interessanti e attuali sono due sottolineature di Sonnet. La prima riguarda la modernità sorprendente del narratore biblico, che pur essendo un narratore onniscente, scelta abbandonata per perdita di orizzonte da pressoché tutta la letteratura contemporanea, è però portatore di un «sapere dinamico», in quanto da un lato è agganciato «al sapere trascendente di un personaggio, il personaggio del Dio unico. D'altra parte, il “sapere” del narratore biblico si trova sospeso all'evoluzione del disegno divino, mutevole e al tempo stesso sovrano. Si tratta di un modello dinamico che ha qualcosa da dire all'uomo moderno».
Entrando poi più da vicino nelle vicende dei personaggi biblici, «come l'odissea di Giacobbe, gli esordi di Mosè, i guai di Samuele e di Saul o dell'ascesa al trono di Davide», tutti tipi di cui non si omettono sia le ombre che le cadute, «il lettore moderno e postmoderno si scopre come riflesso in personaggi “incerti”, che anticipano la sua perplessità o la sua inquietudine».
In secondo luogo, la Bibbia non è per nulla un testo esoterico, come diversi romanzi, da cui poi immancabilmente derivano film o serie televisive, vogliono far credere. Al contrario, per le Scritture «è fondamentale essere una “storia per tutti”, un racconto che tutti, compresi i bambini e gli stranieri, possono capire accedendo a ciò che dice di essenziale (Deuteronomio, 31, 11-12; Giosuè, 8, 34-35; Neemia, 8)». Il tema di fondo è costituito dalle «dieci parole», la «legge di Mosè» che funge non solo da appello etico rivolto al lettore di ieri come di oggi, ma anche come criterio interpretativo della storia, perché tutti i guai che capitano a Israele sono ricondotti all'infedeltà nei confronti della legge. È una legge che è talmente vicina al cuore che chiunque lo desideri può metterla in pratica (Deuteronomio, 30, 14). E questo è vero anche per il Nuovo Testamento, in cui per alcuni vi sarebbe esposto un sapere riservato a pochi. Il cosiddetto «segreto messianico» del vangelo di Marco o le spiegazioni fatte in parabole, per citare due esempi famosi, non vogliono nascondere il contenuto del vangelo. Sono tecniche narrative che mirano proprio a far comprendere esattamente chi sia quel Gesù Figlio di Dio di cui parla il vangelo di Marco fin dal suo inizio: «lungi dunque dal fare ricorso a logiche esoteriche, il vangelo di Marco punta sulla capacità del lettore di far apparire l'identità di Gesù da tutta la narrazione: “Infatti, non c'è cosa nascosta se non perché sia manifestata, né cosa segreta che non venga alla luce” (Marco, 4, 22)».
(©L'Osservatore Romano 11 luglio 2012)
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