Papa/ Annuncio della fede ha bisogno di persone con vita coerente
Messaggio letto da Bertone a seduta pontificie accademie Ravasi
Città del Vaticano, 30 nov. (TMNews)
"L'annuncio della novità cristiana, della bellezza della fede in Cristo ha bisogno di persone che, con la propria coerenza di vita, con la propria fedeltà, testimoniata se necessario fino al dono di se stessi, manifestano l'assoluto primato dell'amore su ogni altra istanza".
E' quanto afferma il Papa in un messaggio al cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della Cultura, in occasione della XVI seduta pubblica delle pontificie accademie che si svolge sul tema 'Testimonianze e Testimoni. I martyria e i campioni della fede'.
"Se osserviamo con attenzione l'esempio dei martiri, dei coraggiosi testimoni dell'antichità cristiana, come anche dei numerosissimi testimoni dei nostri tempi - scrive Benedetto XVI nel messaggio che è stato letto dal cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone - ci accorgiamo che sono persone profondamente libere, libere da compromessi e da legami egoistici, consapevoli dell'importanza e della bellezza della loro vita, e proprio per questo capaci di amare Dio e i fratelli in maniera eroica, tracciando la misura alta della santità cristiana. I campioni della fede, lungi dal rappresentare un modello conflittuale col mondo e con le realtà umane, annunciano e testimoniano, al contrario, l'amore ricco di misericordia e di condiscendenza di Dio padre che in Cristo crocifisso, il 'testimone fedele', è entrato nella nostra storia e nella nostra umanità, non per avversarla o sottometterla ma per trasformarla profondamente e renderla così nuovamente capace di corrispondere pienamente al suo disegno di amore. Anche oggi la Chiesa - afferma il Papa - se vuole efficacemente parlare al mondo, se vuole continuare ad annunciare fedelmente il Vangelo e far sentire la sua presenza amichevole agli uomini e alle donne che vivono la loro esistenza sentendosi 'pellegrini della verità e della pace', deve farsi, anche nei contesti apparentemente più difficili o indifferenti all'annuncio evangelico, testimone della credibilità della fede, deve cioè saper offrire testimonianze concrete e profetiche attraverso segni efficaci e trasparenti di coerenza, di fedeltà e di amore appassionato e incondizionato a Cristo, non disgiunto da un'autentica carità, dall'amore per il prossimo. Ieri come oggi, il sangue dei martiri, la loro tangibile ed eloquente testimonianza scrive il Papa - tocca il cuore dell'uomo e lo rende fecondo, capace di far germogliare in sé una vita nuova, di accogliere la vita del Risorto per portare risurrezione e speranza al mondo che lo circonda".
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mercoledì 30 novembre 2011
Santa Sede: bene l’ordinazioine con mandato pontificio, male la presenza di Lei Shiyin (AsiaNews)
Clicca qui per leggere il commento segnalatoci da Laura.
Il Papa alle Pontificie Accademie: ci vuole "passione autentica" (Sir)
BENEDETTO XVI: ALLE PONTIFICIE ACCADEMIE, CI VUOLE “PASSIONE AUTENTICA”
Un’occasione per riflettere su “la storicità del cristianesimo, il suo intrecciarsi continuamente con la storia per trasformarla in profondità grazie al lievito del Vangelo e della santità vissuta e testimoniata”.
Così Benedetto XVI ha definito la XVI seduta pubblica delle Pontificie Accademie, appuntamento organizzato questo pomeriggio a Roma dalla Pontificia Accademia romana di archeologia e dalla Pontificia Accademia “Cultorum Martyrum”, sul tema “Testimonianze e testimoni. I martyria e i campioni della fede”.
“La ricerca storica, e soprattutto quella archeologica, mirano a indagare sempre più accuratamente e con strumenti di ricerca quanto mai sofisticati – ha sottolineato il Papa – le memorie, le testimonianze del passato; tra queste rivestono, per noi, un particolare interesse quelle delle antiche comunità cristiane”.
“Ma la tecnologia, pur utilissima, da sola – ha aggiunto - non basta. Sono necessarie, innanzitutto, una reale competenza dei ricercatori, maturata attraverso studi approfonditi e tirocini faticosi, e la loro passione autentica per la ricerca, motivata proprio dall’interesse per l’esperienza umana, e quindi anche religiosa, che si cela e poi si rivela attraverso le testimonianze materiali”.
“Se questo può valere per ogni indagine archeologica, a maggior ragione – ha precisato il Pontefice – vale quando si studiano i monumenti cristiani, e particolarmente i martyria, le testimonianze archeologiche e monumentali che attestano il culto della comunità cristiana per un campione della fede, per un martire”. Benedetto XVI ha quindi citato, “tra i tanti siti archeologici in cui emergono i segni della presenza cristiana”, la Terra Santa, territorio “già fortemente segnato dalla presenza del popolo di Israele”, che “diviene anche l’ambito per eccellenza in cui ricercare i segni della presenza storica di Cristo e della prima comunità dei suoi discepoli”. A tal proposito, il Santo Padre ha lodato l’opera archeologica svolta da “padre Bagatti, padre Corbo e il compianto padre Piccirillo”, che “ha portato a notevolissime scoperte e acquisizioni”. Altro “polo strategico dell’indagine archeologica” è Roma: qui, “ma anche in molte altre località dove il cristianesimo si diffuse già nei primi secoli della nostra era, si possono ancor oggi ammirare e studiare numerosi elementi monumentali” che attestano “non solo una generica presenza cristiana, ma soprattutto una forte testimonianza dei cristiani”.
“I numerosissimi interventi monumentali e artistici dedicati ai martiri”, ha proseguito papa Benedetto, “scaturiscono da una convinzione sempre presente nella comunità cristiana, di ieri come di oggi: il Vangelo parla al cuore dell’uomo e si comunica soprattutto attraverso la testimonianza viva dei credenti”.
Così anche oggi la Chiesa, per parlare “efficacemente”, deve farsi, “anche nei contesti apparentemente più difficili o indifferenti all’annuncio evangelico, testimone della credibilità della fede, deve cioè saper offrire testimonianze concrete e profetiche attraverso segni efficaci e trasparenti di coerenza, di fedeltà e di amore appassionato e incondizionato a Cristo, non disgiunto da un’autentica carità, dall’amore per il prossimo”.
“Ieri come oggi – ha concluso – il sangue dei martiri, la loro tangibile ed eloquente testimonianza, tocca il cuore dell’uomo e lo rende fecondo, capace di far germogliare in sé una vita nuova, di accogliere la vita del Risorto per portare risurrezione e speranza al mondo che lo circonda”. Da ultimo, il Papa ha assegnato il Premio delle Pontificie Accademie, “per incoraggiare quanti vogliono offrire il loro contributo alla promozione e alla realizzazione di un nuovo umanesimo cristiano”, ex aequo allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme e a Daria Mastrorilli, mentre è stata attribuita a Cecilia Proverbio la Medaglia del Pontificato.
© Copyright Sir
Un’occasione per riflettere su “la storicità del cristianesimo, il suo intrecciarsi continuamente con la storia per trasformarla in profondità grazie al lievito del Vangelo e della santità vissuta e testimoniata”.
Così Benedetto XVI ha definito la XVI seduta pubblica delle Pontificie Accademie, appuntamento organizzato questo pomeriggio a Roma dalla Pontificia Accademia romana di archeologia e dalla Pontificia Accademia “Cultorum Martyrum”, sul tema “Testimonianze e testimoni. I martyria e i campioni della fede”.
“La ricerca storica, e soprattutto quella archeologica, mirano a indagare sempre più accuratamente e con strumenti di ricerca quanto mai sofisticati – ha sottolineato il Papa – le memorie, le testimonianze del passato; tra queste rivestono, per noi, un particolare interesse quelle delle antiche comunità cristiane”.
“Ma la tecnologia, pur utilissima, da sola – ha aggiunto - non basta. Sono necessarie, innanzitutto, una reale competenza dei ricercatori, maturata attraverso studi approfonditi e tirocini faticosi, e la loro passione autentica per la ricerca, motivata proprio dall’interesse per l’esperienza umana, e quindi anche religiosa, che si cela e poi si rivela attraverso le testimonianze materiali”.
“Se questo può valere per ogni indagine archeologica, a maggior ragione – ha precisato il Pontefice – vale quando si studiano i monumenti cristiani, e particolarmente i martyria, le testimonianze archeologiche e monumentali che attestano il culto della comunità cristiana per un campione della fede, per un martire”. Benedetto XVI ha quindi citato, “tra i tanti siti archeologici in cui emergono i segni della presenza cristiana”, la Terra Santa, territorio “già fortemente segnato dalla presenza del popolo di Israele”, che “diviene anche l’ambito per eccellenza in cui ricercare i segni della presenza storica di Cristo e della prima comunità dei suoi discepoli”. A tal proposito, il Santo Padre ha lodato l’opera archeologica svolta da “padre Bagatti, padre Corbo e il compianto padre Piccirillo”, che “ha portato a notevolissime scoperte e acquisizioni”. Altro “polo strategico dell’indagine archeologica” è Roma: qui, “ma anche in molte altre località dove il cristianesimo si diffuse già nei primi secoli della nostra era, si possono ancor oggi ammirare e studiare numerosi elementi monumentali” che attestano “non solo una generica presenza cristiana, ma soprattutto una forte testimonianza dei cristiani”.
“I numerosissimi interventi monumentali e artistici dedicati ai martiri”, ha proseguito papa Benedetto, “scaturiscono da una convinzione sempre presente nella comunità cristiana, di ieri come di oggi: il Vangelo parla al cuore dell’uomo e si comunica soprattutto attraverso la testimonianza viva dei credenti”.
Così anche oggi la Chiesa, per parlare “efficacemente”, deve farsi, “anche nei contesti apparentemente più difficili o indifferenti all’annuncio evangelico, testimone della credibilità della fede, deve cioè saper offrire testimonianze concrete e profetiche attraverso segni efficaci e trasparenti di coerenza, di fedeltà e di amore appassionato e incondizionato a Cristo, non disgiunto da un’autentica carità, dall’amore per il prossimo”.
“Ieri come oggi – ha concluso – il sangue dei martiri, la loro tangibile ed eloquente testimonianza, tocca il cuore dell’uomo e lo rende fecondo, capace di far germogliare in sé una vita nuova, di accogliere la vita del Risorto per portare risurrezione e speranza al mondo che lo circonda”. Da ultimo, il Papa ha assegnato il Premio delle Pontificie Accademie, “per incoraggiare quanti vogliono offrire il loro contributo alla promozione e alla realizzazione di un nuovo umanesimo cristiano”, ex aequo allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme e a Daria Mastrorilli, mentre è stata attribuita a Cecilia Proverbio la Medaglia del Pontificato.
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Risposta orale del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi a proposito di una ordinazione episcopale avvenuta in Cina
Risposta orale del Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi a proposito di una ordinazione episcopale avvenuta in Cina
In occasione della consacrazione del Vescovo coadiutore di Yibin avvenuta questa mattina nel Sichuan (in Cina), alcuni giornalisti hanno posto la domanda su come sia da valutare la presenza del Vescovo Lei Shiyin a tale cerimonia. Il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha dato la seguente risposta.
Ho saputo dai mass media che stamattina ha avuto luogo l’ordinazione del Rev. Pietro Luo Xuegang come Vescovo Coadiutore della diocesi di Yibin nel Sichuan. Il consacrante principale è stato l’anziano Vescovo Diocesano, Mons. Giovanni Chen Shizhong. Tutti i consacranti sono Vescovi in comunione con il Santo Padre, eccetto Lei Shiyin di Leshan.
Dopo le tre recenti ordinazioni episcopali senza il mandato pontificio, il fatto di avere un nuovo Presule che è in comunione con il Papa e con tutti i Vescovi cattolici del mondo è certamente positivo.
Ciò sarà apprezzato non soltanto dai Vescovi e dai fedeli cinesi, ma anche nella Chiesa universale. Invece la partecipazione del Vescovo illegittimo, che - com’è noto - si trova nella condizione canonica di una persona scomunicata, non va nella stessa direzione e suscita disapprovazione e sconcerto da parte dei fedeli, tanto più perché risulta che egli ha preso parte come Vescovo consacrante e ha concelebrato l’Eucaristia. La recidività della sua disobbedienza alle norme della Chiesa purtroppo aggrava la sua posizione canonica.
In situazioni ordinarie la presenza del Vescovo Lei Shiyin avrebbe dovuto essere esclusa assolutamente e comporterebbe delle conseguenze canoniche per gli altri Vescovi partecipanti. Nella presente circostanza è probabile che questi ultimi non abbiano potuto impedirla senza gravi inconvenienti. In ogni caso, la Santa Sede potrà valutare meglio la questione quando riceverà più ampie ed approfondite informazioni.
In occasione della consacrazione del Vescovo coadiutore di Yibin avvenuta questa mattina nel Sichuan (in Cina), alcuni giornalisti hanno posto la domanda su come sia da valutare la presenza del Vescovo Lei Shiyin a tale cerimonia. Il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha dato la seguente risposta.
Ho saputo dai mass media che stamattina ha avuto luogo l’ordinazione del Rev. Pietro Luo Xuegang come Vescovo Coadiutore della diocesi di Yibin nel Sichuan. Il consacrante principale è stato l’anziano Vescovo Diocesano, Mons. Giovanni Chen Shizhong. Tutti i consacranti sono Vescovi in comunione con il Santo Padre, eccetto Lei Shiyin di Leshan.
Dopo le tre recenti ordinazioni episcopali senza il mandato pontificio, il fatto di avere un nuovo Presule che è in comunione con il Papa e con tutti i Vescovi cattolici del mondo è certamente positivo.
Ciò sarà apprezzato non soltanto dai Vescovi e dai fedeli cinesi, ma anche nella Chiesa universale. Invece la partecipazione del Vescovo illegittimo, che - com’è noto - si trova nella condizione canonica di una persona scomunicata, non va nella stessa direzione e suscita disapprovazione e sconcerto da parte dei fedeli, tanto più perché risulta che egli ha preso parte come Vescovo consacrante e ha concelebrato l’Eucaristia. La recidività della sua disobbedienza alle norme della Chiesa purtroppo aggrava la sua posizione canonica.
In situazioni ordinarie la presenza del Vescovo Lei Shiyin avrebbe dovuto essere esclusa assolutamente e comporterebbe delle conseguenze canoniche per gli altri Vescovi partecipanti. Nella presente circostanza è probabile che questi ultimi non abbiano potuto impedirla senza gravi inconvenienti. In ogni caso, la Santa Sede potrà valutare meglio la questione quando riceverà più ampie ed approfondite informazioni.
Il Secam approva il piano per l’attuazione dell’Esortazione apostolica “Africae Munus” (Radio Vaticana)
Il Secam approva il piano per l’attuazione dell’Esortazione apostolica “Africae Munus”
La traduzione e la distribuzione dell’Esortazione apostolica ‘Africae Munus’ in tutta l’Africa a livello locale e nazionale e l’istituzione da parte di ogni Conferenza episcopale nazionale e regionale di speciali Commissioni comprendenti esperti in tutti i campi di intervento afferenti al tema del secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa: la giustizia, la pace e la riconciliazione.
Questi i punti principali della “Risoluzione di Cotonou”, il piano di azione adottato al termine della consultazione promossa la settimana scorsa dal Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar (Secam) in collaborazione con l’Episcopato del Benin, all’indomani della consegna dell’Esortazione Apostolica ai vescovi dell’Africa da parte del Santo Padre. All’insegna del tema “Africa, alzati!”, l’incontro ha riunito i responsabili delle Conferenze episcopali nazionali e regionali allo scopo appunto di definire una strategia comune per l’attuazione del documento pontificio nel Continente.
E per assicurare che la “Risoluzione di Cotonou” non rimanga lettera morta - ha spiegato il direttore dell’Ufficio comunicazioni del Secam Benedict Assorow, ripreso dall’agenzia cattolica africana Cisa - la consultazione ha invocato una maggiore sinergia tra tutti gli organismi ecclesiali e gli operatori pastorali della Chiesa in Africa ai vari livelli. Grande enfasi è stata inoltre data al ruolo dei media, dei giovani, delle donne, degli operatori sociali, degli istituti di formazione, dei teologi e di altri esperti nell’attuazione del piano. Il suo coordinamento, a livello continentale, è stato affidato al Segretariato del Secam. (L.Z.)
© Copyright Radio Vaticana
La traduzione e la distribuzione dell’Esortazione apostolica ‘Africae Munus’ in tutta l’Africa a livello locale e nazionale e l’istituzione da parte di ogni Conferenza episcopale nazionale e regionale di speciali Commissioni comprendenti esperti in tutti i campi di intervento afferenti al tema del secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa: la giustizia, la pace e la riconciliazione.
Questi i punti principali della “Risoluzione di Cotonou”, il piano di azione adottato al termine della consultazione promossa la settimana scorsa dal Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar (Secam) in collaborazione con l’Episcopato del Benin, all’indomani della consegna dell’Esortazione Apostolica ai vescovi dell’Africa da parte del Santo Padre. All’insegna del tema “Africa, alzati!”, l’incontro ha riunito i responsabili delle Conferenze episcopali nazionali e regionali allo scopo appunto di definire una strategia comune per l’attuazione del documento pontificio nel Continente.
E per assicurare che la “Risoluzione di Cotonou” non rimanga lettera morta - ha spiegato il direttore dell’Ufficio comunicazioni del Secam Benedict Assorow, ripreso dall’agenzia cattolica africana Cisa - la consultazione ha invocato una maggiore sinergia tra tutti gli organismi ecclesiali e gli operatori pastorali della Chiesa in Africa ai vari livelli. Grande enfasi è stata inoltre data al ruolo dei media, dei giovani, delle donne, degli operatori sociali, degli istituti di formazione, dei teologi e di altri esperti nell’attuazione del piano. Il suo coordinamento, a livello continentale, è stato affidato al Segretariato del Secam. (L.Z.)
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Inchiesta abusi: dichiarate non valide le perquisizioni a danno dei vescovi belgi (Radio Vaticana)
Inchiesta abusi: dichiarate non valide le perquisizioni a danno dei vescovi belgi
La Corte d'appello di Bruxelles ha dichiarato non valide le perquisizioni effettuate nel giugno dell’anno scorso nella sede dell'arcidiocesi di Malines-Bruxelles nell’ambito dell’inchiesta sugli abusi sessuali da parte di membri del clero.
I giudici hanno stabilito che quella operazione di polizia, denominata a suo tempo “Calice”, è stata sproporzionata. Stesso giudizio per la perquisizione effettuata lo stesso giorno nell’abitazione del cardinale Godfried Danneels.
Dopo la sentenza, tutto ciò che è stato sequestrato in occasione delle perquisizioni dovrà essere restituito ai legittimi proprietari e tutti gli elementi acquisiti con queste azioni di polizia devono essere ritenuti non validi.
Lo scorso anno la Corte d'Appello aveva già annullato, con le stesse motivazioni, la perquisizione effettuata nei locali della commissione d'inchiesta istituita dalla stessa Conferenza episcopale belga. Soddisfazione per la decisione della Corte d’Appello è stata espressa dai legali del cardinale Danneels. (A.G.)
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La Corte d'appello di Bruxelles ha dichiarato non valide le perquisizioni effettuate nel giugno dell’anno scorso nella sede dell'arcidiocesi di Malines-Bruxelles nell’ambito dell’inchiesta sugli abusi sessuali da parte di membri del clero.
I giudici hanno stabilito che quella operazione di polizia, denominata a suo tempo “Calice”, è stata sproporzionata. Stesso giudizio per la perquisizione effettuata lo stesso giorno nell’abitazione del cardinale Godfried Danneels.
Dopo la sentenza, tutto ciò che è stato sequestrato in occasione delle perquisizioni dovrà essere restituito ai legittimi proprietari e tutti gli elementi acquisiti con queste azioni di polizia devono essere ritenuti non validi.
Lo scorso anno la Corte d'Appello aveva già annullato, con le stesse motivazioni, la perquisizione effettuata nei locali della commissione d'inchiesta istituita dalla stessa Conferenza episcopale belga. Soddisfazione per la decisione della Corte d’Appello è stata espressa dai legali del cardinale Danneels. (A.G.)
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A colloquio con il cardinale Arinze sul viaggio di Benedetto XVI in Benin. L'egoismo del mondo e la speranza dell'Africa (Ponzi)
A colloquio con il cardinale Arinze sul viaggio di Benedetto XVI in Benin
L'egoismo del mondo e la speranza dell'Africa
di MARIO PONZI
Vecchie e nuove schiavitù rendono ancora oggi incerto e faticoso il cammino dell'Africa verso il suo definitivo sviluppo. Egoismi di mercato, interessi di cartello mascherati dal pietismo, escludono di fatto il continente nero dal sistema mondiale che si vuole globalizzato. "L'unico aiuto di cui il popolo africano avrebbe veramente bisogno - sostiene in questa intervista il cardinale nigeriano Francis Arinze, anch'egli nel seguito di Benedetto XVI durante il recente viaggio in Benin - sarebbe quello di essere messo in condizione di alzarsi e camminare da solo. Ha la forza per farlo". Ma "gli sarà mai consentito?" si chiede il porporato.
"Africa, abbi fiducia, alzati". Come interpreta questa esortazione del Papa all'Africa?
Non poteva esserci richiamo più pertinente per l'Africa. Il continente deve affrontare sfide e problemi di varia natura. Ma le sfide si affrontano preparandosi bene e i problemi si possono risolvere, superare. La situazione è molto chiara. E il sinodo, celebrato due anni orsono, l'ha ben definita e ha indicato la strada da percorrere: riconciliazione, giustizia e pace. Indubbiamente il continente ha molto bisogno di tutte e tre. La riconciliazione è necessaria tra le diverse nazioni, ma è molto più urgente all'interno di ogni singolo Paese. Non bisogna però dimenticare che il male viene da lontano. Gli stessi colonizzatori non hanno tenuto molto in considerazione, per esempio, confini geografici ed etnie. Il principio che regolava la loro azione era esclusivamente commerciale. Così è capitato che un gruppo etnico, legato da usanze e costumi tradizionali, ma soprattutto dallo stesso idioma, si sia trovato improvvisamente diviso, costretto a vivere frazionato in Paesi diversi. Chi conosce bene la storia di questo immenso ed eterogeneo continente e dei suoi tanti popoli, guardando una carta geopolitica dell'Africa ha la netta sensazione che qualcuno abbia tracciato un riga dritta, dall'alto verso il basso, per separare le nazioni, quasi senza criterio. Sono nate proprio qui le divisioni che penalizzano il continente. Dunque bisogna cercare di trovare una soluzione, stante il fatto che non si possono mutare i confini. La riconciliazione fra tutti gli africani, sia a livello internazionale che nazionale, sembra l'unica strada percorribile.
Pensa che sia un percorso effettivamente praticabile?
Indubbiamente è difficile. Per avere un'idea di quanto lo sia, basta pensare alla situazione della Nigeria dove vivono, a stretto contatto di gomito, oltre duecento etnie diverse per usi, costumi e lingua. Ecco perché il primo passo da fare è quello verso la riconciliazione. Bisogna imparare a conoscersi, a rispettarsi, ad accettarsi, ad aiutarsi prendendo ciascuno quello che c'è di buono nell'altro. Solo così si può andare avanti, insieme. E poi la giustizia. Ma questa è una virtù da conquistare non solo da parte degli africani. Essa è un valore per tutti i popoli. E devono applicarla prima di tutto i poteri pubblici, la società civile, lo Stato, i governi ed anche la Chiesa. Bisogna avere rispetto dei diritti di tutti gli individui. Il primo diritto da rispettare è quello alla vita. La vita non è voluta, è concepita: dunque richiama in sé una responsabilità individuale e sociale di grande impegno. Infine la pace. L'Africa ha bisogno di pace vera, non di quella del cimitero, dove il silenzio è pace. No, non è questa la pace di cui l'Africa ha bisogno. Essa aspira a una pace costruita sul rispetto degli altri, sul rispetto della sacralità della vita; quella che fa dimenticare i torti subiti e rinnega la vendetta. Questa è la pace di cui il continente ha bisogno.
Nelle poche ore trascorse in Benin, ma soprattutto nella sua esortazione post-sinodale, il Papa è stato molto esplicito in questo senso.
È stato l'aspetto più significativo della visita. In molti passaggi, sia dell'esortazione sia dei discorsi pronunciati, ho colto molto chiaramente indicazioni appropriate di Benedetto XVI per i popoli africani. Ma ho colto anche i segni della sua preoccupazione.
Da dove nasce questa preoccupazione?
Anche se le ha fatto coraggio e ha riacceso nel profondo dell'anima la luce della speranza, egli sa molto bene che l'Africa, per come è stata ridotta, non può farcela da sola. Ha comunque bisogno di un aiuto per rialzarsi. E poi non bisogna dimenticare che alcuni problemi nascono dall'esterno. Voglio dire che dei tanti mali che affliggono il continente esistono cause, o anche concause se si vuole, che non dipendono dal popolo africano, ma sono dovute all'egoismo di nuovi colonizzatori. Faccio un esempio. Il prezzo delle materie prime che si estraggono in Africa non viene deciso dagli africani ma dalle multinazionali che le sfruttano. Il prezzo dello zucchero - una risorsa per esempio per il Benin - viene deciso magari dalle borse di Tokyo, di Parigi, di New York, ma certo non nell'interesse del Paese; o almeno, non si tiene presente che quel prodotto è magari l'unica fonte di sostentamento per quella popolazione. E allora si capisce quale sia il problema: non è tanto l'Africa che non ce la può fare, anzi ha mezzi e forza per poter crescere. Piuttosto è il mondo che deve smettere di considerarla terra da sfruttare, prenderla per mano e farle posto in quel sistema che si vuole globalizzato ma che ancora deva capire fino in fondo il valore primario della solidarietà. C'è bisogno, in pratica, di una profonda conversione delle menti e dei cuori per capire che, nel pellegrinaggio della vita, dobbiamo tenerci tutti per mano. Per l'Africa la strada da percorrere è molto più lunga di quella degli altri Paesi. Ma può farcela. In questo senso acquista tutto il suo valore l'invito biblico del Papa: "Africa, abbi fiducia, alzati".
(©L'Osservatore Romano 1° dicembre 2011)
L'egoismo del mondo e la speranza dell'Africa
di MARIO PONZI
Vecchie e nuove schiavitù rendono ancora oggi incerto e faticoso il cammino dell'Africa verso il suo definitivo sviluppo. Egoismi di mercato, interessi di cartello mascherati dal pietismo, escludono di fatto il continente nero dal sistema mondiale che si vuole globalizzato. "L'unico aiuto di cui il popolo africano avrebbe veramente bisogno - sostiene in questa intervista il cardinale nigeriano Francis Arinze, anch'egli nel seguito di Benedetto XVI durante il recente viaggio in Benin - sarebbe quello di essere messo in condizione di alzarsi e camminare da solo. Ha la forza per farlo". Ma "gli sarà mai consentito?" si chiede il porporato.
"Africa, abbi fiducia, alzati". Come interpreta questa esortazione del Papa all'Africa?
Non poteva esserci richiamo più pertinente per l'Africa. Il continente deve affrontare sfide e problemi di varia natura. Ma le sfide si affrontano preparandosi bene e i problemi si possono risolvere, superare. La situazione è molto chiara. E il sinodo, celebrato due anni orsono, l'ha ben definita e ha indicato la strada da percorrere: riconciliazione, giustizia e pace. Indubbiamente il continente ha molto bisogno di tutte e tre. La riconciliazione è necessaria tra le diverse nazioni, ma è molto più urgente all'interno di ogni singolo Paese. Non bisogna però dimenticare che il male viene da lontano. Gli stessi colonizzatori non hanno tenuto molto in considerazione, per esempio, confini geografici ed etnie. Il principio che regolava la loro azione era esclusivamente commerciale. Così è capitato che un gruppo etnico, legato da usanze e costumi tradizionali, ma soprattutto dallo stesso idioma, si sia trovato improvvisamente diviso, costretto a vivere frazionato in Paesi diversi. Chi conosce bene la storia di questo immenso ed eterogeneo continente e dei suoi tanti popoli, guardando una carta geopolitica dell'Africa ha la netta sensazione che qualcuno abbia tracciato un riga dritta, dall'alto verso il basso, per separare le nazioni, quasi senza criterio. Sono nate proprio qui le divisioni che penalizzano il continente. Dunque bisogna cercare di trovare una soluzione, stante il fatto che non si possono mutare i confini. La riconciliazione fra tutti gli africani, sia a livello internazionale che nazionale, sembra l'unica strada percorribile.
Pensa che sia un percorso effettivamente praticabile?
Indubbiamente è difficile. Per avere un'idea di quanto lo sia, basta pensare alla situazione della Nigeria dove vivono, a stretto contatto di gomito, oltre duecento etnie diverse per usi, costumi e lingua. Ecco perché il primo passo da fare è quello verso la riconciliazione. Bisogna imparare a conoscersi, a rispettarsi, ad accettarsi, ad aiutarsi prendendo ciascuno quello che c'è di buono nell'altro. Solo così si può andare avanti, insieme. E poi la giustizia. Ma questa è una virtù da conquistare non solo da parte degli africani. Essa è un valore per tutti i popoli. E devono applicarla prima di tutto i poteri pubblici, la società civile, lo Stato, i governi ed anche la Chiesa. Bisogna avere rispetto dei diritti di tutti gli individui. Il primo diritto da rispettare è quello alla vita. La vita non è voluta, è concepita: dunque richiama in sé una responsabilità individuale e sociale di grande impegno. Infine la pace. L'Africa ha bisogno di pace vera, non di quella del cimitero, dove il silenzio è pace. No, non è questa la pace di cui l'Africa ha bisogno. Essa aspira a una pace costruita sul rispetto degli altri, sul rispetto della sacralità della vita; quella che fa dimenticare i torti subiti e rinnega la vendetta. Questa è la pace di cui il continente ha bisogno.
Nelle poche ore trascorse in Benin, ma soprattutto nella sua esortazione post-sinodale, il Papa è stato molto esplicito in questo senso.
È stato l'aspetto più significativo della visita. In molti passaggi, sia dell'esortazione sia dei discorsi pronunciati, ho colto molto chiaramente indicazioni appropriate di Benedetto XVI per i popoli africani. Ma ho colto anche i segni della sua preoccupazione.
Da dove nasce questa preoccupazione?
Anche se le ha fatto coraggio e ha riacceso nel profondo dell'anima la luce della speranza, egli sa molto bene che l'Africa, per come è stata ridotta, non può farcela da sola. Ha comunque bisogno di un aiuto per rialzarsi. E poi non bisogna dimenticare che alcuni problemi nascono dall'esterno. Voglio dire che dei tanti mali che affliggono il continente esistono cause, o anche concause se si vuole, che non dipendono dal popolo africano, ma sono dovute all'egoismo di nuovi colonizzatori. Faccio un esempio. Il prezzo delle materie prime che si estraggono in Africa non viene deciso dagli africani ma dalle multinazionali che le sfruttano. Il prezzo dello zucchero - una risorsa per esempio per il Benin - viene deciso magari dalle borse di Tokyo, di Parigi, di New York, ma certo non nell'interesse del Paese; o almeno, non si tiene presente che quel prodotto è magari l'unica fonte di sostentamento per quella popolazione. E allora si capisce quale sia il problema: non è tanto l'Africa che non ce la può fare, anzi ha mezzi e forza per poter crescere. Piuttosto è il mondo che deve smettere di considerarla terra da sfruttare, prenderla per mano e farle posto in quel sistema che si vuole globalizzato ma che ancora deva capire fino in fondo il valore primario della solidarietà. C'è bisogno, in pratica, di una profonda conversione delle menti e dei cuori per capire che, nel pellegrinaggio della vita, dobbiamo tenerci tutti per mano. Per l'Africa la strada da percorrere è molto più lunga di quella degli altri Paesi. Ma può farcela. In questo senso acquista tutto il suo valore l'invito biblico del Papa: "Africa, abbi fiducia, alzati".
(©L'Osservatore Romano 1° dicembre 2011)
Uno smacco per l’U.A.A.R. (Gianfranco Amato)
Clicca qui per leggere l'articolo segnalatoci da Gabriele.
All'udienza generale il Papa invita a guardare la preghiera di Gesù. Finestre aperte verso il Cielo (O.R.)
All'udienza generale il Papa invita a guardare la preghiera di Gesù
Finestre aperte verso il Cielo
Incoraggiamento alle iniziative politiche e legislative per abolire la pena di morte
Attraverso l'amicizia con Gesù e la preghiera "fedele e costante" al Padre "possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio".
Lo ha detto il Papa all'udienza generale di mercoledì 30 novembre, nell'Aula Paolo VI. Proseguendo le sue catechesi sulla preghiera, Benedetto XVI ha dato inizio a una serie di riflessioni su Gesù e sul suo rapporto col Padre attraverso l'orazione.
"L'insegnamento di Gesù sulla preghiera - ha sottolineato dopo aver richiamato l'episodio evangelico del battesimo nel Giordano - viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre".
Guardando a questo modello - ha aggiunto - anche "noi dobbiamo imparare, sempre di più, a entrare in questa storia della salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per noi".
Per il Pontefice "ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un'arte, che si impara praticandola con costanza". Per questo la preghiera esige soprattutto "impegno e continuità". Oggi i cristiani - ha affermato il Papa - "sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta all'incontro con Dio". Da qui l'invito a "percorrere la via della preghiera" e ad aiutare gli altri a percorrerla.
Al termine dell'udienza, salutando i fedeli di lingua inglese, Benedetto XVI ha incoraggiato "le iniziative politiche e legislative" promosse in "un numero crescente di Paesi per eliminare la pena di morte".
(©L'Osservatore Romano 1° dicembre 2011)
Finestre aperte verso il Cielo
Incoraggiamento alle iniziative politiche e legislative per abolire la pena di morte
Attraverso l'amicizia con Gesù e la preghiera "fedele e costante" al Padre "possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio".
Lo ha detto il Papa all'udienza generale di mercoledì 30 novembre, nell'Aula Paolo VI. Proseguendo le sue catechesi sulla preghiera, Benedetto XVI ha dato inizio a una serie di riflessioni su Gesù e sul suo rapporto col Padre attraverso l'orazione.
"L'insegnamento di Gesù sulla preghiera - ha sottolineato dopo aver richiamato l'episodio evangelico del battesimo nel Giordano - viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre".
Guardando a questo modello - ha aggiunto - anche "noi dobbiamo imparare, sempre di più, a entrare in questa storia della salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore per noi".
Per il Pontefice "ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un'arte, che si impara praticandola con costanza". Per questo la preghiera esige soprattutto "impegno e continuità". Oggi i cristiani - ha affermato il Papa - "sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta all'incontro con Dio". Da qui l'invito a "percorrere la via della preghiera" e ad aiutare gli altri a percorrerla.
Al termine dell'udienza, salutando i fedeli di lingua inglese, Benedetto XVI ha incoraggiato "le iniziative politiche e legislative" promosse in "un numero crescente di Paesi per eliminare la pena di morte".
(©L'Osservatore Romano 1° dicembre 2011)
Papa, 1300 panettoni a detenuti Rebibbia (Ansa)
Papa, 1300 panettoni a detenuti Rebibbia
In vista della sua visita in programma il 18 dicembre
(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 30 NOV - Milletrecento panettoni per i detenuti di Rebibbia, in omaggio dal Papa. In vista della sua visita nel carcere romano in programma il 18 dicembre, Benedetto XVI ha infatti destinato ai reclusi dell' istituto di pena i panettoni che gli hanno consegnato questa mattina, per le sue opere di carita', i rappresentanti della Federazione italiana panificatori e pasticceri, al termine dell'udienza generale. Lo scrive l' Osservatore Romano. (Ansa)
In vista della sua visita in programma il 18 dicembre
(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 30 NOV - Milletrecento panettoni per i detenuti di Rebibbia, in omaggio dal Papa. In vista della sua visita nel carcere romano in programma il 18 dicembre, Benedetto XVI ha infatti destinato ai reclusi dell' istituto di pena i panettoni che gli hanno consegnato questa mattina, per le sue opere di carita', i rappresentanti della Federazione italiana panificatori e pasticceri, al termine dell'udienza generale. Lo scrive l' Osservatore Romano. (Ansa)
Udienza generale, il Papa: «Pregate per scoprire cosa Dio vuole da voi» (Frigerio)
Clicca qui per leggere il commento.
Irlanda: pubblicati rapporti diocesani su pratiche anti-abuso (Sir)
IRLANDA: PEDOFILIA. PUBBLICATI RAPPORTI DIOCESANI SU PRATICHE ANTI-ABUSO
Oggi in Irlanda il Consiglio nazionale per la salvaguardia bambini nella Chiesa cattolica ha pubblicato 6 Rapporti relativi ad altrettante diocesi irlandesi in cui si esaminano le pratiche messe a punto per prevenire i casi di abuso, ridefinisce le accuse e valuta come sono state trattate, intervista le persone-chiave delle inchieste, e soprattutto pubblica una serie di raccomandazioni perché l’impegno per la salvaguardia e la protezione dei minori sia sempre ai massimi livelli. Le Diocesi interessate sono le diocesi di Ardagh e Clonmacnois, Derry, Dromore, Kilmore, Raphoe e Tuam che oggi mettono in rete i singoli Rapporti accompagnati dai comunicati dei loro vescovi.
“Ogni accusa – commenta per esempio il vescovo di Kilmore, mons. Leo O’Reilly – rappresenta una persona che ha sofferto e i miei pensieri oggi vanno alle vittime degli abusi. Sono consapevole che la pubblicazione di questo e di altri Rapporti del Child Safeguarding possono riaprire oggi ferite dolorose a coloro che hanno sofferto abusi per mano di sacerdoti. Ancora una volta chiedo loro persone, esprimo la mia rabbia e il mio profondo dolore a coloro che hanno sperimentato il tradimento di chi avrebbe dovuto portar loro l’amore di Cristo e la sua compassione”. I vescovi irlandesi esprimono quindi la loro “gratitudine” e il loro ringraziamento a tutti coloro che lavorano nel Consiglio Nazionale.
“Il Rapporto – scrive l’arcivescovo Michael Neary di Tuam – dimostra quanto forti siano le procedure messe in atto per garantire la sicurezza dei bambini”.
“Voglio – scrive dal canto suo l’arcivescovo di Dromore, mons. John McAreavey – ringraziare il personale del National Board per la professionalità con cui sta portando avanti questa verifica. Sottomettere ognuno e ogni diocesi allo scrutinio di un organo indipendente non è facile. Il National Board ha portato avanti il suo lavoro, aiutandoci a riconoscere sia le nostre forze che le nostre debolezze. Il Rapporto finale contiene anche una serie di raccomandazione che ci aiutano a migliorare”. Il vescovo della diocesi di Raphoe ammette: “fu data scarsa enfasi ai bisogni delle vittime che sono stati spesso non riconosciuti con il vano tentativo di proteggere la reputazione della Chiesa.
Ci sono stati frequenti casi di ritardi e addirittura di non accettazione delle denunce e delle lamentele circa abusi sessuali suo minori”. Nell’offrire la sua “umile scusa” il vescovo promette: “la speranza è che quei gravissimi errori non si ripetano mai più”.
E in tutti i comunicati, il vescovi ricordano il numero verde attivato sia in Irlanda che in Inghilterra e Irlanda del Nord al quale rivolgersi per chiedere servizi ai sostegno e supporto in caso di abuso.
© Copyright Sir
Oggi in Irlanda il Consiglio nazionale per la salvaguardia bambini nella Chiesa cattolica ha pubblicato 6 Rapporti relativi ad altrettante diocesi irlandesi in cui si esaminano le pratiche messe a punto per prevenire i casi di abuso, ridefinisce le accuse e valuta come sono state trattate, intervista le persone-chiave delle inchieste, e soprattutto pubblica una serie di raccomandazioni perché l’impegno per la salvaguardia e la protezione dei minori sia sempre ai massimi livelli. Le Diocesi interessate sono le diocesi di Ardagh e Clonmacnois, Derry, Dromore, Kilmore, Raphoe e Tuam che oggi mettono in rete i singoli Rapporti accompagnati dai comunicati dei loro vescovi.
“Ogni accusa – commenta per esempio il vescovo di Kilmore, mons. Leo O’Reilly – rappresenta una persona che ha sofferto e i miei pensieri oggi vanno alle vittime degli abusi. Sono consapevole che la pubblicazione di questo e di altri Rapporti del Child Safeguarding possono riaprire oggi ferite dolorose a coloro che hanno sofferto abusi per mano di sacerdoti. Ancora una volta chiedo loro persone, esprimo la mia rabbia e il mio profondo dolore a coloro che hanno sperimentato il tradimento di chi avrebbe dovuto portar loro l’amore di Cristo e la sua compassione”. I vescovi irlandesi esprimono quindi la loro “gratitudine” e il loro ringraziamento a tutti coloro che lavorano nel Consiglio Nazionale.
“Il Rapporto – scrive l’arcivescovo Michael Neary di Tuam – dimostra quanto forti siano le procedure messe in atto per garantire la sicurezza dei bambini”.
“Voglio – scrive dal canto suo l’arcivescovo di Dromore, mons. John McAreavey – ringraziare il personale del National Board per la professionalità con cui sta portando avanti questa verifica. Sottomettere ognuno e ogni diocesi allo scrutinio di un organo indipendente non è facile. Il National Board ha portato avanti il suo lavoro, aiutandoci a riconoscere sia le nostre forze che le nostre debolezze. Il Rapporto finale contiene anche una serie di raccomandazione che ci aiutano a migliorare”. Il vescovo della diocesi di Raphoe ammette: “fu data scarsa enfasi ai bisogni delle vittime che sono stati spesso non riconosciuti con il vano tentativo di proteggere la reputazione della Chiesa.
Ci sono stati frequenti casi di ritardi e addirittura di non accettazione delle denunce e delle lamentele circa abusi sessuali suo minori”. Nell’offrire la sua “umile scusa” il vescovo promette: “la speranza è che quei gravissimi errori non si ripetano mai più”.
E in tutti i comunicati, il vescovi ricordano il numero verde attivato sia in Irlanda che in Inghilterra e Irlanda del Nord al quale rivolgersi per chiedere servizi ai sostegno e supporto in caso di abuso.
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Il Papa all’udienza generale: i cristiani siano testimoni di preghiera per aprire finestre verso il cielo (Radio Vaticana)
Su segnalazione di Laura leggiamo:
Il Papa all’udienza generale: i cristiani siano testimoni di preghiera per aprire finestre verso il cielo
La preghiera è un dono, ma esige impegno e costanza da parte nostra: è quanto sottolineato da Benedetto XVI all’udienza generale in Aula Paolo VI, incentrata sulla preghiera nella vita di Gesù. Il Papa ha esortato i cristiani ad essere testimoni di preghiera e speranza, specie in un mondo spesso chiuso all’incontro con Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Nella preghiera, Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre per realizzare fino in fondo il progetto di amore per gli uomini”: è quanto affermato da Benedetto XVI, che all’udienza generale ha esortato i fedeli a seguire l’esempio del Signore, a stare in dialogo con Dio:
“Anche nella nostra preghiera dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore su di noi”.
La preghiera di Gesù, ha rammentato, “tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate”, “le fatiche non la bloccano”. Al contempo, ha evidenziato che l’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene dal suo “essere il Figlio di Dio”, dal suo “rapporto unico con Dio Padre”:
“Ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un’arte che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra”.
Guardando alla preghiera di Gesù, ha ammonito, dovremmo tutti domandarci come noi preghiamo, quanto tempo dedichiamo al rapporto con Dio. Ed ha ribadito quanto sia importante pregare per illuminare il mondo attorno a noi:
“Oggi i cristiani sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio. Nell’amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio”.
Il Papa ha quindi rinnovato l’incoraggiamento a “percorrere la via della preghiera”, una via che apre nuovi cammini anche per chi è lontano da Dio:
“Cari fratelli e sorelle, educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell’incontro con il Signore, luce per l’esistenza”.
Al momento dei saluti ai pellegrini, parlando in lingua francese, il Papa ha salutato i fedeli della diocesi di Belley-Ars, venuti in Vaticano per regalare alla Basilica vaticana un ritratto di San Giovanni Maria Vianney, a ricordo dell’Anno sacerdotale. In italiano, ha ringraziato la Federazione italiana Panificatori e Pasticceri che ha donato dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa.
© Copyright Radio Vaticana
Il Papa all’udienza generale: i cristiani siano testimoni di preghiera per aprire finestre verso il cielo
La preghiera è un dono, ma esige impegno e costanza da parte nostra: è quanto sottolineato da Benedetto XVI all’udienza generale in Aula Paolo VI, incentrata sulla preghiera nella vita di Gesù. Il Papa ha esortato i cristiani ad essere testimoni di preghiera e speranza, specie in un mondo spesso chiuso all’incontro con Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Nella preghiera, Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre per realizzare fino in fondo il progetto di amore per gli uomini”: è quanto affermato da Benedetto XVI, che all’udienza generale ha esortato i fedeli a seguire l’esempio del Signore, a stare in dialogo con Dio:
“Anche nella nostra preghiera dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore su di noi”.
La preghiera di Gesù, ha rammentato, “tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate”, “le fatiche non la bloccano”. Al contempo, ha evidenziato che l’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene dal suo “essere il Figlio di Dio”, dal suo “rapporto unico con Dio Padre”:
“Ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un’arte che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra”.
Guardando alla preghiera di Gesù, ha ammonito, dovremmo tutti domandarci come noi preghiamo, quanto tempo dedichiamo al rapporto con Dio. Ed ha ribadito quanto sia importante pregare per illuminare il mondo attorno a noi:
“Oggi i cristiani sono chiamati a essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio. Nell’amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio”.
Il Papa ha quindi rinnovato l’incoraggiamento a “percorrere la via della preghiera”, una via che apre nuovi cammini anche per chi è lontano da Dio:
“Cari fratelli e sorelle, educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell’incontro con il Signore, luce per l’esistenza”.
Al momento dei saluti ai pellegrini, parlando in lingua francese, il Papa ha salutato i fedeli della diocesi di Belley-Ars, venuti in Vaticano per regalare alla Basilica vaticana un ritratto di San Giovanni Maria Vianney, a ricordo dell’Anno sacerdotale. In italiano, ha ringraziato la Federazione italiana Panificatori e Pasticceri che ha donato dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa.
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Appello del Papa contro la pena di morte (Izzo)
PAPA: APPELLO CONTRO PENA DI MORTE
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 nov. - Benedetto XVI incoraggia "le iniziative politiche e legislative promosse in un numero crescente di paesi per eliminare la pena di morte". Lo ha affermato lui stesso al termine dell'Udienza Generale di oggi, lodando i "sostanziali progressi compiuti per conformare il codice penale sia alla dignita' umana dei carcerati che all'efficace mantenimento dell'ordine pubblico". Nell'Aula Nervi erano presenti i ministri dell giustizia che partecipano in questi giorni ad un uncontro sul tema promosso dalla Comunita' di Sant'Egidio. (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 nov. - Benedetto XVI incoraggia "le iniziative politiche e legislative promosse in un numero crescente di paesi per eliminare la pena di morte". Lo ha affermato lui stesso al termine dell'Udienza Generale di oggi, lodando i "sostanziali progressi compiuti per conformare il codice penale sia alla dignita' umana dei carcerati che all'efficace mantenimento dell'ordine pubblico". Nell'Aula Nervi erano presenti i ministri dell giustizia che partecipano in questi giorni ad un uncontro sul tema promosso dalla Comunita' di Sant'Egidio. (AGI)
Il Papa scrive al Patriarca Barolomeo I per Sant'Andrea: il mondo è diviso, testimoniamo la concordia
Il Papa scrive al Patriarca Barolomeo I per Sant'Andrea: il mondo è diviso, testimoniamo la concordia
Una fede, testimoniata in modo concorde, che sia capace di unire un’umanità attraversata da gravi tensioni. È l’auspicio con il quale Benedetto XVI si rivolge al Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I, nel suo Messaggio inviato oggi per la festa di Sant’Andrea Apostolo, venerato come fondatore e patrono della Chiesa di Costantinopoli. Come da tradizione, una delegazione vaticana ha partecipato oggi a Istanbul alle celebrazioni solenni, coincidenti quest’anno con il 20.mo anniversario dell’elezione di Bartolomeo I alla guida del Patriarcato. Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Continuo ad avere ben vivo nel cuore il ricordo nel nostro ultimo incontro, quando ci siamo radunati insieme come pellegrini di pace nella città di Assisi, per riflettere sul profondo rapporto che unisce la sincera ricerca di Dio e della verità e quello della pace e della giustizia nel mondo”. Sono le parole introduttive di Benedetto XVI nel messaggio a Sua Santità Bartolomeo I per la solennità di Sant’Andrea. Un testo ricco di attestazioni di amicizia fraterna, ma anche di riflessioni di stretta attualità. “Le circostanze attuali, siano esse culturali, sociali, economiche, politiche o ecologiche pongono di fronte cattolici ed ortodossi esattamente alla stessa sfida” e cioè – rileva il Papa – quella di annunciare con forza rinnovata il Vangelo “in molte delle zone che, per prime, hanno ricevuto la luce e che oggi soffrono gli effetti di una secolarizzazione che impoverisce l'uomo nella sua dimensione più profonda”. E data “l’urgenza di questo compito”, soggiunge Benedetto XVI, “abbiamo il dovere di offrire a tutta l’umanità l’immagine di persone che hanno acquisito una maturità della fede capace di unire, nonostante le tensioni umane, attraverso la ricerca comune della verità, nella consapevolezza che il futuro dell'evangelizzazione dipende dalla testimonianza di unità data dalla Chiesa e dalla qualità della carità”.
Queste parole del Pontefice sono state lette al termine della Divina Liturgia presieduta da Bartolomeo I nella chiesa patriarcale del Fanar. A leggerle – e a consegnarle al Patriarca ecumenico in un messaggio autografo del Papa – è stato il capo della delegazione vaticana presente alla cerimonia, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, il quale ha avuto un incontro con lo stesso Bartolomeo I oltre che conversazioni con la Commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica. La visita della delegazione vaticana è omologa di quella che ogni anno, il 29 giugno, una rappresentanza del Patriarcato ecumenico rende al Papa in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo. Inoltre, informa una nota ufficiale, il cardinale Koch ha incontrato i rappresentanti della comunità cattolica locale e si è intrattenuto su temi ecumenici con i religiosi e le religiose del posto. Quest’anno, poi, le celebrazioni al Fanar hanno avuto un carattere particolarmente festivo, poiché esattamente 20 anni fa il Patriarca ecumenico Bartolomeo I veniva eletto alla cattedra di Costantinopoli. “Mi dà grande conforto”, scrive in proposito il Papa nel Messaggio, constatare come “la Santità Vostra” abbia in questi 20 anni “sempre avuto a cuore la questione della testimonianza del Chiesa e della sua santità nel mondo contemporaneo”. “Le mie preghiere e quelle di tutti i fratelli e sorelle cattolici – scrive ancora Benedetto XVI – accompagnano le vostre nell’invocare da Dio (…) la pace nel mondo, la prosperità per la Chiesa e l'unità di tutti i credenti in Cristo”. E conclude: che il Signore “ci doni di progredire sulla via della pace e della riconciliazione”.
© Copyright Radio Vaticana
Una fede, testimoniata in modo concorde, che sia capace di unire un’umanità attraversata da gravi tensioni. È l’auspicio con il quale Benedetto XVI si rivolge al Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I, nel suo Messaggio inviato oggi per la festa di Sant’Andrea Apostolo, venerato come fondatore e patrono della Chiesa di Costantinopoli. Come da tradizione, una delegazione vaticana ha partecipato oggi a Istanbul alle celebrazioni solenni, coincidenti quest’anno con il 20.mo anniversario dell’elezione di Bartolomeo I alla guida del Patriarcato. Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Continuo ad avere ben vivo nel cuore il ricordo nel nostro ultimo incontro, quando ci siamo radunati insieme come pellegrini di pace nella città di Assisi, per riflettere sul profondo rapporto che unisce la sincera ricerca di Dio e della verità e quello della pace e della giustizia nel mondo”. Sono le parole introduttive di Benedetto XVI nel messaggio a Sua Santità Bartolomeo I per la solennità di Sant’Andrea. Un testo ricco di attestazioni di amicizia fraterna, ma anche di riflessioni di stretta attualità. “Le circostanze attuali, siano esse culturali, sociali, economiche, politiche o ecologiche pongono di fronte cattolici ed ortodossi esattamente alla stessa sfida” e cioè – rileva il Papa – quella di annunciare con forza rinnovata il Vangelo “in molte delle zone che, per prime, hanno ricevuto la luce e che oggi soffrono gli effetti di una secolarizzazione che impoverisce l'uomo nella sua dimensione più profonda”. E data “l’urgenza di questo compito”, soggiunge Benedetto XVI, “abbiamo il dovere di offrire a tutta l’umanità l’immagine di persone che hanno acquisito una maturità della fede capace di unire, nonostante le tensioni umane, attraverso la ricerca comune della verità, nella consapevolezza che il futuro dell'evangelizzazione dipende dalla testimonianza di unità data dalla Chiesa e dalla qualità della carità”.
Queste parole del Pontefice sono state lette al termine della Divina Liturgia presieduta da Bartolomeo I nella chiesa patriarcale del Fanar. A leggerle – e a consegnarle al Patriarca ecumenico in un messaggio autografo del Papa – è stato il capo della delegazione vaticana presente alla cerimonia, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, il quale ha avuto un incontro con lo stesso Bartolomeo I oltre che conversazioni con la Commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica. La visita della delegazione vaticana è omologa di quella che ogni anno, il 29 giugno, una rappresentanza del Patriarcato ecumenico rende al Papa in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo. Inoltre, informa una nota ufficiale, il cardinale Koch ha incontrato i rappresentanti della comunità cattolica locale e si è intrattenuto su temi ecumenici con i religiosi e le religiose del posto. Quest’anno, poi, le celebrazioni al Fanar hanno avuto un carattere particolarmente festivo, poiché esattamente 20 anni fa il Patriarca ecumenico Bartolomeo I veniva eletto alla cattedra di Costantinopoli. “Mi dà grande conforto”, scrive in proposito il Papa nel Messaggio, constatare come “la Santità Vostra” abbia in questi 20 anni “sempre avuto a cuore la questione della testimonianza del Chiesa e della sua santità nel mondo contemporaneo”. “Le mie preghiere e quelle di tutti i fratelli e sorelle cattolici – scrive ancora Benedetto XVI – accompagnano le vostre nell’invocare da Dio (…) la pace nel mondo, la prosperità per la Chiesa e l'unità di tutti i credenti in Cristo”. E conclude: che il Signore “ci doni di progredire sulla via della pace e della riconciliazione”.
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Appello di Benedetto XVI per l’abolizione della pena di morte (Speciale)
Clicca qui per leggere il commento segnalatoci da Laura.
Il Papa a Bartolomeo I: Il futuro della evangelizzazione dipende dalla testimonianza dell’unità data dalla Chiesa
BENEDETTO XVI: “IL FUTURO DELLA EVANGELIZZAZIONE E L’UNITÀ DELLA CHIESA”
“Il futuro della evangelizzazione dipende dalla testimonianza dell’unità data dalla Chiesa e dalla qualità della carità, come ci ha insegnato il Signore nella preghiera che ci ha lasciato: ‘Che tutti siano uno, affinché il mondo creda’”.
E’ quanto scrive papa Benedetto XVI al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa dell’apostolo Andrea, patrono del Patriarcato.
Anche quest’anno si è così rinnovata la consueta visita che in questa occasione una delegazione vaticana fa al Patriarcato di Costantinopoli a Istanbul in risposta alla visita che il Patriarcato ecumenico svolge a Roma per la festa degli apostoli Pietro e Paolo il 29 giugno. Quest’anno le celebrazioni hanno un carattere particolarmente festivo ricorrendo il XX anniversario della elezione di Sua Santità Bartolomeo I quale Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico. La delegazione vaticana è guidata anche quest’anno dal card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, al quale Benedetto XVI ha affidato il messaggio da consegnare a Bartolomeo I accompagnato da un dono.
Il cardinale Koch è accompagnato dal vescovo Brian Farrell, segretario del dicastero, Andrea Palmieri, officiale della Sezione Orientale del medesimo Dicastero. Ad Istanbul, si è unito alla delegazione il Nunzio Apostolico in Turchia, mons. Antonio Lucibello.
Nel messaggio il Papa ricorda l’ultimo incontro avuto con il Patriarca Bartolomeo ad Assisi “pellegrini di pace – ha detto – per riflettere sul profondo rapporto che unisce la ricerca sincera di Dio e della verità e quella della ‘pace e della giustizia nel mondo”.
“Le circostanze attuali – prosegue il Papa – siano esse di ordine culturale, sociale, economica, politica o ecologica, pongono ai cattolici e agli ortodossi esattamente la stessa sfida. L’annuncio del mistero della salvezza attraverso la morte e la risurrezione di Gesù Cristo ha oggi bisogno di essere rinnovato con forza in quelle numerose regioni che per prime hanno accolto la luce e subiscono oggi gli effetti di una secolarizzazione che rischia di impoverire l’uomo nella sua dimensione più profonda.
Di fronte all’urgenza di un simile compito, abbiamo il dovere di offrire all’umanità intera l’immagine di persone che hanno acquisito una maturità di fede, capaci di incontrarsi nonostante le tensioni umane, grazie alla ricerca comune della verità”.
Da qui il richiamo alla frase del Vangelo sull’unità dei cristiani “affinché il mondo creda”. La Delegazione della Santa Sede ha preso parte alla solenne Divina Liturgia presieduta da Bartolomeo I nella chiesa patriarcale del Fanar, ed ha avuto un incontro con il Patriarca e conversazioni con la Commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica.
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“Il futuro della evangelizzazione dipende dalla testimonianza dell’unità data dalla Chiesa e dalla qualità della carità, come ci ha insegnato il Signore nella preghiera che ci ha lasciato: ‘Che tutti siano uno, affinché il mondo creda’”.
E’ quanto scrive papa Benedetto XVI al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I nel giorno in cui la Chiesa celebra la festa dell’apostolo Andrea, patrono del Patriarcato.
Anche quest’anno si è così rinnovata la consueta visita che in questa occasione una delegazione vaticana fa al Patriarcato di Costantinopoli a Istanbul in risposta alla visita che il Patriarcato ecumenico svolge a Roma per la festa degli apostoli Pietro e Paolo il 29 giugno. Quest’anno le celebrazioni hanno un carattere particolarmente festivo ricorrendo il XX anniversario della elezione di Sua Santità Bartolomeo I quale Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico. La delegazione vaticana è guidata anche quest’anno dal card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, al quale Benedetto XVI ha affidato il messaggio da consegnare a Bartolomeo I accompagnato da un dono.
Il cardinale Koch è accompagnato dal vescovo Brian Farrell, segretario del dicastero, Andrea Palmieri, officiale della Sezione Orientale del medesimo Dicastero. Ad Istanbul, si è unito alla delegazione il Nunzio Apostolico in Turchia, mons. Antonio Lucibello.
Nel messaggio il Papa ricorda l’ultimo incontro avuto con il Patriarca Bartolomeo ad Assisi “pellegrini di pace – ha detto – per riflettere sul profondo rapporto che unisce la ricerca sincera di Dio e della verità e quella della ‘pace e della giustizia nel mondo”.
“Le circostanze attuali – prosegue il Papa – siano esse di ordine culturale, sociale, economica, politica o ecologica, pongono ai cattolici e agli ortodossi esattamente la stessa sfida. L’annuncio del mistero della salvezza attraverso la morte e la risurrezione di Gesù Cristo ha oggi bisogno di essere rinnovato con forza in quelle numerose regioni che per prime hanno accolto la luce e subiscono oggi gli effetti di una secolarizzazione che rischia di impoverire l’uomo nella sua dimensione più profonda.
Di fronte all’urgenza di un simile compito, abbiamo il dovere di offrire all’umanità intera l’immagine di persone che hanno acquisito una maturità di fede, capaci di incontrarsi nonostante le tensioni umane, grazie alla ricerca comune della verità”.
Da qui il richiamo alla frase del Vangelo sull’unità dei cristiani “affinché il mondo creda”. La Delegazione della Santa Sede ha preso parte alla solenne Divina Liturgia presieduta da Bartolomeo I nella chiesa patriarcale del Fanar, ed ha avuto un incontro con il Patriarca e conversazioni con la Commissione sinodale incaricata delle relazioni con la Chiesa cattolica.
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Il Papa: servono testimoni di fede in un mondo chiuso alla speranza. Anche Gesù imparò a pregare nella sua famiglia (Izzo)
PAPA: SERVONO TESTIMONI DI FEDE IN UN MONDO CHIUSO ALLA SPERANZA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 nov.
"Il nostro mondo e' spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta all'incontro con Dio".
Benedetto XVI ha spiegato con questa constatazione - nel discorso all'Udienza Generale di oggi - l'urgenza della testimonianza che i cristiani sono chiamati ad offrire con la loro vita spirituale e in particolare con la preghiera.
"Attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio", ha assicurato il Pontefice agli ottomila fedeli che gremivano l'Aula Nervi, che ha esortato a "percorrere la via della preghiera, senza riguardo umano". Cosi', ha detto loro, "possiamo aiutare altri a percorrerla: anche per la preghiera cristiana e' vero che, camminando, si aprono cammini". "Cari fratelli e sorelle - ha poi concluso - educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesu'. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell'incontro con il Signore, luce per l'esistenza".
© Copyright (AGI)
PAPA: ANCHE GESU' IMPARO' A PREGARE NELLA SUA FAMIGLIA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 nov.
"L'insegnamento di Gesu' sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia".
Lo ha detto il Papa nella catechesi all'Udienza Generale di oggi, dedicata proprio al tema della preghiera di Gesu', che pero' "ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre".
In proposito, Benedetto XVI ha citato il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica per il quale "Gesu', secondo il suo cuore di uomo, ha imparato a pregare da sua Madre e dalla tradizione ebraica. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente piu' segreta, poiche' e' il Figlio eterno di Dio che, nella sua santa umanita', rivolge a suo Padre la preghiera filiale perfetta".
"La preghiera di Gesu' - ha osservato ancora il Pontefice - tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano.
I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesu' a trascorrere in preghiera parte della notte".
"Momenti di particolare importanza per Gesu'" che testimoniano il suo essere "fedele pienamente alla volonta' del Padre".
Anche nella nostra preghiera - ha poi esortato Papa Ratzinger rivolto agli ottomila fedeli presenti oggi nell'Aula Nervi - dobbiamo imparare, sempre di piu', ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesu' e' il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volonta', chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volonta' alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore su di noi". E, ha concluso, "guardando alla preghiera di Gesu', deve sorgere in noi una domanda: come preghiamo noi? Quale tempo dedichiamo al rapporto con Dio? Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione alla preghiera? E chi puo' esserne maestro?".
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 nov.
"Il nostro mondo e' spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta all'incontro con Dio".
Benedetto XVI ha spiegato con questa constatazione - nel discorso all'Udienza Generale di oggi - l'urgenza della testimonianza che i cristiani sono chiamati ad offrire con la loro vita spirituale e in particolare con la preghiera.
"Attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio", ha assicurato il Pontefice agli ottomila fedeli che gremivano l'Aula Nervi, che ha esortato a "percorrere la via della preghiera, senza riguardo umano". Cosi', ha detto loro, "possiamo aiutare altri a percorrerla: anche per la preghiera cristiana e' vero che, camminando, si aprono cammini". "Cari fratelli e sorelle - ha poi concluso - educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso, ad una preghiera che non sia saltuaria, ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesu'. E chiediamo a Lui di poter comunicare alle persone che ci stanno vicino, a coloro che incontriamo sulla nostra strada, la gioia dell'incontro con il Signore, luce per l'esistenza".
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PAPA: ANCHE GESU' IMPARO' A PREGARE NELLA SUA FAMIGLIA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 nov.
"L'insegnamento di Gesu' sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia".
Lo ha detto il Papa nella catechesi all'Udienza Generale di oggi, dedicata proprio al tema della preghiera di Gesu', che pero' "ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre".
In proposito, Benedetto XVI ha citato il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica per il quale "Gesu', secondo il suo cuore di uomo, ha imparato a pregare da sua Madre e dalla tradizione ebraica. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente piu' segreta, poiche' e' il Figlio eterno di Dio che, nella sua santa umanita', rivolge a suo Padre la preghiera filiale perfetta".
"La preghiera di Gesu' - ha osservato ancora il Pontefice - tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano.
I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesu' a trascorrere in preghiera parte della notte".
"Momenti di particolare importanza per Gesu'" che testimoniano il suo essere "fedele pienamente alla volonta' del Padre".
Anche nella nostra preghiera - ha poi esortato Papa Ratzinger rivolto agli ottomila fedeli presenti oggi nell'Aula Nervi - dobbiamo imparare, sempre di piu', ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesu' e' il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volonta', chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volonta' alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore su di noi". E, ha concluso, "guardando alla preghiera di Gesu', deve sorgere in noi una domanda: come preghiamo noi? Quale tempo dedichiamo al rapporto con Dio? Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione alla preghiera? E chi puo' esserne maestro?".
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Dal Papa un appello ad “eliminare la pena di morte” (Sir)
BENEDETTO XVI: UDIENZA, “ELIMINARE LA PENA DI MORTE”
Un appello ad “eliminare la pena di morte”.
A rivolgerlo è stato oggi il Papa, salutando i fedeli di lingua inglese dopo la catechesi dell’udienza generale, svoltasi in Aula Paolo VI davanti a circa 6 mila fedeli.
Rivolgendosi alle delegazioni di vari Paesi che prendono parte al Meeting promosso dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema “Non c’è giustizia senza vita”, Benedetto XVI ha espresso la “speranza” che “le vostre decisioni incoraggino iniziative politiche e legislative promosse in un numero crescete di Paesi per eliminare la pena di morte e continuare un progresso sostanziale sul piano della legge penale, sia per la dignità umana dei prigionieri sia per l’effettivo mantenimento dell’ordine pubblico”.
Salutando i fedeli di lingua italiana, il Papa ha rivolto uno speciale saluto ai rappresentanti della Federazione Italiana Panificatori e Pasticceri, esprimendo la sua “viva riconoscenza per il gradito dono dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa”.
Il Santo Padre ha inoltre esortato i giovani a “riscoprire, nel clima spirituale dell’Avvento, l’intimità con Cristo, e i malati a “trascorrere questo periodo di attesa e di preghiera più intensa offrendo al Signore che viene le vostre sofferenze per la salvezza del mondo”. Infine, come di consueto, gli sposi novelli, invitati ad “essere costruttori di famiglie cristiane autentiche, ispirandovi al modello della Santa Famiglia di Nazaret”.
© Copyright Sir
Un appello ad “eliminare la pena di morte”.
A rivolgerlo è stato oggi il Papa, salutando i fedeli di lingua inglese dopo la catechesi dell’udienza generale, svoltasi in Aula Paolo VI davanti a circa 6 mila fedeli.
Rivolgendosi alle delegazioni di vari Paesi che prendono parte al Meeting promosso dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema “Non c’è giustizia senza vita”, Benedetto XVI ha espresso la “speranza” che “le vostre decisioni incoraggino iniziative politiche e legislative promosse in un numero crescete di Paesi per eliminare la pena di morte e continuare un progresso sostanziale sul piano della legge penale, sia per la dignità umana dei prigionieri sia per l’effettivo mantenimento dell’ordine pubblico”.
Salutando i fedeli di lingua italiana, il Papa ha rivolto uno speciale saluto ai rappresentanti della Federazione Italiana Panificatori e Pasticceri, esprimendo la sua “viva riconoscenza per il gradito dono dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa”.
Il Santo Padre ha inoltre esortato i giovani a “riscoprire, nel clima spirituale dell’Avvento, l’intimità con Cristo, e i malati a “trascorrere questo periodo di attesa e di preghiera più intensa offrendo al Signore che viene le vostre sofferenze per la salvezza del mondo”. Infine, come di consueto, gli sposi novelli, invitati ad “essere costruttori di famiglie cristiane autentiche, ispirandovi al modello della Santa Famiglia di Nazaret”.
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Il Papa: la preghiera è un dono che richiede assiduità e costanza (Ambrogetti)
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Il Papa ha iniziato oggi un ciclo di catechesi sulla preghiera di Gesù (TMNews)
Papa/ A udienza generale inizia ciclo catechesi su preghiera Gesù
"Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione a preghiera?"
Città del Vaticano, 30 nov. (TMNews)
Il Papa ha iniziato oggi un ciclo di catechesi sulla preghiera di Gesù, nell'udienza generale del mercoledì, dopo aver affrontato, nelle scorse settimane, la preghiera dei salmi contenuti nel primo testamento.
"Dopo aver riflettuto su alcuni esempi di preghiera nell'Antico Testamento, oggi iniziamo a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l'esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre", ha detto il Papa.
"Guardando alla preghiera di Gesù, deve sorgere in noi una domanda: come preghiamo noi? Quale tempo dedichiamo al rapporto con Dio? Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione alla preghiera? E chi può esserne maestro?", si è domandato il Papa, che ha sottolineato come "la preghiera di Gesù tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano. I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesù a trascorrere in preghiera parte della notte".
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"Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione a preghiera?"
Città del Vaticano, 30 nov. (TMNews)
Il Papa ha iniziato oggi un ciclo di catechesi sulla preghiera di Gesù, nell'udienza generale del mercoledì, dopo aver affrontato, nelle scorse settimane, la preghiera dei salmi contenuti nel primo testamento.
"Dopo aver riflettuto su alcuni esempi di preghiera nell'Antico Testamento, oggi iniziamo a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l'esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre", ha detto il Papa.
"Guardando alla preghiera di Gesù, deve sorgere in noi una domanda: come preghiamo noi? Quale tempo dedichiamo al rapporto con Dio? Si fa oggi una sufficiente educazione e formazione alla preghiera? E chi può esserne maestro?", si è domandato il Papa, che ha sottolineato come "la preghiera di Gesù tocca tutte le fasi del suo ministero e tutte le sue giornate. Le fatiche non la bloccano. I Vangeli, anzi, lasciano trasparire una consuetudine di Gesù a trascorrere in preghiera parte della notte".
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Il Papa: incoraggia iniziative per abolire la pena di morte (AsiaNews)
VATICANO
Papa: incoraggia iniziative per abolire la pena di morte
Benedetto XVI inizia un ciclo di catechesi dedicato alla preghiera di Gesù. Essa “attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre”. Oggi i cristiani a essere “testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio”.
Città del Vaticano (AsiaNews)
Il Papa incoraggia le iniziative che mirano ad abolire la pena di morte e quelle che cercano di rispettare la dignità dei carcerati. Benedetto XVI ha espresso oggi il suo sostegno contro la pena capitale in un saluto rivolto in inglese ai partecipanti a un incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema “No Justice without Life”.
“Esprimo la speranza – ha detto - che le vostre deliberazioni incoraggeranno le iniziative politiche e legislative promosse da un numero crescente di Paesi per eliminare la pena di morte e per continuare il progresso sostanziale fatto nel conformare la legge penale sia alla dignità umana dei carcerati che all'effettivo mantenimento dell'ordine pubblico”.
In precedenza, durante il discorso rivolto alle ottomila persone che hanno partecipato all’udienza generale, il Papa ha esortato i cristiani a essere “testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio”. E percorrendo la strada della preghiera, “che esige continuità e costanza” possiamo aiutare altri a percorrerla, “perché anche per la preghiera è vero che camminando si aprono cammini”. Una preghiera “non saltuaria, ma costante”, “piena di fiducia”, “capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù”. Proprio a come pregava Gesù, Benedetto XVI dedica da oggi un ciclo di catechesi per l’udienza generale, dopo averne dedicato alcune alla preghiera nell’Antico testamento.
“Oggi - ha infatti detto - iniziamo a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre. Egli è il maestro anche del nostro pregare, anzi Egli è il sostegno attivo e fraterno di ogni nostro rivolgerci al Padre”.
“Particolarmente significativo” del cammino di Gesù è quanto accade dopo il battesimo nel Giordano, quando “entra in una preghiera personalissima e prolungata”. Il battesimo al quale Giovanni Battista invitava era un “un forte appello a vivere veramente come figli di Abramo, convertendosi al bene”, “sottoporsi al battesimo doveva segnare una svolta determinante, lasciare una condotta legata al peccato ed iniziare una vita nuova. Anche Gesù accoglie tale invito”, ma sorge in noi la domanda sul perché Gesù che “non aveva peccati” si sottopone a questo battesimo “di penitenza e di conversione”. Con quel gesto, ha spiegato il Papa, “Gesù, senza peccato, rende visibile la sua solidarietà con coloro che riconoscono i propri peccati, scelgono di pentirsi e di cambiare vita; fa comprendere che essere parte del popolo di Dio vuol dire entrare in un’ottica di novità di vita, di vita secondo Dio”.
”In questo gesto Gesù anticipa la croce, dà inizio alla sua attività prendendo il posto dei peccatori, assumendo sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, adempiendo la volontà del Padre”.
E, dopo il battesimo, raccogliendosi in preghiera, “mostra l’intimo legame con il Padre che è nei Cieli, sperimenta la sua paternità, coglie la bellezza esigente del suo amore, e nel colloquio con Lui riceve la conferma della sua missione”. Nelle parole che risuonano dal Cielo “Il Figlio mio, l’amato”, “vi è il rimando anticipato al mistero pasquale, alla croce e alla risurrezione”.
“L’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre” e nei Vangeli “le ambientazioni della preghiera di Gesù si collocano sempre all'incrocio tra l’inserimento nella tradizione del suo popolo e la novità di una relazione personale unica con Dio”. “Al tempo stesso, segnano momenti di particolare importanza per Gesù, che consapevolmente si inserisce in questo piano, fedele pienamente alla volontà del Padre”.
”Anche nella nostra preghiera dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore su di noi”. Un posto speciale, nella preghiera è “la lettura orante della Sacra Scrittura”: “ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un'arte, che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra, soprattutto la continuità e la costanza sono importanti”.
© Copyright AsiaNews
Papa: incoraggia iniziative per abolire la pena di morte
Benedetto XVI inizia un ciclo di catechesi dedicato alla preghiera di Gesù. Essa “attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre”. Oggi i cristiani a essere “testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio”.
Città del Vaticano (AsiaNews)
Il Papa incoraggia le iniziative che mirano ad abolire la pena di morte e quelle che cercano di rispettare la dignità dei carcerati. Benedetto XVI ha espresso oggi il suo sostegno contro la pena capitale in un saluto rivolto in inglese ai partecipanti a un incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema “No Justice without Life”.
“Esprimo la speranza – ha detto - che le vostre deliberazioni incoraggeranno le iniziative politiche e legislative promosse da un numero crescente di Paesi per eliminare la pena di morte e per continuare il progresso sostanziale fatto nel conformare la legge penale sia alla dignità umana dei carcerati che all'effettivo mantenimento dell'ordine pubblico”.
In precedenza, durante il discorso rivolto alle ottomila persone che hanno partecipato all’udienza generale, il Papa ha esortato i cristiani a essere “testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all'orizzonte divino e alla speranza che porta l’incontro con Dio”. E percorrendo la strada della preghiera, “che esige continuità e costanza” possiamo aiutare altri a percorrerla, “perché anche per la preghiera è vero che camminando si aprono cammini”. Una preghiera “non saltuaria, ma costante”, “piena di fiducia”, “capace di illuminare la nostra vita, come ci insegna Gesù”. Proprio a come pregava Gesù, Benedetto XVI dedica da oggi un ciclo di catechesi per l’udienza generale, dopo averne dedicato alcune alla preghiera nell’Antico testamento.
“Oggi - ha infatti detto - iniziamo a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre. Egli è il maestro anche del nostro pregare, anzi Egli è il sostegno attivo e fraterno di ogni nostro rivolgerci al Padre”.
“Particolarmente significativo” del cammino di Gesù è quanto accade dopo il battesimo nel Giordano, quando “entra in una preghiera personalissima e prolungata”. Il battesimo al quale Giovanni Battista invitava era un “un forte appello a vivere veramente come figli di Abramo, convertendosi al bene”, “sottoporsi al battesimo doveva segnare una svolta determinante, lasciare una condotta legata al peccato ed iniziare una vita nuova. Anche Gesù accoglie tale invito”, ma sorge in noi la domanda sul perché Gesù che “non aveva peccati” si sottopone a questo battesimo “di penitenza e di conversione”. Con quel gesto, ha spiegato il Papa, “Gesù, senza peccato, rende visibile la sua solidarietà con coloro che riconoscono i propri peccati, scelgono di pentirsi e di cambiare vita; fa comprendere che essere parte del popolo di Dio vuol dire entrare in un’ottica di novità di vita, di vita secondo Dio”.
”In questo gesto Gesù anticipa la croce, dà inizio alla sua attività prendendo il posto dei peccatori, assumendo sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, adempiendo la volontà del Padre”.
E, dopo il battesimo, raccogliendosi in preghiera, “mostra l’intimo legame con il Padre che è nei Cieli, sperimenta la sua paternità, coglie la bellezza esigente del suo amore, e nel colloquio con Lui riceve la conferma della sua missione”. Nelle parole che risuonano dal Cielo “Il Figlio mio, l’amato”, “vi è il rimando anticipato al mistero pasquale, alla croce e alla risurrezione”.
“L’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre” e nei Vangeli “le ambientazioni della preghiera di Gesù si collocano sempre all'incrocio tra l’inserimento nella tradizione del suo popolo e la novità di una relazione personale unica con Dio”. “Al tempo stesso, segnano momenti di particolare importanza per Gesù, che consapevolmente si inserisce in questo piano, fedele pienamente alla volontà del Padre”.
”Anche nella nostra preghiera dobbiamo imparare, sempre di più, ad entrare in questa storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, rinnovare davanti a Dio la nostra decisione personale di aprirci alla sua volontà, chiedere a Lui la forza di conformare la nostra volontà alla sua, in tutta la nostra vita, in obbedienza al suo progetto di amore su di noi”. Un posto speciale, nella preghiera è “la lettura orante della Sacra Scrittura”: “ascoltare, meditare, tacere davanti al Signore che parla è un'arte, che si impara praticandola con costanza. Certamente la preghiera è un dono che chiede, tuttavia, di essere accolto; è opera di Dio, ma esige impegno e continuità da parte nostra, soprattutto la continuità e la costanza sono importanti”.
© Copyright AsiaNews
Appello del Papa contro la pena di morte
Appello del Papa contro la pena di morte
Durante l’udienza generale il Papa ha salutato le delegazioni di vari Paesi partecipanti alla riunione promossa dalla Comunità di Sant'Egidio sul tema: “non c'è giustizia senza vita”, auspicando che l’incontro possa “incoraggiare le iniziative politiche e legislative promosse da un numero crescente di Paesi per eliminare la pena di morte e per continuare i progressi sostanziali realizzati per conformare il diritto penale sia alla dignità umana dei carcerati che ad un efficace mantenimento dell’ordine pubblico”. (Radio Vaticana)
Durante l’udienza generale il Papa ha salutato le delegazioni di vari Paesi partecipanti alla riunione promossa dalla Comunità di Sant'Egidio sul tema: “non c'è giustizia senza vita”, auspicando che l’incontro possa “incoraggiare le iniziative politiche e legislative promosse da un numero crescente di Paesi per eliminare la pena di morte e per continuare i progressi sostanziali realizzati per conformare il diritto penale sia alla dignità umana dei carcerati che ad un efficace mantenimento dell’ordine pubblico”. (Radio Vaticana)
Il Papa: come Gesù testimoni di preghiera (Sir)
BENEDETTO XVI: UDIENZA, COME GESÙ “TESTIMONI DI PREGHIERA” PER “APRIRE FINESTRE”
“I cristiani sono chiamati ad essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all’orizzonte divino e alla speranza che porta all’incontro con Dio”. Lo ha detto il Papa, nella parte finale della catechesi dell’udienza generale di oggi, dedicata alla preghiera nella vita di Gesù.
L’auspicio di Benedetto XVI è che i cristiani possano “aprire finestre verso il cielo di Dio, per aiutare altri” a percorrere la strada della preghiera poiché “anche per la preghiera vale il fatto che camminando si aprono cammini”. “Educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso – le parole del Papa – ad una preghiera non saltuaria ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita”, in modo da “poter comunicare alle persone che ci stanno vicino e a chi incontriamo sulla nostra strada la gioia dell’incontro con il Signore, luce per la nostra esistenza”.
“Anche nella nostra preghiera – ha affermato il Papa dopo aver ripercorso il modo di pregare di Gesù – dobbiamo imparare sempre di più a entrare nella storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, a rinnovare la decisione personale di fare la sua volontà, a chiedere con forza di fare la sua volontà in tutta la vita, in fedeltà al progetto personale di Dio per noi”. “Guardando al modo di pregare di Gesù”, secondo il Santo Padre, “dobbiamo chiederci: come preghiamo noi? Si fa oggi sufficiente educazione e formazione alla preghiera, e chi può esserne maestro?”. Tra le forme di preghiera, Benedetto XVI ha citato “l’importanza della lettura orante della Sacra Scrittura”, e dunque di quella “forma specifica” di preghiera che è la “lectio divina”. “Ascoltare, meditare, tacere di fronte alla Parola del Signore – ha ribadito – è un’arte che si impara praticandola con costanza”. La preghiera, inoltre, è “un dono che chiede di essere accolto”, e che “esige continuità e costanza da parte nostra”, ha proseguito il Papa, ricordando che “anche per Gesù la preghiera era un continuo esercizio”. “Quando le decisioni si fanno urgenti e complesse – ha fatto notare, ad esempio, il Pontefice citando la “consuetudine” di Gesù di pregare di notte, e la preghiera prima della chiamata dei discepoli – la sua preghiera diventa più prolungata e intensa”.
Nella preghiera, ha spiegato il Papa, Gesù “sperimenta la sua paternità, e nel colloquio col Padre riceve conferma della sua missione. Nella preghiera Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre, per realizzare fino in fondo il progetto d’amore per gli uomini”. Lo “sfondo” è “l’intera esistenza di Gesù”, vissuta “in una famiglia profondamente legata alla tradizione del popolo di Israele”, come dimostrano i 30 anni di “vita nascosta e feriale” di Gesù, “anche se con momenti di partecipazione comunitaria, come il pellegrinaggio a Gerusalemme”. L’immagine di Gesù seduto nel tempio accanto ai maestri, secondo il Papa, “mostra la lunga abitudine all’orazione interiore con il Padre”, appresa anche dallo “stile della sua famiglia”, e la risposta di Gesù ai genitori che erano venuti a cercarlo “indica la sua filiazione divina”. “Uscito dalle acque del Giordano – ha detto il Papa – Gesù continua il suo rapporto con il Padre: è in questa comunione interiore che compie il passaggio dalla vita nascosta di Nazareth al suo ministero pubblico”. L’“origine profonda” della preghiera di Gesù” sta, dunque, “nell’essere Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre”, a cui rivolge “la preghiera filiale perfetta”.
© Copyright Sir
“I cristiani sono chiamati ad essere testimoni di preghiera, proprio perché il nostro mondo è spesso chiuso all’orizzonte divino e alla speranza che porta all’incontro con Dio”. Lo ha detto il Papa, nella parte finale della catechesi dell’udienza generale di oggi, dedicata alla preghiera nella vita di Gesù.
L’auspicio di Benedetto XVI è che i cristiani possano “aprire finestre verso il cielo di Dio, per aiutare altri” a percorrere la strada della preghiera poiché “anche per la preghiera vale il fatto che camminando si aprono cammini”. “Educhiamoci ad un rapporto con Dio intenso – le parole del Papa – ad una preghiera non saltuaria ma costante, piena di fiducia, capace di illuminare la nostra vita”, in modo da “poter comunicare alle persone che ci stanno vicino e a chi incontriamo sulla nostra strada la gioia dell’incontro con il Signore, luce per la nostra esistenza”.
“Anche nella nostra preghiera – ha affermato il Papa dopo aver ripercorso il modo di pregare di Gesù – dobbiamo imparare sempre di più a entrare nella storia di salvezza di cui Gesù è il vertice, a rinnovare la decisione personale di fare la sua volontà, a chiedere con forza di fare la sua volontà in tutta la vita, in fedeltà al progetto personale di Dio per noi”. “Guardando al modo di pregare di Gesù”, secondo il Santo Padre, “dobbiamo chiederci: come preghiamo noi? Si fa oggi sufficiente educazione e formazione alla preghiera, e chi può esserne maestro?”. Tra le forme di preghiera, Benedetto XVI ha citato “l’importanza della lettura orante della Sacra Scrittura”, e dunque di quella “forma specifica” di preghiera che è la “lectio divina”. “Ascoltare, meditare, tacere di fronte alla Parola del Signore – ha ribadito – è un’arte che si impara praticandola con costanza”. La preghiera, inoltre, è “un dono che chiede di essere accolto”, e che “esige continuità e costanza da parte nostra”, ha proseguito il Papa, ricordando che “anche per Gesù la preghiera era un continuo esercizio”. “Quando le decisioni si fanno urgenti e complesse – ha fatto notare, ad esempio, il Pontefice citando la “consuetudine” di Gesù di pregare di notte, e la preghiera prima della chiamata dei discepoli – la sua preghiera diventa più prolungata e intensa”.
Nella preghiera, ha spiegato il Papa, Gesù “sperimenta la sua paternità, e nel colloquio col Padre riceve conferma della sua missione. Nella preghiera Gesù vive un ininterrotto contatto con il Padre, per realizzare fino in fondo il progetto d’amore per gli uomini”. Lo “sfondo” è “l’intera esistenza di Gesù”, vissuta “in una famiglia profondamente legata alla tradizione del popolo di Israele”, come dimostrano i 30 anni di “vita nascosta e feriale” di Gesù, “anche se con momenti di partecipazione comunitaria, come il pellegrinaggio a Gerusalemme”. L’immagine di Gesù seduto nel tempio accanto ai maestri, secondo il Papa, “mostra la lunga abitudine all’orazione interiore con il Padre”, appresa anche dallo “stile della sua famiglia”, e la risposta di Gesù ai genitori che erano venuti a cercarlo “indica la sua filiazione divina”. “Uscito dalle acque del Giordano – ha detto il Papa – Gesù continua il suo rapporto con il Padre: è in questa comunione interiore che compie il passaggio dalla vita nascosta di Nazareth al suo ministero pubblico”. L’“origine profonda” della preghiera di Gesù” sta, dunque, “nell’essere Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre”, a cui rivolge “la preghiera filiale perfetta”.
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Perché sono cristiano? (Michelangelo Nasca)
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Da cardinale Benedetto XVI negò che si possano sciogliere matrimoni validi (Izzo)
PAPA: DA CARDINALE NEGO' CHE SI POSSANO SCIOGLIERE MATRIMONI VALIDI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 nov.
"Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio e' morto, quando i due coniugi non si amano piu', allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l'indissolubilita' del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non piu' in modo fattuale".
Sono parole del cardinale Joseph Ratzinger, ripubblicate oggi dall'Osservatore Romano a sostegno dell'attuale dottrina cattolica sul matrimonio che esclude i divorziati risposati dalla possibilita' di ricevere l'Eucaristia, una posizione molto severa che secondo alcuni osservatori l'allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede avrebbe voluto invece innovare.
In due pagine di documenti, il quotidiano vaticano chiarisce oggi la questione, riproponendo anche la spiegazione che lo stesso Benedetto XVI ha poi fornito sulla vicenda, quando dopo l'elezione, rispondendo ai sacerdoti della diocesi di Aosta nel luglio 2005, aveva ammesso che la soluzione che egli stesso aveva ipotizzato - e cioe' che in casi specifici si potesse arrivare ad annullamenti pastorali e non giudiziari, basati sul fatto che i contraenti il matrimonio pur essendo battezzati non avevano davvero una fede matura - avrebbe avuto bisogno di ulteriori approfondimenti e non poteva dunque essere percorsa.
Nei testi pubblicati oggi, datati 1998, Jopseph Ratzinger afferma inoltre che "l'opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea". "Un tale matrimonio - ricorda - non puo' essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedelta' fino alla morte".
Nel suo ragionamento, il cardinale Ratzinger ammette che molti si ribellano alla "durezza della legge" che finisce col prevalere "sulla comprensione per situazioni umane drammatiche". E afferma che le norme "devono essere tradotte dai predicatori e dai catechisti in un linguaggio, che corrisponda alle diverse persone e al loro rispettivo ambiente culturale".
Ma assicura che "il contenuto essenziale del Magistero ecclesiale in proposito deve essere mantenuto. Non puo' essere annacquato per supposti motivi pastorali, perche' esso trasmette la verita' rivelata". Anche se "certamente e' difficile rendere comprensibili all'uomo secolarizzato le esigenze del Vangelo, questa difficolta' pastorale - si legge nel testo pubblicato oggi a firma dell'ex prefetto divenuto Papa - non puo' condurre a compromessi con la verita'".
"Sul problema dei fedeli divorziati risposati, si deve inoltre sottolineare - sono ancora parole del cardinale Ratzinger - che i recenti documenti della Chiesa uniscono in modo molto equilibrato le esigenze della verita' con quelle della carita'".
"Se in passato nella presentazione della verita' talvolta la carita' forse non risplendeva abbastanza, oggi e' invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la verita' in nome della carita'. Certamente la parola della verita' puo' far male ed essere scomoda.
Ma e' la via verso la guarigione, verso la pace, verso la liberta' interiore.
Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verita'. Solo cio' che e' vero - e' la conclusione del ragionamento ratzingeriano - puo' in definitiva essere anche pastorale".
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Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 nov.
"Se la Chiesa accettasse la teoria che un matrimonio e' morto, quando i due coniugi non si amano piu', allora approverebbe con questo il divorzio e sosterrebbe l'indissolubilita' del matrimonio in modo ormai solo verbale, ma non piu' in modo fattuale".
Sono parole del cardinale Joseph Ratzinger, ripubblicate oggi dall'Osservatore Romano a sostegno dell'attuale dottrina cattolica sul matrimonio che esclude i divorziati risposati dalla possibilita' di ricevere l'Eucaristia, una posizione molto severa che secondo alcuni osservatori l'allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede avrebbe voluto invece innovare.
In due pagine di documenti, il quotidiano vaticano chiarisce oggi la questione, riproponendo anche la spiegazione che lo stesso Benedetto XVI ha poi fornito sulla vicenda, quando dopo l'elezione, rispondendo ai sacerdoti della diocesi di Aosta nel luglio 2005, aveva ammesso che la soluzione che egli stesso aveva ipotizzato - e cioe' che in casi specifici si potesse arrivare ad annullamenti pastorali e non giudiziari, basati sul fatto che i contraenti il matrimonio pur essendo battezzati non avevano davvero una fede matura - avrebbe avuto bisogno di ulteriori approfondimenti e non poteva dunque essere percorsa.
Nei testi pubblicati oggi, datati 1998, Jopseph Ratzinger afferma inoltre che "l'opinione, secondo cui il Papa potrebbe eventualmente sciogliere un matrimonio sacramentale consumato, irrimediabilmente fallito, deve pertanto essere qualificata come erronea". "Un tale matrimonio - ricorda - non puo' essere sciolto da nessuno. Gli sposi nella celebrazione nuziale si promettono la fedelta' fino alla morte".
Nel suo ragionamento, il cardinale Ratzinger ammette che molti si ribellano alla "durezza della legge" che finisce col prevalere "sulla comprensione per situazioni umane drammatiche". E afferma che le norme "devono essere tradotte dai predicatori e dai catechisti in un linguaggio, che corrisponda alle diverse persone e al loro rispettivo ambiente culturale".
Ma assicura che "il contenuto essenziale del Magistero ecclesiale in proposito deve essere mantenuto. Non puo' essere annacquato per supposti motivi pastorali, perche' esso trasmette la verita' rivelata". Anche se "certamente e' difficile rendere comprensibili all'uomo secolarizzato le esigenze del Vangelo, questa difficolta' pastorale - si legge nel testo pubblicato oggi a firma dell'ex prefetto divenuto Papa - non puo' condurre a compromessi con la verita'".
"Sul problema dei fedeli divorziati risposati, si deve inoltre sottolineare - sono ancora parole del cardinale Ratzinger - che i recenti documenti della Chiesa uniscono in modo molto equilibrato le esigenze della verita' con quelle della carita'".
"Se in passato nella presentazione della verita' talvolta la carita' forse non risplendeva abbastanza, oggi e' invece grande il pericolo di tacere o di compromettere la verita' in nome della carita'. Certamente la parola della verita' puo' far male ed essere scomoda.
Ma e' la via verso la guarigione, verso la pace, verso la liberta' interiore.
Una pastorale, che voglia veramente aiutare le persone, deve sempre fondarsi sulla verita'. Solo cio' che e' vero - e' la conclusione del ragionamento ratzingeriano - puo' in definitiva essere anche pastorale".
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L'indissolubilità del matrimonio non è una scelta della Chiesa: un articolo poco conosciuto di Joseph Ratzinger (Ambrogetti)
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Nuova Carta degli operatori sanitari: tra i referenti anche i politici chiamati a gestire le risorse finanziarie (R.V.)
Nuova Carta degli operatori sanitari: tra i referenti anche i politici chiamati a gestire le risorse finanziarie
La Carta degli operatori sanitari, elaborata dalla Santa Sede, sarà rinnovata alla luce dei progressi delle scienze mediche e dei pronunciamenti magisteriali. Il testo pubblicato nel 1994 dal Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, delinea le direttive della Chiesa incentrate sul valore fondamentale della vita di ogni essere umano dal concepimento fino al suo termine naturale. Roberta Gisotti ha intervistato padre Augusto Chendi, sottosegretario del dicastero vaticano:
R. – Si è ritenuto opportuno integrare questi contenuti che già erano offerti in modo sistematico nella Carta del 1994, con una nuova redazione che è in fase di avanzati lavori, e quindi riteniamo che entro un anno riusciremo – dopo tutte le autorizzazioni previste per questi documenti ufficiali della Santa Sede – a pubblicarla e a tradurla in tutte le lingue, come è l’attuale Carta del 1994.
D. – Si può avere qualche anticipazione, quantomeno sui punti che sono oggetto di revisione o di integrazione?
R. – Basti pensare, a questo proposito, che non era stato previsto, nella Carta del ’94, il Magistero di Giovanni paolo II in merito all’“Evangelium Vitae”, con tutto il problema dell’impegno dei cattolici in politica. Noi sappiamo, infatti, che oggi tra i problemi più urgenti c’è anche la giustizia nell’allocazione delle risorse finanziarie in ossequio del bene comune e della giustizia sociale, secondo i due principi della solidarietà e della sussidiarietà. Pensiamo ai problemi del fine vita e alle risposte che nel 2007 la Congregazione per la Dottrina della fede ha dato in merito all’alimentazione e all’idratazione. Pensiamo, da ultimo, all’Istruzione “Dignitas Personae” che tratta di alcune questioni fondamentali, soprattutto nell’applicazione delle biotecnologie all’inizio della vita: cellule staminali, riduzione embrionale … ecco, questi grandi problemi non erano presenti nella Carta del ’94 e quindi è opportuna, anzi necessaria un’integrazione in questa nuova Carta.
D. – Chi sta lavorando a questa revisione?
R. – Il Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, in accordo con medici e specialisti di diversi settori e moralisti, teologi … E’ un lavoro di comune accordo e di sintonia reciproca tra i vari Dicasteri competenti, non ultima anche la Congregazione per la Dottrina della fede.
D. – Chi sono i referenti di questa Carta? A chi è rivolta? Ci sono nuovi soggetti?
R. – Al di là degli operatori sanitari, i nuovi referenti sono – a mio avviso – i politici. Appunto perché – come abbiamo sentito anche recentemente, nel viaggio di Benedetto XVI in Africa – la giustizia sociale, l’allocazione secondo giustizia delle risorse finanziarie è un problema emergente, soprattutto laddove nel Vecchio Continente i problemi finanziari incominciano ad incidere anche sulla gestione del bene comune nei servizi essenziali nei Paesi chiamati ‘più ricchi’. (gf)
© Copyright Radio Vaticana
La Carta degli operatori sanitari, elaborata dalla Santa Sede, sarà rinnovata alla luce dei progressi delle scienze mediche e dei pronunciamenti magisteriali. Il testo pubblicato nel 1994 dal Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, delinea le direttive della Chiesa incentrate sul valore fondamentale della vita di ogni essere umano dal concepimento fino al suo termine naturale. Roberta Gisotti ha intervistato padre Augusto Chendi, sottosegretario del dicastero vaticano:
R. – Si è ritenuto opportuno integrare questi contenuti che già erano offerti in modo sistematico nella Carta del 1994, con una nuova redazione che è in fase di avanzati lavori, e quindi riteniamo che entro un anno riusciremo – dopo tutte le autorizzazioni previste per questi documenti ufficiali della Santa Sede – a pubblicarla e a tradurla in tutte le lingue, come è l’attuale Carta del 1994.
D. – Si può avere qualche anticipazione, quantomeno sui punti che sono oggetto di revisione o di integrazione?
R. – Basti pensare, a questo proposito, che non era stato previsto, nella Carta del ’94, il Magistero di Giovanni paolo II in merito all’“Evangelium Vitae”, con tutto il problema dell’impegno dei cattolici in politica. Noi sappiamo, infatti, che oggi tra i problemi più urgenti c’è anche la giustizia nell’allocazione delle risorse finanziarie in ossequio del bene comune e della giustizia sociale, secondo i due principi della solidarietà e della sussidiarietà. Pensiamo ai problemi del fine vita e alle risposte che nel 2007 la Congregazione per la Dottrina della fede ha dato in merito all’alimentazione e all’idratazione. Pensiamo, da ultimo, all’Istruzione “Dignitas Personae” che tratta di alcune questioni fondamentali, soprattutto nell’applicazione delle biotecnologie all’inizio della vita: cellule staminali, riduzione embrionale … ecco, questi grandi problemi non erano presenti nella Carta del ’94 e quindi è opportuna, anzi necessaria un’integrazione in questa nuova Carta.
D. – Chi sta lavorando a questa revisione?
R. – Il Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, in accordo con medici e specialisti di diversi settori e moralisti, teologi … E’ un lavoro di comune accordo e di sintonia reciproca tra i vari Dicasteri competenti, non ultima anche la Congregazione per la Dottrina della fede.
D. – Chi sono i referenti di questa Carta? A chi è rivolta? Ci sono nuovi soggetti?
R. – Al di là degli operatori sanitari, i nuovi referenti sono – a mio avviso – i politici. Appunto perché – come abbiamo sentito anche recentemente, nel viaggio di Benedetto XVI in Africa – la giustizia sociale, l’allocazione secondo giustizia delle risorse finanziarie è un problema emergente, soprattutto laddove nel Vecchio Continente i problemi finanziari incominciano ad incidere anche sulla gestione del bene comune nei servizi essenziali nei Paesi chiamati ‘più ricchi’. (gf)
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Burundi, il dolore del Papa per le brutali uccisioni. Mons. Becciu: Le famiglie cristiane sono pronte a buttarsi nella mischia per testimoniare il Vangelo nella quotidianità (Izzo)
BURUNDI: IL DOLORE DEL PAPA PER UCCISIONI BRUTALI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 nov.
Benedetto XVI e' addolorato per l'uccisione del volontario italiano e della suora croata in Burundi. Lo afferma il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, in un messaggio indirizzato al vescovo di Ngozi, alla Congregazione delle Ancelle della Carita' di Brescia, alla famiglia ed ai parenti del signor Francesco Bazzani, ucciso dopo essere stato preso in ostaggio durante la rapina nella missione di Kiremba, nella quale ha perso la vita una religiosa ed un'altra e' stata ferita.
"Addolorato per l'assassinio di suor Lukrecija Mamic e del signor Francesco Bazzani, Benedetto XVI esprime - si legge - le sue sincere condoglianze alla Congregazione delle Ancelle della Carita' di Brescia, alla famiglia ed ai parenti del signor Bazzani, e a tutta la comunita' diocesana di Ngozi. Il Papa chiede a Dio, Padre di ogni misericordia, di accogliere nel suo Regno questi defunti che hanno consacrato la loro vita al servizio dei malati e dei poveri, e di dare coraggio e speranza a suor Carla Lucia Brienza affinche' superi questa prova".
Alle famiglie "colpite da queste morti brutali", alle suore e alla chiesa locale, il Papa ha inviato "di gran cuore" la Benedizione Apostolica.
© Copyright (AGI)
FAMIGLIA: MONSIGNOR BECCIU, CATTOLICI SI MOBILITINO A DIFESA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 nov.
"Le famiglie cristiane sono pronte a buttarsi nella mischia per testimoniare il Vangelo nella quotidianità, senza farsi intimorire dal difficile contesto sociale ed economico e senza eludere le piu' scottanti questioni che riguardano il matrimonio e l'emergenza educativa dei giovani”. Lo assicura monsignor Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, che ha aperto oggi l'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia con una messa all'altare del beato Giovanni Paolo II nella Basilica di San Pietro.
Davanti alle attuali "minacce" il Pontificio Consiglio, ha detto, "e' fortemente impegnato a sostenere la famiglia e un'adeguata pastorale familiare" affinche' "le famiglie siano sempre piu' conformi al disegno di Dio, e trovino adeguato appoggio quali cellule vitali della societa' e della Chiesa".
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 nov.
Benedetto XVI e' addolorato per l'uccisione del volontario italiano e della suora croata in Burundi. Lo afferma il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, in un messaggio indirizzato al vescovo di Ngozi, alla Congregazione delle Ancelle della Carita' di Brescia, alla famiglia ed ai parenti del signor Francesco Bazzani, ucciso dopo essere stato preso in ostaggio durante la rapina nella missione di Kiremba, nella quale ha perso la vita una religiosa ed un'altra e' stata ferita.
"Addolorato per l'assassinio di suor Lukrecija Mamic e del signor Francesco Bazzani, Benedetto XVI esprime - si legge - le sue sincere condoglianze alla Congregazione delle Ancelle della Carita' di Brescia, alla famiglia ed ai parenti del signor Bazzani, e a tutta la comunita' diocesana di Ngozi. Il Papa chiede a Dio, Padre di ogni misericordia, di accogliere nel suo Regno questi defunti che hanno consacrato la loro vita al servizio dei malati e dei poveri, e di dare coraggio e speranza a suor Carla Lucia Brienza affinche' superi questa prova".
Alle famiglie "colpite da queste morti brutali", alle suore e alla chiesa locale, il Papa ha inviato "di gran cuore" la Benedizione Apostolica.
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FAMIGLIA: MONSIGNOR BECCIU, CATTOLICI SI MOBILITINO A DIFESA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 29 nov.
"Le famiglie cristiane sono pronte a buttarsi nella mischia per testimoniare il Vangelo nella quotidianità, senza farsi intimorire dal difficile contesto sociale ed economico e senza eludere le piu' scottanti questioni che riguardano il matrimonio e l'emergenza educativa dei giovani”. Lo assicura monsignor Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, che ha aperto oggi l'assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia con una messa all'altare del beato Giovanni Paolo II nella Basilica di San Pietro.
Davanti alle attuali "minacce" il Pontificio Consiglio, ha detto, "e' fortemente impegnato a sostenere la famiglia e un'adeguata pastorale familiare" affinche' "le famiglie siano sempre piu' conformi al disegno di Dio, e trovino adeguato appoggio quali cellule vitali della societa' e della Chiesa".
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Il cardinale Antonelli: la famiglia cristiana manifesti la presenza e l’amore di Cristo (Radio Vaticana)
Il cardinale Antonelli: la famiglia cristiana manifesti la presenza e l’amore di Cristo
Con la concelebrazione eucaristica presieduta nella Basilica di San Pietro, all’altare del Beato Giovanni Paolo II, da mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato, si è aperta stamani la XX Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Si tratta di una tappa preparatoria in vista del VII Incontro mondiale delle Famiglie, in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno del 2012. I lavori della Plenaria, che si concluderà il prossimo primo dicembre, sono incentrati sul 30.mo anniversario del dicastero e dell’Esortazione apostolica "Familiaris Consortio", ambedue frutto della sollecitudine per la famiglia di Papa Karol Wojtyla. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Intervenendo stamani sul tema “A 30 anni dalla Familiaris Consortio: memoria, attualità e profezia” il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, cardinale Ennio Antonelli, ha ricordato che “oggi la Chiesa è contestata soprattutto a motivo del suo insegnamento in ambito sessuale”. Si ritiene anche che la Chiesa non arrivi in tempo a capire “la rivoluzione sessuale e la questione antropologica”. La risposta a queste osservazioni - ha spiegato il cardinale Antonelli - va ricercata in una “rinnovata pedagogia”. Giovanni Paolo II, ha detto il porporato, ci ha insegnato, senza negare la morale sessuale, “a mettere in primo piano i significati, i valori e la spiritualità”, a proporre le esigenze della santità e, nello stesso tempo, a tener conto della debolezza umana secondo la ‘legge della gradualità’: “l’uomo conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita”. “L’amore, in cui il desiderio di felicità, l’attrazione sessuale, il dono di sé all’altro, la comunione interpersonale si integrano e si armonizzano – ha aggiunto il cardinale Antonelli - costituisce un riflesso di Dio”. Proprio per questo – ha affermato il porporato ricordando le parole di Benedetto XVI nella ‘Deus Caritas Est’ – dà una gioia più vera e più grande “non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza di quella Beatitudine a cui tutto tende”, cioè “un anticipo dell’unione con Dio nell’eternità”. La famiglia cristiana, ha detto il cardinale Antonelli, ha una precisa vocazione missionaria: “Il primo compito è vivere, irradiare e manifestare la presenza e l’amore di Cristo e di Dio”.
Soffermandosi sull’insegnamento della Chiesa sulla famiglia dalla “Familiars Consortio” ad oggi, il segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Jean Lafitte, ha poi osservato che l’Esortazione apostolica del 1981 di Giovanni Paolo II risponde alla necessità di riscoprire “i valori autentici” dell’istituto familiare in un tempo di crisi morale, offuscato da diverse ombre come il numero crescente di divorzi e la piaga dell’aborto. Anche Benedetto XVI ha dedicato vari interventi alla famiglia. Nell’Enciclica “Deus Caritas Est” – ha ricordato mons. Lafitte – il Papa sottolinea che il matrimonio fondato su un amore esclusivo e definitivo diventa “l’icona della relazione di Dio con il suo popolo” e, reciprocamente, il modo con cui Dio ama, “diventa la misura dell’amore umano”.
Il sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Carlos Simón Vasquez, si è quindi soffermato sui trent’anni di attività di questo dicastero che, sostenendo la promozione del progetto di Dio su matrimonio e vita umana, è divenuto anche “un osservatorio privilegiato” capace di “offrire aiuto e servizio agli episcopati del mondo”. Un campo di recente portata, che costituisce parte considerevole del lavoro del Pontificio Consiglio – ha aggiunto mons. Carlos Simón Vasquez – è “l’osservazione dello sviluppo delle biotecnologie e della bioetica, in relazione con l’istituto matrimoniale e familiare”. “Oggi – ha detto – sono in gioco le fonti della vita, le relazioni intra ed extra familiari, la salute della società e soprattutto la giustizia nei confronti dell’uomo”.
Sempre questa mattina l’arcivescovo emerito di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, è intervenuto sul tema “La famiglia comunità salvata e comunità salvante per la nuova evangelizzazione”. L’evangelizzazione da parte della famiglia cristiana – ha affermato il porporato - ha un’essenziale dimensione ecclesiale: “Chiama in causa e rende in qualche modo presente la stessa Chiesa”, ma questo si realizza sempre e solo in forza del matrimonio cristiano. La stessa celebrazione di questo Sacramento – ha concluso il cardinale Dionigi Tettamanzi – è Vangelo, una proclamazione della Parola di Dio, una professione di fede fatta nella e con la Chiesa.
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Con la concelebrazione eucaristica presieduta nella Basilica di San Pietro, all’altare del Beato Giovanni Paolo II, da mons. Giovanni Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato, si è aperta stamani la XX Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Si tratta di una tappa preparatoria in vista del VII Incontro mondiale delle Famiglie, in programma a Milano dal 30 maggio al 3 giugno del 2012. I lavori della Plenaria, che si concluderà il prossimo primo dicembre, sono incentrati sul 30.mo anniversario del dicastero e dell’Esortazione apostolica "Familiaris Consortio", ambedue frutto della sollecitudine per la famiglia di Papa Karol Wojtyla. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Intervenendo stamani sul tema “A 30 anni dalla Familiaris Consortio: memoria, attualità e profezia” il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, cardinale Ennio Antonelli, ha ricordato che “oggi la Chiesa è contestata soprattutto a motivo del suo insegnamento in ambito sessuale”. Si ritiene anche che la Chiesa non arrivi in tempo a capire “la rivoluzione sessuale e la questione antropologica”. La risposta a queste osservazioni - ha spiegato il cardinale Antonelli - va ricercata in una “rinnovata pedagogia”. Giovanni Paolo II, ha detto il porporato, ci ha insegnato, senza negare la morale sessuale, “a mettere in primo piano i significati, i valori e la spiritualità”, a proporre le esigenze della santità e, nello stesso tempo, a tener conto della debolezza umana secondo la ‘legge della gradualità’: “l’uomo conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita”. “L’amore, in cui il desiderio di felicità, l’attrazione sessuale, il dono di sé all’altro, la comunione interpersonale si integrano e si armonizzano – ha aggiunto il cardinale Antonelli - costituisce un riflesso di Dio”. Proprio per questo – ha affermato il porporato ricordando le parole di Benedetto XVI nella ‘Deus Caritas Est’ – dà una gioia più vera e più grande “non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza di quella Beatitudine a cui tutto tende”, cioè “un anticipo dell’unione con Dio nell’eternità”. La famiglia cristiana, ha detto il cardinale Antonelli, ha una precisa vocazione missionaria: “Il primo compito è vivere, irradiare e manifestare la presenza e l’amore di Cristo e di Dio”.
Soffermandosi sull’insegnamento della Chiesa sulla famiglia dalla “Familiars Consortio” ad oggi, il segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Jean Lafitte, ha poi osservato che l’Esortazione apostolica del 1981 di Giovanni Paolo II risponde alla necessità di riscoprire “i valori autentici” dell’istituto familiare in un tempo di crisi morale, offuscato da diverse ombre come il numero crescente di divorzi e la piaga dell’aborto. Anche Benedetto XVI ha dedicato vari interventi alla famiglia. Nell’Enciclica “Deus Caritas Est” – ha ricordato mons. Lafitte – il Papa sottolinea che il matrimonio fondato su un amore esclusivo e definitivo diventa “l’icona della relazione di Dio con il suo popolo” e, reciprocamente, il modo con cui Dio ama, “diventa la misura dell’amore umano”.
Il sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Carlos Simón Vasquez, si è quindi soffermato sui trent’anni di attività di questo dicastero che, sostenendo la promozione del progetto di Dio su matrimonio e vita umana, è divenuto anche “un osservatorio privilegiato” capace di “offrire aiuto e servizio agli episcopati del mondo”. Un campo di recente portata, che costituisce parte considerevole del lavoro del Pontificio Consiglio – ha aggiunto mons. Carlos Simón Vasquez – è “l’osservazione dello sviluppo delle biotecnologie e della bioetica, in relazione con l’istituto matrimoniale e familiare”. “Oggi – ha detto – sono in gioco le fonti della vita, le relazioni intra ed extra familiari, la salute della società e soprattutto la giustizia nei confronti dell’uomo”.
Sempre questa mattina l’arcivescovo emerito di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, è intervenuto sul tema “La famiglia comunità salvata e comunità salvante per la nuova evangelizzazione”. L’evangelizzazione da parte della famiglia cristiana – ha affermato il porporato - ha un’essenziale dimensione ecclesiale: “Chiama in causa e rende in qualche modo presente la stessa Chiesa”, ma questo si realizza sempre e solo in forza del matrimonio cristiano. La stessa celebrazione di questo Sacramento – ha concluso il cardinale Dionigi Tettamanzi – è Vangelo, una proclamazione della Parola di Dio, una professione di fede fatta nella e con la Chiesa.
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Paolino. Una storia d’Avvento (Ferdinando Cancelli)
Una storia d’Avvento
Paolino
Ferdinando Cancelli
Quando, quattordici anni fa, siamo venuti ad abitare in questa zona, appena sposati, Paolino era appena nato. Affetto da una rara malattia genetica, piccolissimo e singolarissimo, sembrava già vecchio; ci capitava di vederlo nella sua culla portatile caricato in fretta dai genitori, gli occhi bassi, su un’auto in attesa davanti a un palazzo come tanti della nostra città. Magari tornava, a distanza di alcuni giorni, in compagnia delle governanti.
Per tutti questi anni è stato per noi una presenza felice: inatteso come un folletto, lo abbiamo visto scomparire bambino dentro a una macchina e ricomparire dietro un albero del viale ormai ragazzino, sempre lieto. Quante volte Paolino, col suo volto storto e sorridente, la sua andatura scomposta e faticosa, i suoi sorrisi e i suoi sguardi che pochi per la strada hanno il coraggio di incrociare, ci ha riportato a noi stessi, ci ha restituito alla realtà solamente con la sua presenza discreta, minuscola e malata.
Ci siamo ritrovati con gli occhi bassi e lui era lì a fissarci a testa alta. Ci siamo riconosciuti falsi perché ci è venuto in mente, incontrandolo, che lui non è nemmeno in grado di mentire. Siamo usciti di casa tristi, carichi di pensieri e, nell’incrociarlo con un giocattolo tra le mani, abbiamo pensato subito che la sua e la nostra vita è nelle mani di Chi non ci vuole dispersi nei pensieri del nostro cuore.
I genitori si vedono poco con lui. Paolino è accompagnato quasi sempre dalle tante signore che gli stanno accanto giorno e notte: a tutte lui dà la mano, fiducioso, le guarda negli occhi, sorride alla pioggia e allo smog, sorride ai passanti, si guarda le dita e saltellando fa la sua passeggiatina quotidiana.
Paolino è diverso da noi: è dipendente eppure libero, è fragile eppure felice, zoppica ma ogni suo passo lo porta lontano, non parla ma si fa capire benissimo. Anche Chi l’ha creato lo tiene per mano come un piccolo figlio.
Ce lo mostra anche in questo Avvento come un fragile, eloquente mistero di semplice vita e di vera libertà, come un segno che ci aiuta a trovare la strada e a sentirci di nuovo creature, di nuovo capaci di dire con il profeta Isaia: «Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani».
(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2011)
Paolino
Ferdinando Cancelli
Quando, quattordici anni fa, siamo venuti ad abitare in questa zona, appena sposati, Paolino era appena nato. Affetto da una rara malattia genetica, piccolissimo e singolarissimo, sembrava già vecchio; ci capitava di vederlo nella sua culla portatile caricato in fretta dai genitori, gli occhi bassi, su un’auto in attesa davanti a un palazzo come tanti della nostra città. Magari tornava, a distanza di alcuni giorni, in compagnia delle governanti.
Per tutti questi anni è stato per noi una presenza felice: inatteso come un folletto, lo abbiamo visto scomparire bambino dentro a una macchina e ricomparire dietro un albero del viale ormai ragazzino, sempre lieto. Quante volte Paolino, col suo volto storto e sorridente, la sua andatura scomposta e faticosa, i suoi sorrisi e i suoi sguardi che pochi per la strada hanno il coraggio di incrociare, ci ha riportato a noi stessi, ci ha restituito alla realtà solamente con la sua presenza discreta, minuscola e malata.
Ci siamo ritrovati con gli occhi bassi e lui era lì a fissarci a testa alta. Ci siamo riconosciuti falsi perché ci è venuto in mente, incontrandolo, che lui non è nemmeno in grado di mentire. Siamo usciti di casa tristi, carichi di pensieri e, nell’incrociarlo con un giocattolo tra le mani, abbiamo pensato subito che la sua e la nostra vita è nelle mani di Chi non ci vuole dispersi nei pensieri del nostro cuore.
I genitori si vedono poco con lui. Paolino è accompagnato quasi sempre dalle tante signore che gli stanno accanto giorno e notte: a tutte lui dà la mano, fiducioso, le guarda negli occhi, sorride alla pioggia e allo smog, sorride ai passanti, si guarda le dita e saltellando fa la sua passeggiatina quotidiana.
Paolino è diverso da noi: è dipendente eppure libero, è fragile eppure felice, zoppica ma ogni suo passo lo porta lontano, non parla ma si fa capire benissimo. Anche Chi l’ha creato lo tiene per mano come un piccolo figlio.
Ce lo mostra anche in questo Avvento come un fragile, eloquente mistero di semplice vita e di vera libertà, come un segno che ci aiuta a trovare la strada e a sentirci di nuovo creature, di nuovo capaci di dire con il profeta Isaia: «Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani».
(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2011)
I giovani dopo Madrid. Esortazione dei vescovi spagnoli (Osservatore Romano)
Esortazione dei vescovi spagnoli
I giovani dopo Madrid
Madrid, 29. La Giornata mondiale della gioventù (Gmg) lancia un messaggio chiaro, inequivocabile: la Chiesa è giovane, la trasmissione della fede ai giovani è un diritto-dovere ed è un evento evidente, straordinario; i giovani «costituiscono un potenziale di primo ordine per la nuova evangelizzazione, essi sono grandi evangelizzatori in questa nuova ora della Chiesa e del mondo».
In queste espressioni, contenute nel documento finale della recente assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola, c'è il senso profondo della Gmg ma anche e soprattutto un invito ai giovani, chiamati a essere protagonisti, in Cristo, della storia. I presuli hanno adottato un'«azione di grazie e di incoraggiamento» dopo il grande evento celebrato in Spagna: «La nostra assemblea plenaria d'autunno -- scrivono -- è la prima riunione dopo la Giornata mondiale della gioventù che si è svolta a Madrid nell'agosto scorso. Intendiamo rendere grazie a Dio, perché ci ha permesso di celebrare questo grande evento di grazia, di fede e di speranza; abbiamo riflettuto sul suo significato per la pastorale giovanile del futuro e anche per il lavoro della nuova evangelizzazione».
Secondo i vescovi, l'assemblea plenaria è stata un'occasione privilegiata per rivolgersi ai giovani, incoraggiandoli a far fruttificare il mandato di fede e di azione apostolica scaturiti dalla Gmg.
I presuli, nel ringraziare quanti hanno reso possibile il grande evento di Madrid, ricordano le parole di Benedetto XVI, il quale rivolto ai giovani del mondo indicò la Giornata come «una vera e propria cascata di luce».
Anche il cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e presidente della Conferenza episcopale spagnola, nella prolusione inaugurale della plenaria, ha fatto riferimento ai giovani, forza e speranza, ma anche parte vulnerabile nell'attuale contesto storico. Il porporato ha ricordato le parole del Papa, in occasione della Giornata mondiale della gioventù 2011, sull'importanza delle radici cristiane della Spagna e sulla capacità del Paese di progredire verso il bene comune senza rinunciare alla sua anima religiosa e cattolica.
Il cardinale ha inoltre invitato «a guardare alle cause profonde della crisi» che si radicano nella «perdita dei valori morali, che vanno di pari passo con il relativismo e l'oblio di Dio e della sua santa legge», le cui conseguenze sono la corruzione politica ed economica, l'avidità, il disprezzo della vita umana mediante politiche abortive e contro la natalità, la mancanza di protezione e la decadenza istituzionale del matrimonio e della famiglia, la strumentalizzazione e il deterioramento dell'istruzione». Secondo Rouco Varela, «sono proprio i giovani i più colpiti da questo contesto di relativismo morale, di scetticismo spirituale e religioso e di una concezione egoistica e individualistica dell'uomo e della vita». I giovani devono essere, invece, «protagonisti del proprio presente e futuro». Perciò, è necessario che si offrano mezzi adeguati, partendo da una «educazione integrale», in modo da consentirgli «di sviluppare tutto il loro potenziale umano». Ora è il momento, ha esortato il presidente dei vescovi spagnoli, di raccogliere i frutti della Giornata mondiale della gioventù: «Dobbiamo cogliere lo zelo apostolico che da essa deriva per perseguire con determinazione e fiducia la sfida della nuova evangelizzazione in tutti i campi, ma soprattutto nella pastorale giovanile».
(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2011)
I giovani dopo Madrid
Madrid, 29. La Giornata mondiale della gioventù (Gmg) lancia un messaggio chiaro, inequivocabile: la Chiesa è giovane, la trasmissione della fede ai giovani è un diritto-dovere ed è un evento evidente, straordinario; i giovani «costituiscono un potenziale di primo ordine per la nuova evangelizzazione, essi sono grandi evangelizzatori in questa nuova ora della Chiesa e del mondo».
In queste espressioni, contenute nel documento finale della recente assemblea plenaria della Conferenza episcopale spagnola, c'è il senso profondo della Gmg ma anche e soprattutto un invito ai giovani, chiamati a essere protagonisti, in Cristo, della storia. I presuli hanno adottato un'«azione di grazie e di incoraggiamento» dopo il grande evento celebrato in Spagna: «La nostra assemblea plenaria d'autunno -- scrivono -- è la prima riunione dopo la Giornata mondiale della gioventù che si è svolta a Madrid nell'agosto scorso. Intendiamo rendere grazie a Dio, perché ci ha permesso di celebrare questo grande evento di grazia, di fede e di speranza; abbiamo riflettuto sul suo significato per la pastorale giovanile del futuro e anche per il lavoro della nuova evangelizzazione».
Secondo i vescovi, l'assemblea plenaria è stata un'occasione privilegiata per rivolgersi ai giovani, incoraggiandoli a far fruttificare il mandato di fede e di azione apostolica scaturiti dalla Gmg.
I presuli, nel ringraziare quanti hanno reso possibile il grande evento di Madrid, ricordano le parole di Benedetto XVI, il quale rivolto ai giovani del mondo indicò la Giornata come «una vera e propria cascata di luce».
Anche il cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e presidente della Conferenza episcopale spagnola, nella prolusione inaugurale della plenaria, ha fatto riferimento ai giovani, forza e speranza, ma anche parte vulnerabile nell'attuale contesto storico. Il porporato ha ricordato le parole del Papa, in occasione della Giornata mondiale della gioventù 2011, sull'importanza delle radici cristiane della Spagna e sulla capacità del Paese di progredire verso il bene comune senza rinunciare alla sua anima religiosa e cattolica.
Il cardinale ha inoltre invitato «a guardare alle cause profonde della crisi» che si radicano nella «perdita dei valori morali, che vanno di pari passo con il relativismo e l'oblio di Dio e della sua santa legge», le cui conseguenze sono la corruzione politica ed economica, l'avidità, il disprezzo della vita umana mediante politiche abortive e contro la natalità, la mancanza di protezione e la decadenza istituzionale del matrimonio e della famiglia, la strumentalizzazione e il deterioramento dell'istruzione». Secondo Rouco Varela, «sono proprio i giovani i più colpiti da questo contesto di relativismo morale, di scetticismo spirituale e religioso e di una concezione egoistica e individualistica dell'uomo e della vita». I giovani devono essere, invece, «protagonisti del proprio presente e futuro». Perciò, è necessario che si offrano mezzi adeguati, partendo da una «educazione integrale», in modo da consentirgli «di sviluppare tutto il loro potenziale umano». Ora è il momento, ha esortato il presidente dei vescovi spagnoli, di raccogliere i frutti della Giornata mondiale della gioventù: «Dobbiamo cogliere lo zelo apostolico che da essa deriva per perseguire con determinazione e fiducia la sfida della nuova evangelizzazione in tutti i campi, ma soprattutto nella pastorale giovanile».
(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2011)
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I malati nel cuore della Chiesa. A colloquio con monsignor Józef Krzysztof Nykiel sul magistero di Benedetto XVI
A colloquio con monsignor Józef Krzysztof Nykiel sul magistero di Benedetto XVI
I malati nel cuore della Chiesa
In margine alla Conferenza Internazionale su «La pastorale sanitaria al servizio della vita alla luce del magistero di Giovanni Paolo II», recentemente organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari, monsignor Józef Krzysztof Nykiel, officiale della Congregazione per la Dottrina della Fede e consultore del dicastero organizzatore, in questa intervista al nostro giornale si sofferma sul senso della salute nel magistero di Benedetto XVI.
Quali sono le linee portanti del magistero di Benedetto XVI sulla pastorale della salute?
Benedetto XVI ritiene che la cura per gli infermi sia uno dei compiti che esprimono l'intima natura della Chiesa. Un tema che trova largo spazio nelle sue prime tre encicliche. Il Papa racconta della continuità con cui la Chiesa, fin dalle sue origini, si fa carico del mondo dei sofferenti. Nel suo insegnamento, la pastorale della salute è dunque esortazione a seguire le orme di Cristo. Quando annunciava il Regno del Padre, Gesù accompagnava la predicazione con la guarigione degli infermi, offrendo un unico messaggio di speranza e di salvezza.
Che eredità affida alla Chiesa Gesù medico e buon Samaritano?
Il Papa evidenzia che, grazie all'azione dello Spirito Santo, l'opera di Gesù in favore dei malati «si prolunga nella missione della Chiesa attraverso le tante attività di assistenza sanitaria che le comunità cristiane promuovono con carità fraterna». Sono numerosi, dice il Papa, i sacerdoti, religiosi e laici che «hanno prestato e continuano a prestare in ogni parte del mondo le loro mani, i loro occhi e i loro cuori a Cristo». Si tratta invero di un'opera che raggiunge tutti, dentro e fuori la Chiesa.
Che risposta dà Benedetto XVI a chi si chiede che senso ha la sofferenza dell'uomo?
Il Papa spiega che «esiste un'intima relazione» fra la Croce di Gesù e il nostro dolore, che «si sublima quando è vissuto nella consapevolezza della vicinanza di Dio». Con la sua morte e resurrezione Gesù ha ottenuto la salvezza per l'umanità e ha mostrato che la sofferenza è uno strumento di redenzione. Così la sofferenza dell'uomo si rivela riflesso della croce di Cristo, e racchiude in sé lo stesso valore salvifico. Per rassicurare l'uomo il Papa pone poi l'accento sulla compassione di Gesù che soffre accanto al malato e partecipa del suo dolore: nell'enciclica Spe salvi afferma che «L'uomo ha per Dio un valore così grande da essersi egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione».
Di fronte al progresso della scienza, il Papa chiede alla medicina di ritrovare la centralità della persona.
Benedetto XVI ribadisce che è l'uomo il fine ultimo della scienza, chiamata a promuoverne la salute nel rispetto della dignità della persona fatta ad immagine di Dio. Nell'enciclica Caritas in veritate afferma che «L'immagine divina impressa nel nostro fratello fonda l'altissima dignità di ogni persona e suscita in ciascuno l'esigenza del rispetto, della cura e del servizio». Pertanto, «la tutela della vita, dal suo concepimento al termine naturale, il rispetto della dignità di ogni essere umano, vanno sostenuti e testimoniati, anche controcorrente».
Gli scenari aperti dal progresso della medicina, con la scoperta di nuove possibilità di cura, interpellano le coscienze. Quale guida è possibile per gli operatori?
Il Papa ribadisce che la Chiesa ha il compito di farsi guida e luce delle coscienze, di «contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali», in particolare fra gli operatori della sanità e presso gli organismi istituzionali «per far sì che ogni nuova scoperta scientifica possa servire al bene integrale della persona, nel costante rispetto della sua dignità».
Nel servizio al malato l'operatore non può non investire anche la propria umanità. Un compito talvolta gravoso.
Il Papa è consapevole di questo impegno e per questo esorta gli operatori sanitari a vedere nel volto del malato il Volto di Cristo. Inoltre, indica nell'Eucarestia la fonte della forza necessaria a «soccorrere efficacemente l'uomo e a promuoverlo secondo la dignità che gli è propria».
I tradizionali concetti di salute e di cura sono dunque superati?
Certamente sono insufficienti a trattare il benessere globale dell'uomo. La Chiesa riconosce che l'uomo è anzitutto persona, unità di corpo e spirito, e si fa carico dell'individuo nella sua totalità unendo alle cure mediche anche il sostegno psicologico, sociale e spirituale. Ne nasce così un concetto di cura integrale che si pone come obiettivo la promozione della salute umana nella sua interezza. Un approccio -- osserva il Papa -- che riflette la cura con cui Gesù si faceva incontro all'uomo sofferente «per guarirlo completamente, nel corpo, nella psiche e nello spirito», e che è proprio delle istituzioni sanitarie cattoliche e dei professionisti che vi operano.
Di fronte al mondo della sofferenza, che ruolo ha Maria nel magistero di Benedetto XVI?
Per Benedetto XVI Maria è la Madre di Dio che conforta dando speranza a chi è nel dolore. Nel suo viaggio apostolico a Lourdes il Papa ricorda che il sorriso di Maria si indirizza in modo speciale verso coloro che soffrono, affinché in esso possano trovare conforto e sollievo.
(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2011)
I malati nel cuore della Chiesa
In margine alla Conferenza Internazionale su «La pastorale sanitaria al servizio della vita alla luce del magistero di Giovanni Paolo II», recentemente organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari, monsignor Józef Krzysztof Nykiel, officiale della Congregazione per la Dottrina della Fede e consultore del dicastero organizzatore, in questa intervista al nostro giornale si sofferma sul senso della salute nel magistero di Benedetto XVI.
Quali sono le linee portanti del magistero di Benedetto XVI sulla pastorale della salute?
Benedetto XVI ritiene che la cura per gli infermi sia uno dei compiti che esprimono l'intima natura della Chiesa. Un tema che trova largo spazio nelle sue prime tre encicliche. Il Papa racconta della continuità con cui la Chiesa, fin dalle sue origini, si fa carico del mondo dei sofferenti. Nel suo insegnamento, la pastorale della salute è dunque esortazione a seguire le orme di Cristo. Quando annunciava il Regno del Padre, Gesù accompagnava la predicazione con la guarigione degli infermi, offrendo un unico messaggio di speranza e di salvezza.
Che eredità affida alla Chiesa Gesù medico e buon Samaritano?
Il Papa evidenzia che, grazie all'azione dello Spirito Santo, l'opera di Gesù in favore dei malati «si prolunga nella missione della Chiesa attraverso le tante attività di assistenza sanitaria che le comunità cristiane promuovono con carità fraterna». Sono numerosi, dice il Papa, i sacerdoti, religiosi e laici che «hanno prestato e continuano a prestare in ogni parte del mondo le loro mani, i loro occhi e i loro cuori a Cristo». Si tratta invero di un'opera che raggiunge tutti, dentro e fuori la Chiesa.
Che risposta dà Benedetto XVI a chi si chiede che senso ha la sofferenza dell'uomo?
Il Papa spiega che «esiste un'intima relazione» fra la Croce di Gesù e il nostro dolore, che «si sublima quando è vissuto nella consapevolezza della vicinanza di Dio». Con la sua morte e resurrezione Gesù ha ottenuto la salvezza per l'umanità e ha mostrato che la sofferenza è uno strumento di redenzione. Così la sofferenza dell'uomo si rivela riflesso della croce di Cristo, e racchiude in sé lo stesso valore salvifico. Per rassicurare l'uomo il Papa pone poi l'accento sulla compassione di Gesù che soffre accanto al malato e partecipa del suo dolore: nell'enciclica Spe salvi afferma che «L'uomo ha per Dio un valore così grande da essersi egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione».
Di fronte al progresso della scienza, il Papa chiede alla medicina di ritrovare la centralità della persona.
Benedetto XVI ribadisce che è l'uomo il fine ultimo della scienza, chiamata a promuoverne la salute nel rispetto della dignità della persona fatta ad immagine di Dio. Nell'enciclica Caritas in veritate afferma che «L'immagine divina impressa nel nostro fratello fonda l'altissima dignità di ogni persona e suscita in ciascuno l'esigenza del rispetto, della cura e del servizio». Pertanto, «la tutela della vita, dal suo concepimento al termine naturale, il rispetto della dignità di ogni essere umano, vanno sostenuti e testimoniati, anche controcorrente».
Gli scenari aperti dal progresso della medicina, con la scoperta di nuove possibilità di cura, interpellano le coscienze. Quale guida è possibile per gli operatori?
Il Papa ribadisce che la Chiesa ha il compito di farsi guida e luce delle coscienze, di «contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali», in particolare fra gli operatori della sanità e presso gli organismi istituzionali «per far sì che ogni nuova scoperta scientifica possa servire al bene integrale della persona, nel costante rispetto della sua dignità».
Nel servizio al malato l'operatore non può non investire anche la propria umanità. Un compito talvolta gravoso.
Il Papa è consapevole di questo impegno e per questo esorta gli operatori sanitari a vedere nel volto del malato il Volto di Cristo. Inoltre, indica nell'Eucarestia la fonte della forza necessaria a «soccorrere efficacemente l'uomo e a promuoverlo secondo la dignità che gli è propria».
I tradizionali concetti di salute e di cura sono dunque superati?
Certamente sono insufficienti a trattare il benessere globale dell'uomo. La Chiesa riconosce che l'uomo è anzitutto persona, unità di corpo e spirito, e si fa carico dell'individuo nella sua totalità unendo alle cure mediche anche il sostegno psicologico, sociale e spirituale. Ne nasce così un concetto di cura integrale che si pone come obiettivo la promozione della salute umana nella sua interezza. Un approccio -- osserva il Papa -- che riflette la cura con cui Gesù si faceva incontro all'uomo sofferente «per guarirlo completamente, nel corpo, nella psiche e nello spirito», e che è proprio delle istituzioni sanitarie cattoliche e dei professionisti che vi operano.
Di fronte al mondo della sofferenza, che ruolo ha Maria nel magistero di Benedetto XVI?
Per Benedetto XVI Maria è la Madre di Dio che conforta dando speranza a chi è nel dolore. Nel suo viaggio apostolico a Lourdes il Papa ricorda che il sorriso di Maria si indirizza in modo speciale verso coloro che soffrono, affinché in esso possano trovare conforto e sollievo.
(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2011)
L'intima comunità di vita e d'amore coniugale. Dal Vaticano II a Benedetto XVI (O.R.)
Dal Vaticano II a Benedetto XVI
L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall'arbitrio dell'uomo.
Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini: tutto ciò è di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana.
Per la sua stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale «non sono più due, ma una sola carne » (Matteo, 19, 6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono. Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità.
Cristo Signore ha effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici aspetti, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo così ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione. L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre. Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio.
[dalla Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II Gaudium et spes, n. 48: «Santità del matrimonio e della famiglia», 1965]
L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio a una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che -- già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale -- hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.
Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza -- che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico -- può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti a una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi -- quali, ad esempio, l'educazione dei figli -- non possono soddisfare l'obbligo della separazione, assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi.
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l'indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.
[dall'Esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II Familiaris consortio, n. 84: «I divorziati risposati», 1981]
La dottrina e la disciplina della Chiesa su questa materia sono state ampiamente esposte nel periodo postconciliare dall'Esortazione apostolica Familiaris consortio. L'Esortazione, tra l'altro, ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la partecipazione dei divorziati risposati a diversi momenti della vita della Chiesa. Nello stesso tempo ribadisce la prassi costante e universale, «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati» (n. 84), indicandone i motivi. La struttura dell'Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni.
10. Nell'azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l'indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore. Sarà necessario che i pastori e la comunità dei fedeli soffrano e amino insieme con le persone interessate, perché possano riconoscere anche nel loro carico il giogo dolce e il carico leggero di Gesù. Il loro carico non è dolce e leggero in quanto piccolo o insignificante, ma diventa leggero perché il Signore -- e insieme con lui tutta la Chiesa -- lo condivide. È compito dell'azione pastorale che deve essere svolta con totale dedizione, offrire questo aiuto fondato nella verità e insieme nell'amore.
[dalla Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 1994]
Se l'Eucaristia esprime l'irreversibilità dell'amore di Dio in Cristo per la sua Chiesa, si comprende perché essa implichi, in relazione al sacramento del matrimonio, quella indissolubilità alla quale ogni vero amore non può che anelare. Più che giustificata quindi l'attenzione pastorale che il Sinodo ha riservato alle situazioni dolorose in cui si trovano non pochi fedeli che, dopo aver celebrato il sacramento del matrimonio, hanno divorziato e contratto nuove nozze. Si tratta di un problema pastorale spinoso e complesso, una vera piaga dell'odierno contesto sociale che intacca in misura crescente gli stessi ambienti cattolici. I pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere bene le diverse situazioni, per aiutare spiritualmente nei modi adeguati i fedeli coinvolti. Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Marco, 10, 2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell'Eucaristia. I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli.
Là dove sorgono legittimamente dei dubbi sulla validità del matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza. (...) Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. Tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall'aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, evitando, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio.
[dall'Esortazione apostolica post-sinodale di Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 29: «Eucaristia e indissolubilità del matrimonio», 2007]
(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2011)
L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall'arbitrio dell'uomo.
Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini: tutto ciò è di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana.
Per la sua stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale «non sono più due, ma una sola carne » (Matteo, 19, 6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono. Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità.
Cristo Signore ha effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici aspetti, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo così ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione. L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre. Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio.
[dalla Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II Gaudium et spes, n. 48: «Santità del matrimonio e della famiglia», 1965]
L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio a una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che -- già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale -- hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.
Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza -- che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico -- può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti a una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi -- quali, ad esempio, l'educazione dei figli -- non possono soddisfare l'obbligo della separazione, assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi.
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l'indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.
[dall'Esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II Familiaris consortio, n. 84: «I divorziati risposati», 1981]
La dottrina e la disciplina della Chiesa su questa materia sono state ampiamente esposte nel periodo postconciliare dall'Esortazione apostolica Familiaris consortio. L'Esortazione, tra l'altro, ricorda ai pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le diverse situazioni e li esorta a incoraggiare la partecipazione dei divorziati risposati a diversi momenti della vita della Chiesa. Nello stesso tempo ribadisce la prassi costante e universale, «fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla Comunione eucaristica i divorziati risposati» (n. 84), indicandone i motivi. La struttura dell'Esortazione e il tenore delle sue parole fanno capire chiaramente che tale prassi, presentata come vincolante, non può essere modificata in base alle differenti situazioni.
10. Nell'azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l'indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore. Sarà necessario che i pastori e la comunità dei fedeli soffrano e amino insieme con le persone interessate, perché possano riconoscere anche nel loro carico il giogo dolce e il carico leggero di Gesù. Il loro carico non è dolce e leggero in quanto piccolo o insignificante, ma diventa leggero perché il Signore -- e insieme con lui tutta la Chiesa -- lo condivide. È compito dell'azione pastorale che deve essere svolta con totale dedizione, offrire questo aiuto fondato nella verità e insieme nell'amore.
[dalla Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 1994]
Se l'Eucaristia esprime l'irreversibilità dell'amore di Dio in Cristo per la sua Chiesa, si comprende perché essa implichi, in relazione al sacramento del matrimonio, quella indissolubilità alla quale ogni vero amore non può che anelare. Più che giustificata quindi l'attenzione pastorale che il Sinodo ha riservato alle situazioni dolorose in cui si trovano non pochi fedeli che, dopo aver celebrato il sacramento del matrimonio, hanno divorziato e contratto nuove nozze. Si tratta di un problema pastorale spinoso e complesso, una vera piaga dell'odierno contesto sociale che intacca in misura crescente gli stessi ambienti cattolici. I pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere bene le diverse situazioni, per aiutare spiritualmente nei modi adeguati i fedeli coinvolti. Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Marco, 10, 2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell'Eucaristia. I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli.
Là dove sorgono legittimamente dei dubbi sulla validità del matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza. (...) Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. Tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall'aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, evitando, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio.
[dall'Esortazione apostolica post-sinodale di Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 29: «Eucaristia e indissolubilità del matrimonio», 2007]
(©L'Osservatore Romano 30 novembre 2011)