Per evangelizzare ci vuole il “fuoco” della Fede
Il messaggio del Papa al Sinodo
«La grande sofferenza dell’uomo è legata al dubbio se, dietro il silenzio dell’Universo e le nuvole della storia, c’è Dio e se ha a che fare con noi? È una ipotesi o no? Perché non si fa sentire?». Con questo interrogativo esistenziale Benedetto XVI ha introdotto il tema della nuova evangelizzazione in apertura della prima sessione del Sinodo.
«Il Vangelo - ha detto il Papa - è Dio che si fa sentire, ha rotto il suo silenzio, si fa conoscere come il Dio con noi, che ci ama e si fa conoscere: non è più il grande sconosciuto, ha mostrato se stesso, ci dice come possiamo fare».
In proposito Ratzinger ha ricordato le origini più antiche della parola «Evangelion» che è più antica del cristianesimo perché, ha detto, «appare in Omero, come annuncio di vittoria, di bene, di gioia e di felicità, e che nel “secondo Isaia” ci fa capire come Dio non abbia dimenticato il suo popolo: si era ritirato apparentemente dalla storia, ma ancora ha potere, dà gioia, apre le porte dell’esilio e dà la possibilità del ritorno al suo popolo, rinnova la storia del bene portando giustizia, pace e salvezza agli esclusi: carcerati e poveri». Ma è interessante per il Pontefice - che spesso riconduce all’intera sapienza classica le sue riflessioni sul cristianesimo - anche l’uso della parola fatto nell’Impero Romano: «Evangelium - ha sottolineato - è messaggio che arriva dall’Imperatore e come tale porta bene, un messaggio di potenza, di potere, di rinnovamento, di salute».
Aprendo la prima sessione del Sinodo che riunisce a Roma 262 vescovi di tutto il mondo, il Papa ha spiegato che «il cristiano non deve essere tiepido, è questo il più grave pericolo del cristianesimo di oggi: la tiepidezza discredita il cristianesimo». Il fuoco - ha ricordato - è luce, calore, forza di trasformazione: la cultura umana comincia quando l’uomo ha scoperto il potere di creare il fuoco - altro riferimento alla tradizione precristiana - , che distrugge ma soprattutto trasforma, rinnova e crea una novità, quella dell’uomo, che diventa luce in Dio».
Per il Papa teologo, è importante che nel latino cristiano la parola «professio» sia stata sostituita dalla parola «confessio» che è quella usata in tribunale, nel processo, e che dunque porta in se l’elemento martiriologico: una testimonianza cioè in istanze nemiche della fede, in pericolo di morte, e infatti ad essa appartiene la disponibilità di soffrire». La confessio - dunque - è la prima colonna dell’Evangelizzazione, e non è una cosa astratta. La confessio fondata profondamente, che accende gli altri, è - ha concluso - una novità che diventa realmente visibile ed è forza del presente e del futuro».
Infine il Santo Padre ha ricordato che «gli Apostoli non hanno varato la Chiesa con la forma di una Costituente che doveva fare la Costituzione».
Secondo il Pontefice, «solo con iniziativa di Dio poteva nascere la Chiesa, e anche oggi l’inizio deve venire da Dio». «Non possiamo fare noi la Chiesa, ma solo conoscere quel che ha fatto Lui, perché - ha spiegato - la Chiesa non comincia dal nostro fare: Dio ha agito per primo». «Perciò - ha rilevato - non è una formalità il fatto che cominciamo con la preghiera: solo il precedere di Dio rende possibile il camminare nostro, ciò rende realizzabile la nostra cooperazione, solo implorando la sua iniziativa possiamo diventare evangelizzatori. Solo Lui può fare la Pentecoste».
Per il Papa, «Dio è sempre l’iniziatore, ma vuole il coinvolgimento nostro, che implica il nostro essere, tutta la nostra attività. Da parte nostra, ha detto ancora Ratzinger, «preghiamo perché venga lo Spirito Santo, in noi e con noi. Il nostro agire segue così l’iniziativa di Dio, per arrivare a questa realtà: al mondo di oggi».
© Copyright La Discussione, 9 ottobre 2012
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