Con un'omelia tanto bella quanto profonda - che va ben al di là della contingenza, ma naturalmente la illumina - Benedetto XVI ha celebrato la festa degli apostoli Pietro e Paolo. Circondato secondo la consuetudine dagli arcivescovi metropoliti (provenienti quest'anno da ventidue Nazioni dei cinque continenti) a cui ha consegnato il pallio e alla presenza di una delegazione della Chiesa sorella di Costantinopoli, in una basilica dove si sono innalzati i canti meravigliosi del coro anglicano di Westminster Abbey uniti a quelli della Sistina.
Non ci poteva essere un'immagine più eloquente della dimensione cattolica ed ecumenica (due sinonimi, non solo etimologicamente) della Chiesa e della fraternità cristiana che essa esprime. Una fraternità - tema caro già al giovane Ratzinger - che il Papa ha presentato questa volta parlando dei due patroni principali della città, i nova sidera celebrati nella seconda metà del iv secolo da Damaso. Come ha spiegato Benedetto XVI, i due apostoli sostituiscono non solo le figure mitiche di Romolo e Remo ma rovesciano l'immagine tragica di Caino e Abele inaugurando «un nuovo modo di essere fratelli» reso possibile da Cristo.
Questa è la nuova fraternità cristiana che hanno realizzato Pietro e Paolo, inseparabili «benché assai differenti umanamente l'uno dall'altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti» ha voluto puntualizzare il Papa con perfetta aderenza ai dati storici della tradizione cristiana. Un profondo realismo teologico che Benedetto XVI ha subito dopo applicato alla figura di Pietro, per grazia di Dio pietra e roccia, e cioè «fondamento visibile su cui è costruito l'intero edificio spirituale della Chiesa». Ma questo stesso discepolo «che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche - ha insistito il Pontefice - per quello che è, nella sua debolezza umana»: una pietra d'inciampo a cui il Signore chiede di mettersi al suo seguito.
È questa la scena fondante che anticipa e illumina secondo Benedetto XVI il dramma storico del papato: fondamento della Chiesa «grazie alla luce e alla forza che vengono dall'alto», luce e forza che sole possono trasformare quella «debolezza degli uomini» presente lungo i secoli nella stessa Chiesa. Ma nonostante queste debolezze e imperfezioni che il Pontefice conosce e delle quali si fa carico in prima persona - non possono qui non tornare alla mente le accorate parole sulla sporcizia nella Chiesa scritte dal cardinale Ratzinger per la Via Crucis al Colosseo poco prima di essere eletto Papa - lo sguardo di Benedetto XVI è fisso sulla promessa di Cristo che il male non avrà l'ultima parola.
Promessa contenuta in quel non praevalebunt che non a caso Gesù rivolge allo stesso Pietro e che il Papa già rintraccia nel racconto della vocazione del profeta Geremia. Con parole di speranza che rassicurano il primo degli apostoli riguardo al futuro della Chiesa. Parole che si estendono «a tutti i tempi».
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano 1° luglio 2012)
Siamo giunti all'affermazione (da parte del direttore dell' "Osservatore Romano" !) che "cattolico" ed "ecumenico" sono sinonimi.
RispondiEliminaIl direttore non sa che "ecumenico" significa "riguardante tutto il mondo abitato" (da Cristiani, sottinteso), mentre "cattolico" significa "universale".
Il primo termine, cioè, ha un significato tipicamente ecclesiale e interecclesiale, mentre il secondo ha un significato fortemente "laicale". La Chiesa Cattolica è rivolta alla realtà tutta intera e consente ai suoi figli di portare frutti concreti ("Non chi dice: Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre Mio, entrerà nel Regno dei Cieli")