L'arcivescovo Capovilla ricorda la visita di Giovanni XXIII al santuario mariano alla vigilia dell'apertura del Vaticano II
Quel treno per Loreto
Perché il Papa voleva organizzare il viaggio di nascosto dal suo segretario
di Mario Ponzi
«L'Osservatore Romano» pubblicò la notizia in prima pagina nell'edizione del 3 ottobre 1962. L'annuncio suscitò molto stupore. Mancava appena una settimana all'apertura del concilio Vaticano II e Giovanni XXIII aveva deciso di recarsi, il 4 ottobre successivo, in pellegrinaggio a Loreto e ad Assisi per affidare alla Vergine i lavori conciliari e per riempirne l'anima della spiritualità francescana. Fu un fatto insolito per quei tempi vedere il Papa salire su un treno, lasciare il Vaticano e attraversare un pezzo d'Italia lungo la via ferrata. Come visse Papa Roncalli quella giornata e come la vissero gli italiani? Lo ricorda per noi colui che fu il suo segretario particolare, l'arcivescovo Loris Capovilla, già prelato di Loreto, oggi novantasettenne, che di quel giorno -- come del resto di tutto il periodo passato accanto a Giovanni XXIII -- conserva un lucido ricordo.
Come nacque in Papa Roncalli la decisione di recarsi a Loreto per affidare il Vaticano II alla Vergine?
Fu una decisione improvvisa, figlia però di un desiderio maturato nel tempo. Sin da quando fu eletto al soglio pontificio, Giovanni XXIII manifestò infatti la volontà di recarsi presso il santuario di Loreto -- da lui considerato il più importante santuario mariano del mondo -- per portare la Chiesa in ginocchio davanti al mistero dell'incarnazione del Verbo. Una serie di circostanze, oltre al parere contrario di alcuni collaboratori, fecero slittare il viaggio sino a lasciarne cadere il progetto. Una sera, quando mancavano pochi giorni dall'apertura del concilio Vaticano II, il Pontefice, conclusa la sua preghiera, fece chiamare il segretario di Stato, il cardinale Amleto Cicognani, e gli chiese di organizzare il pellegrinaggio a Loreto prima dell'assise conciliare. Gli raccomandò però di non farmi sapere nulla, se non a cose fatte. Era già ammalato e sopportava grandi dolori. Sapeva che io avrei cercato in ogni modo di dissuaderlo. Il cardinale invece, uomo molto prudente e pieno di affetto per Papa Roncalli, me lo comunicò subito. Anche lui era preoccupato per le condizioni di salute del Pontefice ma mi fece capire che la sua determinazione era tale da non lasciare vie d'uscita. Quando più tardi ci ritrovammo in casa, il Santo Padre notò la mia preoccupazione e me ne chiese conto. Gli dissi del colloquio avuto con il segretario di Stato e osai confidargli di aver preso la sua riservatezza nei miei confronti come una mancanza di fiducia. Non l'avessi mai detto: diventò come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata e pronto a tutto pur di farsi perdonare. Mi confessò l'ardore del suo desiderio e il timore della mia contrarietà in ragione delle sue condizioni di salute. Solo quando gli ebbi assicurato che mai e poi mai sarei venuto meno alla fedeltà e alla prontezza nel servirlo in ogni suo desiderio, lo vidi sereno e sorridente di nuovo. Ricordo che mi prese per mano, mi portò nella sua cappellina privata e mi disse: «Loris vieni, andiamo a pregare». Pregammo a lungo insieme quella sera.
Come mai decise di viaggiare in treno piuttosto che in macchina?
Fu per rendere un omaggio all'Italia. Era il 1962 e da pochi mesi il Paese aveva celebrato il centenario dell'unità, ricorrenza alla quale il Papa aveva partecipato spiritualmente con fervore e con rispetto, soprattutto attraverso la preghiera. Si pensò dunque di dare un senso ulteriore a questa partecipazione facendo ripercorrere al Papa le strade del cosiddetto “dominio di San Pietro”, il cuore d'Italia, cioè il Lazio, l'Umbria e le Marche, con un mezzo delle Ferrovie dello Stato. Gliene fu molto grato il presidente della Repubblica Antonio Segni, che andò a rendergli omaggio alla partenza insieme al presidente del Consiglio dei ministri Amintore Fanfani. Gli assicurarono che sarebbe stato accolto in quelle terre non nelle vesti del principe spodestato, ma in quelle del padre amato.
Un amore che gli italiani gli dimostrarono realmente lungo l'intero tragitto. Cosa ricorda in particolare di quel viaggio in treno?
Tutto. Ogni momento. Fu un'esperienza bellissima. Mai visto nulla di simile sino a quel momento. Allora non c'era alle spalle nessuna organizzazione di gruppi o movimenti che invitassero alla mobilitazione. Fu una cosa assolutamente spontanea. La gente venne a conoscenza della notizia all'improvviso e tuttavia accorse numerosissima, con grande spontaneità. Lo amavano davvero tanto e non vollero perdere l'occasione di testimoniarglielo da vicino. Nonostante fosse un incontro del tutto singolare, svoltosi lungo qualche centinaio di chilometri, l'ho vissuto e lo ricordo con lo stesso calore e con lo stesso piacere con il quale si ricordano gli incontri attorno al caminetto di casa, in una grande e bella famiglia. Ecco in quel giorno una grande famiglia, quella italiana, si riunì attorno al Papa. E non erano tempi facili. Neppure per la Chiesa. Ma il Pontefice riuscì a unire tutti. Il viaggio subì notevoli ritardi sul programma. Erano previste piccole soste in alcune stazioni. Ma nessuno avrebbe mai immaginato cosa sarebbe veramente successo. Quella che mi è rimasta più impressa è la sosta a Terni, allora chiamata “la rossa” per la sua spiccata caratterizzazione politica. Nessuno pensò neppure lontanamente di chiudere le fabbriche in occasione del passaggio del Papa, eppure la stazione di Terni fu letteralmente invasa dagli operai. Il treno si fermò a lungo per consentire a Giovanni XXIII di restare con loro il più possibile. Ricordo tante persone che hanno pianto commosse. Non avrebbero voluto lasciarlo partire. Papa Roncalli, che si sentiva molto vicino alla gente semplice, ne rimase profondamente colpito. Scene che si ripetevano lungo tutte le stazioni del tracciato, anche quelle dove non era prevista la sosta. Il treno doveva rallentare sino quasi a fermarsi.
E la sera al rientro le ha confidato le emozioni provate?
Anzitutto si disse felice di aver potuto “incontrare” la Vergine lauretana e san Francesco -- il pellegrinaggio, com'è noto, toccò anche Assisi -- prima di iniziare la grande assemblea conciliare. Si sentiva, come disse, spiritualmente soddisfatto. Poi, quando ripercorremmo brevemente con la memoria le varie fasi della giornata, mi stupì l'entusiasmo con il quale il Papa ricordava soprattutto il secondo passaggio a Foligno, dopo la sosta a Loreto. Erano trascorse diverse ore dal primo passaggio. E non era prevista una sosta. Era molto tardi, eppure la gente era ancora tutta lì, lungo i marciapiedi della stazione. Forse c'era anche più gente di prima. Ricordo i bambini e le loro grida, la grande festa di gente, di colori, di canti. Il treno fu costretto a rallentare sino a fermarsi. Poi improvvisamente si fece silenzio. Proprio all'altezza del gruppo dei bambini il Papa si era affacciato al finestrino e aveva cominciato a parlare con loro.
E cosa disse?
Come al solito scherzò. «Avete visto figlioli miei? Per la strada -- disse -- si va e a volte si torna. Io sono tornato tra voi perché, mentre molti dicono che il mondo invecchia, voi gridate che non è vero. Cristo lo ringiovanisce continuamente in voi e la Madonna lo vigila. Alla Madonna ho appena affidato la Chiesa, a voi affido il mondo, quello di domani. Non fatelo invecchiare. Ecco, volevo dirvelo». Fu questo l'ultimo pensiero di una giornata indimenticabile. «Chissà -- si chiese quasi borbottando bonariamente mentre si avviava verso la sua stanza -- se quei bambini mi avranno capito». Chiuse la porta alle sue spalle, ma credo che continuò a pregare. La luce si spense molto tardi quella notte.
(©L'Osservatore Romano 3 ottobre 2012)
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