domenica 10 giugno 2012

L'ecclesiologia di comunione a cinquant'anni dall'apertura del concilio Vaticano II (Marc Ouellet)


L'ecclesiologia di comunione a cinquant'anni dall'apertura del concilio Vaticano II


Ciò che realizza la Chiesa


Pubblichiamo stralci dell'intervento tenuto mercoledì scorso a Maynooth, in Irlanda, dal cardinale prefetto della Congregazione per i vescovi al Simposio teologico sul cinquantesimo anniversario dell'apertura del concilio Vaticano II. L'incontro ha preceduto il Congresso eucaristico internazionale, che si apre domenica 10 giugno a Dublino e che verrà chiuso, domenica 17, dallo stesso porporato, che vi partecipa come legato pontificio. 


di Marc Ouellet


A cinquant'anni dall'apertura del concilio ecumenico Vaticano II, la Chiesa stima ancora di più l'entità dell'evento e la portata dei suoi testi, che hanno segnato profondamente la sua vita e il suo rapporto con il mondo nel passaggio al terzo millennio. 
Il beato Giovanni XXIII aveva assegnato al concilio due finalità principali: aggiornare la presentazione della dottrina della Chiesa e promuovere l'unità dei cristiani, due obiettivi che volevano rinnovare il rapporto della Chiesa con il mondo moderno e rilanciare così la sua missione universale.
Per raggiungere questi obiettivi, i Padri conciliari avviarono una riflessione di fondo sull'ecclesiologia nella speranza di definire meglio la natura profonda della Chiesa, la sua struttura essenziale, il senso della sua missione in un mondo in via d'emancipazione rispetto alla sua influenza e alla sua tradizione.
L'ecclesiologia di comunione è il frutto di questa riflessione, che è maturata nel corso della progressiva ricezione dei testi conciliari, con notevoli divergenze a seconda che l'interpretazione teologica o pastorale privilegiasse la riforma nella continuità oppure la rottura con la Tradizione. È così che dopo aver favorito la “spiegazione” e la “ricezione” del Concilio, è apparso necessario orientare la sua interpretazione, cosa che ha fatto il Sinodo del 1985, dichiarando che «l'ecclesiologia di comunione è l'idea centrale e fondamentale dei documenti del Concilio». 
Papa Benedetto XVI ha contribuito in grande misura a questa riflessione, prendendo atto della sua necessità: «Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? 
Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o -- come diremmo oggi -- dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione» (Discorso alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2005). 
Basta ricordare la riforma liturgica, la collegialità episcopale, la sinodalità, l'ecumenismo, per toccare punti nevralgici ben noti dell'ecclesiologia di comunione e della sua interpretazione.
(...) 
Grande flessibilità è possibile per la disciplina ecclesiastica negli ambiti della liturgia, del clero, della sinodalità, della nomina e del governo dei vescovi, eccetera, ma l'unità dell'insegnamento in materia di fede e di morale richiede un'autorità dottrinale che decida in ultima istanza a seconda del ruolo tradizionalmente riconosciuto al Sommo Pontefice.
Tra la Chiesa universale e la Chiesa particolare non c'è dunque opposizione ma piuttosto una reciproca immanenza derivante dal primato di Cristo sulla Chiesa. Non c'è dunque Chiesa particolare che non sia prima di tutto e sempre Chiesa universale che accoglie i figli di Dio che le dona Cristo attraverso la fede e i sacramenti, celebrati in un determinato luogo.
La Chiesa particolare sarà giustamente valorizzata se la si considera come una “porzione” della Chiesa universale e non solo come una parte o regione geografica. “Porzione” significa che la Chiesa universale è presente in questa porzione e fonda la sua comunione con tutte le altre porzioni che formano una sola Chiesa. Questa presenza dell'unica Chiesa in ognuna implica un rapporto di comunione tra i vescovi che significa per ciascuno di essi una piena autorità episcopale sulla porzione che ha il compito di pascere e della quale deve assicurare la comunione con la Chiesa universale. Il Papa nutre «la preoccupazione per tutte le Chiese» (2 Corinzi, 11, 28) in quanto Pastore della Chiesa universale, ma svolge questo servizio come garante dell'unità, vale a dire non sostituendosi all'autorità del vescovo locale, ma confermandola dall'esterno. Egli ha l'autorità universale sui pastori e sui fedeli in quanto vescovo di Roma che presiede il collegio dei vescovi di cui è il capo. Il suo ruolo è di vegliare sull'unità di tutta la Chiesa curando in primo luogo la comunione dei vescovi con lui e tra di essi. Da parte loro, i vescovi non sono vicari del Papa, sono anch'essi vicari di Cristo, ma dipendono dal capo del collegio per tutto ciò che riguarda l'unità dottrinale e disciplinare della Chiesa universale.
In breve, il rapporto tra la Chiesa universale e le Chiese particolari presuppone un'ecclesiologica eucaristica costruita su una previa ecclesiologia battesimale. 
Questo rapporto implica la comunione tra i vescovi e con il Successore di Pietro, comunione rispettosa del primato di Pietro e della collegialità dei vescovi. Molti progressi sono stati realizzati dal concilio Vaticano II, ma la riflessione deve proseguire sul piano teologico e pratico al fine di rendere la comunione ecclesiale ed episcopale sempre più fedele alla vocazione sacramentale della Chiesa. (...)
Uno dei compiti importanti della teologia, e soprattutto della pastorale di oggi, è d'integrare le devozioni eucaristiche nate nel Medioevo in una visione ecclesiale della comunione eucaristica. Alcuni sostenitori di un'ermeneutica della rottura lasciano a volte intendere che le pratiche moderne di adorazione del Santissimo Sacramento, processioni eucaristiche e messe private non aiutano a capire lo stretto legame tra la celebrazione eucaristica e la comunione ecclesiale. L'eccessiva semplificazione a tale riguardo non favorisce la comunione ecclesiale in quanto provoca polarizzazioni nefaste e non riconosce i valori presenti nella pietà eucaristica moderna.
L'adorazione del Santissimo Sacramento, per esempio, non deve essere sminuita come un costume pietistico ormai superato. Essa costituisce uno sviluppo della tradizione vivente che ha sentito il bisogno di esprimere così la fede nella presenza reale di Cristo nel sacramento. Bisogna anche conservare la consapevolezza che un accento unilaterale sull'aspetto ecclesiale identificato con “comunitario” può comportare il rischio di ridurre la celebrazione eucaristica alle sue implicazioni etiche o sociali.
L'equilibrio è da ricercare nella reintegrazione delle manifestazioni di pietà eucaristica al di fuori della Messa in una visione inglobante della comunione eucaristica ed ecclesiale. 
L'adorazione del Santissimo Sacramento, per esempio, è una forma di comunione spirituale che prolunga la comunione sacramentale o che la sostituisce quando un ostacolo impedisce la ricezione del sacramento. Si deve sempre cercare di mostrare il senso ecclesiale delle altre manifestazioni di pietà eucaristica ricollegandole alla celebrazione eucaristica. La tradizione eucaristica della Chiesa è di una tale ricchezza che non la si può ridurre alla sola celebrazione dell'Eucaristia. Si ha bisogno di tutta la cultura eucaristica della Chiesa per mantenere ognuno dei suoi aspetti in equilibrio. Il dialogo tra teologi, pastori e fedeli deve dunque proseguire in un clima di apertura e di rispetto delle tradizioni spirituali.
(...) Il concilio Vaticano II è stato certamente un vento di Pentecoste che ha liberato la Chiesa dal suo isolamento dal mondo moderno e dai suoi limiti ecclesiologici. Non ha solo ristabilito l'equilibrio tra il primato di Pietro e la collegialità episcopale, né ha solamente articolato il sacerdozio regale dei battezzati rispetto al ministero gerarchico, ma ha anche aperto ampiamente ai carismi che lo Spirito distribuisce per il rinnovamento o l'espansione della Chiesa. «E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (1 Corinzi, 12, 7). «E questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione» (Lumen gentium, n. 12).
Resto profondamente convinto che l'assise conciliare ha contribuito in grande misura alla nascita di una moltitudine di carismi che hanno ora pieno diritto di cittadinanza nella Chiesa. Comunità antiche e nuove di vita consacrata, movimenti ecclesiali, apostolato laico e tutto ciò che san Paolo descrive nelle sue liste non esaustive di carismi, tutto ciò appartiene alla Chiesa di Cristo che lo Spirito Santo arricchisce abbondantemente per farne la Sposa splendente e bella secondo il volere divino. Tutto questo dinamismo spinge la teologia a ripensare l'ecclesiologia di comunione integrando sistematicamente queste realtà nuove, come anche quelle antiche che appartengono a questo ordine di realtà destinate a edificare la Chiesa. (...)
A cinquant'anni dall'apertura del concilio ecumenico Vaticano II, abbiamo constatato che l'ecclesiologia di comunione è stata la sua ispirazione più grande, che una giusta interpretazione ha progressivamente identificato e valorizzato. L'ecclesiologia di comunione è ancora in pieno sviluppo. È resa feconda dai dialoghi ecumenici con gli ortodossi e dalla loro ecclesiologia eucaristica, come pure dai dialoghi con le comunità ecclesiali nate dalla riforma che mantengono il primato dell'ecclesiologia battesimale.
In seno alla Chiesa cattolica, l'ecclesiologia di comunione valorizza il ministero episcopale, le conferenze episcopali e il sinodo dei vescovi, rinnovando allo stesso tempo la riflessione sul primato di Pietro; promuove la ricerca di un nuovo equilibrio tra primato e collegialità nei rapporti tra la Chiesa universale e le Chiese particolari. A livello delle Chiese particolari, la dimensione sacramentale dell'ecclesiologia di comunione estende la coscienza della Chiesa sino alla famiglia, Ecclesia domestica; esige una rinnovata pastorale dell'iniziazione cristiana, come pure l'integrazione armoniosa dei carismi per una nuova ed efficace evangelizzazione.
L'ecclesiologia di comunione ha dunque rivitalizzato la Chiesa ad intra e questa ha moltiplicato le aperture ecumeniche e missionarie ad extra. Rallegriamoci di questa fecondità del Concilio, che prevale di gran lunga sui fenomeni di regressione o di ricezione ideologica. Fra le sue conseguenze osserviamo l'impegno rinnovato della Chiesa per la pace e la giustizia nel mondo, la sua promozione del dialogo interreligioso e di una globalizzazione della solidarietà nello spirito dell'enciclica Caritas in veritate.
L'ecclesiologia di comunione deve essere però teologicamente approfondita e pastoralmente messa in atto. Di fatto essa appare sempre più, dopo cinquant'anni, come la realizzazione concreta della Chiesa, Sacramento della salvezza. La nozione di sacramento applicata alla Chiesa deve essere compresa non solo come l'efficacia dei sette sacramenti, ma anche come la partecipazione della comunione ecclesiale alla comunione trinitaria donata al mondo in Gesù Cristo: «chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Giovanni, 4, 16).
La sacramentalità della Chiesa di conseguenza significa la comunione ecclesiale come forza di attrazione e di evangelizzazione. Non dimentichiamo che la forza evangelizzatrice dei primi cristiani proveniva dalla loro testimonianza di amore reciproco che attirava e convertiva i pagani: «Vedete, si dice -- come si amano gli uni gli altri». «La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, n. 1), conformemente alla definizione generale di sacramento. In quanto “segno” essa è portatrice di una realtà divina misteriosa che nessuna immagine o analogia di questo mondo può esprimere in modo adeguato. In quanto “strumento”, essa opera efficacemente per la salvezza del mondo attraverso la sua unione con Cristo che l'associa come suo Corpo e sua Sposa al suo unico sacerdozio. La missione della Chiesa coincide di conseguenza con la forma sacramentale dell'amore che rivela Dio all'opera nel mondo in stretta sinergia con i testimoni della Nuova Alleanza.
Il futuro dalla missione della Chiesa passa dunque per la sua testimonianza di unità e il suo dialogo con tutta l'umanità, in nome della comunione trinitaria, destinata a tutti, di cui essa è il sacramento. La sua missione sacramentale significa più di un riferimento alla Santissima Trinità come a un ideale o a un modello; significa una comunione che è autentica partecipazione alla testimonianza della Trinità nella storia. «Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue, e questi tre sono concordi. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore […] E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita» (1 Giovanni, 5, 7-9; 11-12).

(©L'Osservatore Romano 10 giugno 2012)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ancora il solito lemma sul concilio...l'ermeneutica ella rottura la si legge tra questa sue righe, eminenza!

Anonimo ha detto...

"molti progressi sono stati fatti..."

Eminenza, io vedo solo macerie, proprio a partire dalla comunione: il Papa parla e tutti fanno come vogliono.

Mentre nel mondo i cristiani in paesi cristiani e no vengono perseguitati: vedi Nigeria e Siria, i nostri prelatoni stanno ancora a disquisire sulle virgole del concilio...
Uscite dai palazzoni e fatevi un bagno di di realtà che è meglio!