Una delegazione si recherà a Damasco per esprimere solidarietà, vicinanza e incoraggiamento a un accordo rispettoso dei diritti e doveri di tutti
In Siria a nome del Papa e del Sinodo
E all'udienza generale Benedetto XVI inizia un nuovo ciclo di riflessioni sull'Anno della fede
Benedetto XVI ha disposto l’invio di una delegazione in Siria per esprimere, a nome del Sinodo dei vescovi e suo personale, solidarietà e vicinanza alla martoriata popolazione di quella Nazione. Ne ha dato notizia il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, nel pomeriggio di ieri, martedì 16 ottobre, durante i lavori della quattordicesima congregazione generale. E questa mattina, mentre proseguivano in aula gli interventi dei padri sulla nuova evangelizzazione, all’udienza generale il Papa è tornato a ricollegarne i contenuti all’Anno della fede, al quale ha voluto dedicare un nuovo ciclo di catechesi, interrompendo temporaneamente quello sulla «scuola della preghiera».
Un Anno speciale — lo ha definito Benedetto XVI — indetto affinché «la Chiesa testimoni in modo concreto la forza trasformante della fede». Lo rendono necessario quelle «trasformazioni culturali in atto» — ha spiegato — che «mostrano spesso tante forme di barbarie», passando sotto il segno di «conquiste di civiltà». Mentre «dove c’è dominio, possesso, sfruttamento, mercificazione dell’altro per il proprio egoismo, dove c’è l’arroganza dell’io chiuso in se stesso, l’uomo viene impoverito, degradato, sfigurato». Al contrario, solo «la fede cristiana, operosa nella carità e forte nella speranza, non limita, ma umanizza la vita».
Insomma l’Anno della fede dev’essere un occasione «per ritornare a Dio». E Benedetto XVI si è soffermato sul «problema della “regola della fede”», ovvero sui contenuti essenziali della stessa. Per il Pontefice essi si trovano nel Credo, che dovrebbe essere meglio «conosciuto, compreso, pregato» e, soprattutto, «riconosciuto. Conoscere, infatti, potrebbe essere un’operazione soltanto intellettuale», mentre il “riconoscere” implica «la necessità di scoprire il legame profondo tra le verità che professiamo e la nostra esistenza quotidiana, perché queste verità siano veramente e concretamente — ha aggiunto con due immagini evocative — acqua che irrora le arsure del nostro cammino». Che tradotto in pratica significa illuminare le «trasformazioni culturali» in atto con le «verità cristiane», specie laddove «la vita è vissuta con leggerezza, senza ideali chiari e speranze solide, all’interno di legami sociali e familiari liquidi, provvisori» oppure «dentro esperimenti che durano poco, senza assunzione di responsabilità». E questo vale anche per molti cristiani, che spesso neanche conoscono «il nucleo centrale della fede cattolica», lasciando spazio a sincretismi e relativismi, a religioni «fai-da-te».
(©L'Osservatore Romano 18 ottobre 2012)
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