giovedì 11 ottobre 2012
Quelle lezioni di teologia sul Lago di Nemi e quel giovane teologo bavarese che poi sarebbe diventato Papa. L'articolo di Calabrò
Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo:
IL GIOVANE RATZINGER
Quelle lezioni di teologia sul Lago di Nemi
Invitato per ultimo ebbe grande successo con il decreto sulla vocazione missionaria
di Maria Antonietta Calabrò
«Per fortuna che c'è Ratzinger, è ragionevole, modesto, disinteressato, di buon aiuto» annotò nel suo diario dei lavori del Concilio, il 31 marzo 1965, il famoso teologo domenicano, poi cardinale, Yves Congar con cui lavorava un teologo più giovane, appena 38 anni, anche lui con la qualifica di peritus.
Era padre Joseph Ratzinger, chiamato all'ultimo momento («E non so perché», ha detto il Papa quest'estate) a dare una mano per riscrivere daccapo il decreto Ad Gentes. È in quel documento che venne elaborato per la prima volta un nuovo concetto di «missione» ed «evangelizzazione» non rivolte solo ai popoli «pagani», ma a tutti, in ogni latitudine e situazione.
Un'impostazione diventata drammaticamente attuale nell'Europa scristianizzata, che è al centro delle riflessioni del Sinodo sulla nuova evangelizzazione.
Il primo progetto di decreto sull'attività missionaria della Chiesa approdò al dibattito generale nella terza sessione del Concilio (ottobre-dicembre 1964) ma quella bozza fu respinta a furor di popolo. Il volere dei padri conciliari fu perentorio: ricominciare da zero. La Commissione sulle missioni ricevette dunque un mandato preciso: elaborare un nuovo schema sulla materia. C'era da irrobustire l'impianto teologico del documento, vista la sua «piattezza sconfortante». Di recente, alcuni storici approfondendo questo caso hanno parlato di una vicenda «inusitatamente turbolenta» (Stephen Bevans e Jeffrey Gross, 2009).
A capo della Commissione si trovò padre Johannes Schütte, superiore generale dei verbiti, che aveva sofferto in Cina, era stato condannato, poi espulso. E fu Schütte a chiedere la collaborazione di Ratzinger nella stesura di un nuovo schema. Schütte offrì tutto il necessario per facilitare il lavoro dei membri del gruppo: quattro vescovi assistiti da cinque periti. Compresa la sistemazione logistica: una piccola casa dei verbiti sul Lago di Nemi. A una prima tornata di sedute, dal 12 al 16 gennaio 1965, per sopraggiunti impegni inderogabili, non partecipò padre Ratzinger che invece si unì ai lavori della seconda tornata, dal 29 marzo al 3 aprile 1965.
Il 9 luglio 2012 papa Benedetto XVI è tornato in quella piccola casa sul lago. «Sono veramente grato per questa possibilità di rivedere dopo 47 anni questa casa a Nemi». «Per me un ricordo bellissimo — ha detto — forse il più bel ricordo di tutto il Concilio». Ratzinger ha parlato anche di se stesso, «che ero un teologo senza grande importanza, molto giovane, invitato non so perché». Parlando a braccio, il Pontefice ha detto che venne sorpreso dalla bellezza di quei giorni «tra questo verde, in questo respiro della natura, la freschezza dell'aria», e dello stare «in compagnia di tanti grandi teologi. C'era Fulton Sheen, che ci affascinava la sera con i suoi discorsi, padre Congar e i grandi missiologi di Lovanio... Per me un grande arricchimento spirituale, un grande dono». In quelle giornate si confermò soprattutto la sua consonanza di sguardo e di giudizio con Congar. I due condividevano la stessa insofferenza per un'idea angusta di missione. Quella per cui l'annuncio del Vangelo si limitava ai popoli non ancora raggiunti dalla predicazione dei missionari, cui di conseguenza seguivano i problemi circa la dipendenza di tipo amministrativo e gerarchico delle nuove realtà della Chiesa.
Per Ratzinger, come per Congar, occorreva invece partire da una percezione unitaria della sorgente teologica della missione. Il capitolo primo di Ad Gentes, affermerà infatti che «la Chiesa è missionaria per sua stessa origine e per sua natura, e questa e quella dipendono dal movimento per il quale Dio si comunica alla sua creatura».
«Bonum diffusivum sui», ha ripetuto papa Ratzinger a Nepi: «Il bene ha la necessità in sé di comunicarsi, di darsi: non può stare in se stesso, la cosa buona, la bontà stessa essenzialmente è communicatio. E questo già appare nel mistero trinitario, all'interno di Dio, e si diffonde nella storia della salvezza e nella nostra necessità di dare ad altri il bene che abbiamo ricevuto». E così «è nato in quei giorni un decreto bello e buono, quasi accettato unanimemente da tutti i padri conciliari e per me è anche un complemento molto buono della Lumen gentium».
Il nuovo schema di decreto, infatti, arrivato alla votazione finale il 7 dicembre 1965, fu approvato con 2.394 voti favorevoli e solo 5 contrari. Un record di «Sì» che nessun altro documento aveva raccolto. E fu anche l'ultimo testo approvato dal Concilio Vaticano II. Si finì, insomma, partendo da quella piccola casa sul lago. Si finì con Ratzinger.
© Copyright Corriere della sera, 11 ottobre 2012
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