ANNO DELLA FEDE
Cosa portare nella bisaccia
Benedetto XVI: la Chiesa pellegrina sulle vie della storia
Marco Doldi
“Entrare più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso”.
Sono le parole con cui Benedetto XVI ha spiegato il senso dell’Anno della fede, nella giornata dell’11 ottobre. “E questo senso - ha continuato - è stato ed è tuttora la fede in Cristo, la fede apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo a ogni uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie della storia”.
Il Concilio s’inserisce, dunque, in un grande movimento spirituale della Chiesa con lo scopo di annunciare la fede in Cristo. Gesù è il centro della fede cristiana: il cristiano crede in Dio mediante Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è “colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (12,2). Il Vaticano II è stato un evento eminentemente spirituale e la sua esatta comprensione è proprio la fede. Ricorda il Pontefice – in quel tempo perito conciliare – come durante il Concilio vi fosse una “tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi”.
Dopo cinquant’anni la Chiesa è ancora in movimento, impegnata in un pellegrinaggio spirituale, in un esodo attraverso i deserti del nostro tempo. Come procedere? Benedetto XVI individua alcune attenzioni da tenere presenti. Innanzitutto, occorre leggere nuovamente i testi del Concilio, nei quali si è manifestata la spinta alla nuova evangelizzazione. “Per questo ho più volte insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla ‘lettera’ del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne anche l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del Vaticano II si trova in essi”. Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la “novità nella continuità” e la riforma nella continuità della Tradizione vivente della Chiesa.
In secondo luogo, si deve prendere coscienza che di evangelizzazione c’è più bisogno oggi che cinquant’anni fa! Il Papa nell’indire l’Anno della fede ha tristemente constatato come in alcune regioni del mondo la fede si stia spegnendo a motivo del secolarismo, che, di natura sua, anestetizza la ricerca di Dio e delle cose eterne. Se al tempo del Concilio si sapeva per esperienza che cosa significasse vivere in un modo senza Dio, così come era avvenuto durante i totalitarismi del Novecento, oggi si è davanti a una desertificazione spirituale.
Ciò non conduce alla rassegnazione: “È proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne”. Il deserto presenta opportunità inattese, come la riscoperta del valore di ciò che è essenziale per vivere. E la fede è il primo di questi valori, perché offre un senso all’esistenza e indica una Terra promessa, verso cui tendere. Che cosa sarebbe l’uomo senza l’orizzonte della fede?
Nel deserto contemporaneo c’è bisogno di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via e tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi, più che mai, evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. “Ecco allora – prosegue Benedetto XVI - come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche – come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc 9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del Concilio ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure lo è il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato 20 anni or sono”.
Il nostro tempo è segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti di Dio. Per il Papa occorre, allora, tornare alla lezione semplice e fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo, nella sua essenza, consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e nell’incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e guida la vita: tutto il resto ne consegue. La cosa importante oggi, proprio come era nel desiderio dei Padri conciliari, è che si veda - di nuovo, con chiarezza - che Dio è presente, riguarda l’uomo e gli risponde. Al contrario, quando manca la fede in Dio, crolla ciò che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e non vede ciò che rende grande la sua umanità. Il Concilio Vaticano II è un forte appello a riscoprire ogni giorno la bellezza della fede, a conoscerla in modo profondo per un più intenso rapporto con il Signore, a vivere fino in fondo la vocazione cristiana.
© Copyright Sir
Nessun commento:
Posta un commento