L'immensa pazienza
Il tema della tribolazione nella catechesi di oggi
Un invito a “non lasciarsi vincere dalla tribolazione e dalle difficoltà”, ma a “vivere ogni situazione uniti a Cristo”, che “carica su di sé tutta la sofferenza e il peccato del mondo per portare luce, speranza e redenzione”, donandoci “consolazione in mezzo alle tempeste della vita, nonostante le nostre infedeltà e i nostri rinnegamenti”. A rivolgerlo è stato il Papa, che nella catechesi dell’udienza generale odierna si è soffermato sul tema della “consolazione”, e sul “dialogo” tra il “sì” fedele di Dio e l’“amen” fiducioso dei credenti. Prendendo spunto dalla seconda lettera di san Paolo ai Corinzi, inviata a “una Chiesa che più volte ha messo in discussione il suo apostolato”, Benedetto XVI ha fatto notare che Dio, attraverso Cristo, “ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione”: l’esempio da seguire è quello di Paolo, che nonostante le “molte tribolazioni, difficoltà, afflizioni che ha dovuto attraversare, non ha mai ceduto allo scoraggiamento. Per annunziare Cristo ha subito anche persecuzioni fino a essere rinchiuso in carcere, ma si è sentito sempre interiormente libero”.
Il “sì” di Dio all’uomo. “La nostra vita e il nostro cammino cristiano – ha proseguito il Papa – sono segnati spesso da difficoltà, da incomprensioni, da sofferenze”, ma nella preghiera “noi sentiamo concretamente la consolazione che viene da Dio”, che “rafforza la nostra fede” e “ci fa sperimentare in modo concreto il ‘sì’ di Dio all’uomo in Cristo, la fedeltà del suo amore, che giunge fino al dono del suo Figlio sulla Croce”. “Tutta la storia della salvezza – ha ricordato il Papa – è un progressivo rivelarsi di questa fedeltà di Dio, nonostante le nostre infedeltà e i nostri rinnegamenti”. Il “modo di agire di Dio” è “ben diverso dal nostro”, ha puntualizzato il Pontefice, spiegando come “di fronte ai contrasti nelle relazioni umane, spesso anche familiari, noi siamo portati a non perseverare nell’amor gratuito, che costa impegno e sacrificio”, mentre “Dio non si stanca mai di avere pazienza con noi e con la sua immensa misericordia ci precede sempre, ci viene incontro per primo”, attraverso un amore “che non calcola, che non ha misura”.
L’“amen” della Chiesa. Sul “sì” fedele di Dio s’innesta l’“amen” della Chiesa che “risuona in ogni azione della liturgia”, ha osservato Benedetto XVI: “È la risposta della fede che chiude sempre la nostra preghiera personale e comunitaria, e che esprime il nostro ‘sì’ all’iniziativa di Dio”. “Spesso rispondiamo per abitudine ‘amen’ nella nostra preghiera, senza coglierne il significato profondo”, ha detto il Papa, ricordando che questo termine significa “rendere stabile”, “consolidare” e, di conseguenza, “essere certo” o “dire la verità”. Sin dagli inizi, ha proseguito il Santo Padre, l’“amen” della liturgia giudaica è diventato l’“amen” delle prime comunità cristiane, tanto che “il libro della liturgia cristiana per eccellenza, l’Apocalisse di san Giovanni, inizia con l’‘amen’ della Chiesa”.
Non con le nostre forze. La “fedeltà incrollabile” di Dio nei confronti dell’uomo ci dona “consolazione in mezzo alle tempeste della vita”, ha assicurato il Papa, secondo il quale “nella nostra preghiera siamo chiamati a dire ‘sì’ a Dio, a rispondere con l’‘amen’ dell’adesione, della fedeltà a Lui di tutta la nostra vita”. “Questa fedeltà – ha ammonito però Benedetto XVI – non la possiamo mai conquistare con le nostre forze, non è solo frutto del nostro impegno quotidiano”, perché “viene da Dio ed è fondata sul ‘sì’ di Cristo”. È in questo “sì”, ha concluso il Papa, che “dobbiamo entrare, nell’adesione alla volontà di Dio, per giungere con san Paolo ad affermare che non siamo noi a vivere, ma è Cristo stesso che vive in noi. Allora l’‘amen’ della nostra preghiera personale e comunitaria avvolgerà e trasformerà tutta la nostra vita”.
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