giovedì 30 agosto 2012

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla legge 40 nel commento del giurista Spinelli


L'incoerenza è nell'aborto

Non tra la legge 40 e la legge 194 come ritiene la Corte di Strasburgo

Stefano Spinelli, giurista

Nella decisione non definitiva resa ieri nella questione C. P. c. Italie (Costa e Pavan contro l'Italia) la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che il nostro Paese, con la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, avrebbe violato i diritti umani, impedendo a una coppia portatrice sana di una malattia genetica di ricorrere alla diagnosi preimpianto, cioè alla selezione degli embrioni con l'eliminazione di quelli malati, e l’impianto di quelli non portatori dell’anomalia genetica.
La coppia che ha posto la questione ha avuto un primo figlio affetto da fibrosi cistica, che è abitualmente causa di problemi respiratori e può rivelarsi fatale. I genitori, accortisi di essere portatori sani, alla seconda gravidanza hanno effettuato una diagnosi prenatale, che ha rivelato che il feto era malato, e sono quindi ricorsi all’aborto previsto dalla legge italiana. Poi hanno chiesto l’accesso alle procedure di fecondazione per poter effettuare la diagnosi preimpianto. 
La legge italiana la vieta, proprio perché il fine perseguito è quello di “favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana”; e non è invece quello di permettere ai genitori di scegliere un figlio e di sceglierlo sano. 
La diagnosi preimpianto consente di realizzare il diritto della coppia alla procreazione di un figlio sano, che viene selezionato e impiantato, al prezzo della soppressione di altri embrioni e possibili figli affetti dalla stessa malattia dei genitori. E’ una forma di ricerca dell’individuo sano e perfetto, che oggi si limita a essere quello privo di malattia genetica, e domani potrà essere quello ritenuto il più vicino a ciascun personale e soggettivo ideale di uomo. In questo modo però – sia pure per un fine che appare “umano”, come quello di avere figli sani – si legittimano forme di selezione della prole che sono invece profondamente disumane, avendo come contenuto oggettivo il diritto dei genitori di decidere chi, e con quali caratteristiche, far nascere o non nascere qualcuno. 
La questione è tutta qui. Eppure la Corte europea non ha speso una parola su questo. 
Essa ha deciso che il desiderio dei ricorrenti di ricorrere alla diagnosi preimpianto per avere un figlio sano costituisce “una forma di espressione della loro vita privata e familiare” rilevante ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea (si traduca con diritto di autodeterminazione). 
La motivazione pone direttamente il dito nella piaga dello stravolgimento attuale della ragione umana e dello smarrimento del cuore più profondo dell’uomo. In sostanza la Corte denuncia di fatto l’assenza di coerenza del sistema legislativo italiano: “da una parte, impedisce ai genitori l’impianto limitato ai soli embrioni non affetti da malattia; dall’altra, li autorizza ad abortire un feto affetto dalla medesima patologia”. 
Da un certo punto di vista, come dare torto alla decisione europea? La mancanza di coerenza c’è. Ma il problema non sta affatto nella legge 40, e nel divieto di “ogni forma di selezione a scopo eugenetico”, bensì in quella che prevede l’aborto e la possibilità di sopprimere una futura vita umana. 
La decisione poi presuppone un ulteriore diritto che non è però affermato da alcuna parte, ossia il diritto ad avere un figlio sano. La Cassazione ha precisato che “il diritto a nascere sani significa solo che… siano predisposti quegli istituti normativi o quelle strutture di tutela, di cura e assistenza, della maternità, idonei a garantire, nell’ambito delle umane possibilità, la nascita sana… Non significa invece che il feto, che presenti gravi anomalie genetiche, non deve essere lasciato nascere”. 
In particolare, la Corte europea non ha neppure citato, tra le norme rilevanti nella fattispecie, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (la cosiddetta Carta di Nizza, che invece viene sempre richiamata, a proposito e a sproposito). All’art. 3, essa prevede “il divieto di pratiche eugenetiche, in particolare quelle aventi come scopo la selezione delle persone”. 
Non resta che sperare nel ricorso di appello alla Grande Chambre che spesso – su questi temi – è stata più ponderata e attenta, augurandoci che venga coinvolta dal Governo italiano. 

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