Il Papa: Pietro e Paolo stelle nel cielo di Roma
Andrea Gagliarducci
Il Pontefice ha ricordato le "colonne della Chiesa" che dalla Capitale irradiano la loro luce nel mondo.
«I Santi Pietro e Paolo brillano non solo nel cielo di Roma, ma nel cuore di tutti i credenti che, illuminati dal loro insegnamento e dal loro esempio, in ogni parte del mondo camminano sulla via della fede, della speranza e della carità».
Benedetto XVI all’Angelus ricorda le «colonne della Chiesa», i santi Pietro e Paolo. Durante l’omelia alla Messa della mattina ha ricordato che i due santi, a Roma, non sono mai venerati separatamente, ma uniti, come una specie di contraltare di Romolo e Remo. E, alla recita dell’Angelus, ripercorre i concetti dell’omelia e li attualizza nella festa, anche popolare, della città di Roma. E da Roma, i segni di Pietro e Paolo brillano in tutto il mondo. Il 29 giugno per Benedetto XVI è un giorno speciale, perché ricorre l’anniversario della sua ordinazione (era il 29 giugno 1951). Ma è il giorno in cui il Papa impone il pallio ai nuovi arcivescovi metropoliti. Quest’anno sono 44. Due eventi che fanno sì che la Chiesa e il sacerdozio siano sempre il centro dell’omelia di Benedetto XVI. Ma è a partire dalla missione di Pietro, dal suo modo di essere roccia, che il Papa racconta anche un po’ della Chiesa di oggi. «Pietro e Paolo - dice il Papa - benché assai differenti umanamente l’uno dall’altro e malgrado nel loro rapporto non siano mancati conflitti, hanno realizzato un modo nuovo di essere fratelli, vissuto secondo il Vangelo, un modo autentico reso possibile dalla grazia del Vangelo di Cristo operante in loro». Tutt’altra storia rispetto alla prima coppia biblica di fratelli, Caino e Abele, di cui uno uccide l’altro. Cosa è cambiato con Pietro e Paolo? C’è stato il messaggio di Gesù, perché «solo la sequela di Gesù conduce alla nuova fraternità». Questo, ricorda il Papa, è «il primo fondamentale messaggio che la solennità odierna consegna a ciascuno di noi, e la cui importanza si riflette anche sulla ricerca di quella piena comunione, cui anelano il Patriarca ecumenico e il Vescovo di Roma, come pure tutti i cristiani».
Il Papa parla della Chiesa, che «non è una comunità di perfetti, ma di peccatori che si debbono riconoscere bisognosi dell’amore di Dio, bisognosi di essere purificati attraverso la Croce di Gesù». «I detti di Gesù sull’autorità di Pietro e degli Apostoli - dice - lasciano trasparire proprio che il potere di Dio è l’amore che irradia la sua luce dal Calvario». Che è presente anche nel «dramma della storia dello stesso papato». Un Papato che è «il fondamento della Chiesa pellegrina nel tempo», anche se «lungo i secoli emerge anche la debolezza degli uomini, che solo l’apertura all’azione di Dio può trasformare». Tuttavia, aggiunge Benedetto XVI, «le forze del male, non potranno avere il sopravvento, non prevalebunt». Perché è vero, afferma il Papa, che «il discepolo che, per dono di Dio, può diventare solida roccia, si manifesta anche per quello che è, nella sua debolezza umana: una pietra sulla strada, una pietra in cui si può inciampare - in greco skandalon». Ed è per questo che c’è bisogno della grazia, per colmare la tensione «tra il dono che viene dal Signore e le capacità umane». E questa grazia, che «toglie energia alle forze del caos e del male, è nel cuore del ministero della Chiesa».
© Copyright Il Tempo, 30 giugno 2012 consultabile online anche qui.
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