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lunedì 29 ottobre 2012
Che cosa possiamo dire? La domanda di Benedetto XVI alla chiusura del Sinodo dei vescovi (Doldi)
Che cosa possiamo dire?
La domanda di Benedetto XVI alla chiusura del Sinodo dei vescovi
Marco Doldi
Con la messa celebrata nella Basilica di San Pietro, si è conclusa ieri la XIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi.
Per tre settimane rappresentanti dell’episcopato di tutto il mondo, esperti, fedeli laici, uomini e donne insieme al Papa si sono confrontati sulla realtà della nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Davvero, tutta la Chiesa era rappresentata e, dunque, “coinvolta in questo impegno, che - come ha detto il Papa all’Angelus - non mancherà di dare i suoi frutti, con la grazia del Signore”. Il Sinodo è stato un momento di forte comunione ecclesiale, che ancora una volta ha fatto sperimentare la bellezza di essere Chiesa proprio oggi, in questo mondo così com’è, in mezzo a questa umanità con le sue fatiche e le sue speranze.
Il Sinodo ha coinciso con il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e quindi con l’inizio dell’Anno della fede. Secondo il Papa, ripensare al Beato Giovanni XXIII, al Servo di Dio Paolo VI, alla stagione conciliare, è stato quanto mai favorevole, perché ha aiutato a riconoscere che “la nuova evangelizzazione non è una nostra invenzione, ma è un dinamismo che si è sviluppato nella Chiesa in modo particolare dagli anni ‘50 del secolo scorso, quando apparve evidente che anche i Paesi di antica tradizione cristiana erano diventati, come si suol dire, terra di missione”. Durante i lavori è emersa l’esigenza di un annuncio rinnovato del Vangelo nelle società secolarizzate, “nella duplice certezza che, da una parte, è solo Lui, Gesù Cristo, la vera novità che risponde alle attese dell’uomo di ogni epoca, e dall’altra, che il suo messaggio chiede di essere trasmesso in modo adeguato nei mutati contesti sociali e culturali”.
“Che cosa possiamo dire al termine di queste intense giornate di lavoro?”. Si è interrogato Benedetto XVI, il quale, presente ai lavori, ha ascoltato e raccolto molti spunti di riflessione e molte proposte. A lui ora il compito di ordinare ed elaborare il tanto materiale, per offrire a tutta la Chiesa - probabilmente nella forma di esortazione post sinodale - una sintesi organica e indicazioni coerenti di cammino.
In attesa di conoscere tutto questo, si possono meditare i primi orientamenti generali, che lo stesso Pontefice ha fatto emergere e costituiscono quasi un primo volto dei lavori del Sinodo. Ne ha parlato espressamente durante l’omelia per la messa presieduta al mattino nella basilica vaticana.
Intanto una considerazione generale: la nuova evangelizzazione riguarda tutta la vita della Chiesa. “Essa si riferisce, in primo luogo, alla pastorale ordinaria che deve essere maggiormente animata dal fuoco dello Spirito, per incendiare i cuori dei fedeli che regolarmente frequentano la Comunità e che si radunano nel giorno del Signore per nutrirsi della sua Parola e del Pane di vita eterna”.
Affermato questo, il Santo Padre indica tre linee pastorali emerse dal Sinodo. La prima riguarda i Sacramenti dell’iniziazione cristiana. “È stata riaffermata l’esigenza di accompagnare con un’appropriata catechesi la preparazione al Battesimo, alla Cresima e all’Eucaristia. È stata pure ribadita l’importanza della Penitenza, sacramento della misericordia di Dio”. Attraverso questo itinerario sacramentale passa la chiamata del Signore alla santità, rivolta a tutti i cristiani. Infatti, è stato più volte ripetuto che i veri protagonisti della nuova evangelizzazione sono i santi: essi parlano un linguaggio a tutti comprensibile con l’esempio della vita e con le opere della carità.
In secondo luogo, la nuova evangelizzazione è essenzialmente connessa con la missione “ad gentes”, che riguarda alcune regioni dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania i cui abitanti aspettano con viva attesa, talvolta senza esserne pienamente coscienti, il primo annuncio del Vangelo. Ma riguarda un po’ tutti, perché la globalizzazione ha causato un notevole spostamento di popolazioni; pertanto, il primo annuncio si impone anche nei Paesi di antica evangelizzazione. “Tutti gli uomini hanno il diritto di conoscere Gesù Cristo e il suo Vangelo; e a ciò corrisponde il dovere dei cristiani, di tutti i cristiani - sacerdoti, religiosi e laici -, di annunciare la Buona Notizia”.
Un terzo aspetto riguarda le persone battezzate che però non vivono le esigenze del Battesimo. Queste persone si trovano in tutti i continenti, specialmente nei Paesi più secolarizzati. “La Chiesa ha un’attenzione particolare verso di loro, affinché incontrino nuovamente Gesù Cristo, riscoprano la gioia della fede e ritornino alla pratica religiosa nella comunità dei fedeli”. Oltre ai metodi pastorali tradizionali, sempre validi, la Chiesa cerca di adoperare anche metodi nuovi, curando pure nuovi linguaggi, appropriati alle differenti culture del mondo, proponendo la verità di Cristo con un atteggiamento di dialogo e di amicizia che ha fondamento in Dio che è Amore.
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