Ildegarda, musica e pittura del creato
Rosita Copioli
Ildegarda di Bingen (1098-1179) protestava di essere <+corsivo>paupercula<+tondo>, di non avere appreso che i Salmi e i Vangeli. Riferiva a Dio il dono delle visioni da cui attinse la sterminata sapienza che riversò nelle sue opere. Iniziò a dettarle a quarant’anni, quando la voce le ordinò di scriverle, e le accompagnò con miniature straordinarie, che sbalordirono Goethe. Apparvero così Scivias («Conosci le vie», un titolo rivelato, 1141-1151), la cui ultima visione anticipa la stesura dei canti liturgici di Symphonia harmoniae caelestium revelationum («Sinfonia dell’armonia delle rivelazioni celesti», 1151-1158) e del dramma musicale di Ordo virtutum («Ordine delle virtù», 1141-1151); il Liber vitae meritorum («Libro dei meriti della vita», 1158-1163); il Liber divinorum operum (Libro delle opere divine, 1163-1174).
Nelle opere confluisce la teologia platonico-cristiana, dagli stoici e Plotino ad Agostino, a Dionigi l’Areopagita, a Giovanni Scoto (dal Libro sulle nature dell’universo Ildegarda mutuò l’homo-omnis, l’unità ontologica tra uomo e universo, il microcosmo descritto nel Libro delle opere divine), alla scuola di Chartres con Guglielmo di Conches, a Ugo di San Vittore (la influenzò De archa Noe, fonte del "“pensare visivo” del XII secolo, come dimostrò Marta Cristiani).
Era sempre fragile e malata, una melanconica che languiva nella nostalgia dell’Eden. Eppure scriveva e componeva musica e poesia instancabilmente. Affrontò dal 1147 continui viaggi per predicare. Profetizzava e operava miracoli, dialogava con papi e imperatori, come Eugenio III e Federico I Barbarossa, e vincendo opposizioni durissime, fondò un grande monastero sul Ruperstberg.
Verso la fine della vita, fu costretta a manifestare la sua natura di Antigone che “deve” obbedire solo alla legge divina, quando si oppose ai prelati di Magonza che le intimavano di disseppellire dal Rupertsberg il cadavere di un gentiluomo scomunicato. In visione Ildegarda vedeva con gli occhi interiori senza perdere coscienza. Riccardo di San Vittore la chiama visione del terzo tipo, dove si continua a percepire lucidamente la realtà circostante, senza esaltazioni fisiche o psichiche.
Scrive Ildegarda: «Il mio spirito sale in alto, nelle altezze del firmamento, in aria diversa, e si dilata tra differenti nazioni, per quanto siano in regioni remote, in luoghi distanti [...] La luce che vedo non ha spazio, ma è molto, molto più luminosa di una nuvola che avvolga il sole [...] la chiamo “l’ombra della luce vivente”. [...] E a volte, nella stessa luce, vedo un altro splendore, che chiamo “lo splendore vivente” [...] l’anima mia se ne abbevera come da una fontana: ma la fontana resta sempre piena, inesausta. La mia anima non manca mai della luce che è detta “l’ombra della luce vivente”.
La vedo come se guardassi un firmamento senza stelle entro una nuvola di luce». Nella visione Le cose invisibili ed eterne si manifestano in tutti i gradi e forme. La bellezza, alla quale è arduo restare fedeli, è quella della incarnazione trinitaria dell’amore. Ildegarda se ne fa specchio: vuole combaciare con la Carità che è sposa di Dio e Sapienza, lo spirito Santo che per la forza di vita germinante (viriditas), è anima del mondo, e dal seno della Vergine, inondata della luce dell’Aurora, trae la luce di zaffiro del Cristo. Non esiste cosa, dove la luminosa mente di Ildegarda non veda l’intimo rapporto con Dio e ne dispieghi la genesi che ci riconduce all’unità dell’Eden, luogo della prima e ultima intimità con lui.
C’è un suo insegnamento urgente. Se tutto è attuale, ossia un eterno presente in lei, il suo appello alla «Discrezione» mi pare perfetto, oggi: non un precetto dalla regola dei Benedettini, o un consiglio da Précieuses: «In cielo e in terra è madre di ogni cosa: grazie ad essa l’anima è regolata e il corpo nutrito in sana asciuttezza».
Prescrive «Discrezione» colei che espresse una profezia e una concretizzazione simbolica visionarie, sapienza morale, teologia, e filosofia degna di Platone; la scienziata con conoscenze della natura e della medicina uniche al tempo; la voce poetica che parlò con una lingua mirabile, e l’accompagnò con musica uguale; la pittrice delle più belle immagini del creato, che unificò facoltà che né Dante, né Goethe – i soli che a ragione le siano stati accostati – hanno armonizzato insieme.
Ciò mi impressiona per la grandezza smisurata di Ildegarda. Perciò mi piace il suo invito al limite, alla misura che è intelligenza, spirito di osservazione, discernimento, discrimine, senso delle proporzioni, giudizio ponderato, equilibrio. Di certo, per chi concepiva l’anima come una sinfonia, la musica e il canto come voce vivente della voce di Adamo nel Paradiso e degli angeli, la virtù della discrezione che unifica le qualità umane non è solo il dono supremo dell’intelligenza, ma il primo degli ordini dell’armonia musicale. E sorprendentemente, per Filone di Alessandria, era l’albero della conoscenza, che distingue il bene dal male.
© Copyright Avvenire, 29 settembre 2012 consultabile online anche qui.
Ildegarda di Bingen protestava do essere "paupercula", una povera fragile donna. Cene fossero ...
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