martedì 29 maggio 2012

Incontro Mondiale delle Famiglie. Il cardinale Scola: la presenza del Papa sarà un dono straordinario


Incontro Mondiale delle Famiglie. Il cardinale Scola: la presenza del Papa sarà un dono straordinario


In una Milano che comincia a riempirsi di genitori e figli dei cinque continenti – e dove da giorni la gigantografia con il volto del Papa pende sulla facciata del Duomo – si vive oggi la vigilia del Congresso internazionale che dà il via al settimo Incontro mondiale delle Famiglie. Sono oltre 1500 i giornalisti che ne seguiranno gli eventi, soprattutto la conclusione che vedrà la presenza del Papa tra venerdì e domenica prossimi. Il nostro inviato nel capoluogo lombardo, Alessandro De Carolis, ha chiesto all’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, con quali sentimenti la Chiesa ambrosiana si sia preparata ad accogliere i protagonisti del raduno: 


R. – Credo che la parola più giusta, da parte mia, in ogni caso quella che sento in profondità, è la parola “gratitudine”. Questa occasione - che il Santo Padre ci ha offerto e che il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha programmato - ha favorito, nella nostra realtà diocesana e anche in tutta la società civile, una presa di coscienza approfondita del bene preziosissimo che è la famiglia. E si è messo, così, al centro della realtà ecclesiale e civile, questa realtà costitutiva, indispensabile e genetica di effettive personalità mature, capaci di essere buoni cristiani e buoni cittadini. Ho visto questo dato crescere ed è imponente la stessa eco che tutti gli strumenti di comunicazione stanno dando a questo evento che rimette al centro la famiglia fondata sul rapporto stabile, aperto alla vita, dell’uomo e della donna. Quindi, non si può non essere grati perché è un bene di cui tutti gli uomini fanno esperienza ed è qualcosa che dobbiamo custodire per il presente e per il futuro che si mostra così carico di travaglio e di fatica. 


D. – “Il lavoro e la festa” è il binomio-guida del prossimo Raduno. In un momento di crisi economica acuta come quella attuale, in cui si tende a dilatare all’eccesso i tempi del lavoro, parlare di “tempo della festa” sembrerebbe quasi una provocazione. Qual è, allora, la testimonianza che vogliono dare le famiglie cristiane? 


R. – Vogliono innanzitutto partire da un’unità profonda, radicata: se riflettiamo bene, ognuno di noi ogni giorno è chiamato a giocarsi con gli affetti, con il lavoro e con il riposo. Da questo punto di vista, la scelta del tema e il lavoro di riflessione che faremo su di esso, e di preghiera, di meditazione, di scambio artistico, si rivela, secondo me, in un certo senso proprio in questa epoca di fatica, una grande offerta a ogni persona, a ogni uomo, a ogni realtà associata, affinché riscoprendo in profondità in queste espressioni dell’unità dell’io – gli affetti, il lavoro, la festa – si ritrovi anche l’energia per affrontare le grandi contraddizioni in cui siamo immersi. Di questi tre elementi, nessuno può fare a meno e la famiglia è quella che li custodisce e li alimenta. Quindi, proprio perché la prova è molto forte, io credo che il settimo Incontro possa dare speranza e fiducia anche in un momento così difficile. 


D. – L’Incontro mondiale delle famiglie vedrà rappresentate un’ottantina di nazioni, almeno. Questo vuol dire, per l’appunto, un orizzonte molto ampio di ciò che la famiglia che crede è e intende essere, lì dove vive. Come si lega questo evento all’apertura dell’Anno della Fede?


R. – Secondo me, questo evento può rappresentare una premessa decisiva, nel senso che può aprire gli animi alla questione numero uno che è, come ha detto il Santo Padre, la questione della fede. Quando il Papa ha parlato della crisi dell’Europa, ha ricordato tutte le contraddizioni di carattere sociale, culturale che l’Europa attraversa, ma ha detto che, alla sua radice, questa crisi è una crisi di fede. Perché la fede è messa in questione: noi cristiani siamo chiamati ad affrontare tutte le domande che i nostri fratelli uomini ci pongono circa il contenuto del dono della nostra fede che, non per nostro merito, abbiamo avuto dall’offerta totale della propria vita che Gesù ha compiuto. Ci ha consentito di chiamare Dio “Padre”, ci ha dato il senso del rapporto giusto tra l’uomo e la donna, ci ha incorporati a Lui nell’Eucaristia, da cui viene la Chiesa come una comunità di fratelli, ci ha dato il senso e il gusto del lavoro, ci aiuta a riposare e ci spalanca alla condivisione del bisogno più radicale degli ultimi e degli emarginati. Ci dà il senso del bello, del buono e del vero. Quindi, la famiglia, che deve diventare sempre più un soggetto ecclesiale, è una riscoperta della fede cui il Santo Padre ha voluto dedicare il lavoro del prossimo anno pastorale. 


D. – Mi collego proprio all’Incontro che sarà suggellato, a Milano, dalla presenza di Benedetto XVI: cosa significa, questo, per le famiglie che saranno a Milano ma anche per la Sua arcidiocesi? 


R. – Questo è un dono straordinario! Cioè, il fatto che il Santo Padre venga per ben tre giorni evidentemente rappresenta un’occasione straordinaria per quel risveglio di fede e di vita cristiana di cui sentiamo il bisogno. Infatti, il ministero di Pietro è quello di confermare i fratelli nella fede. Il Papa è costitutivamente già dentro la vita della nostra Chiesa, come di tutte le Chiese particolari: non a caso, noi ogni giorno, durante la Santa Messa, preghiamo per il Papa. Ma questa sua presenza straordinaria, avrà – ne sono certo, lo vedo dall’intensità con cui si sta preparando questo Incontro, con cui si vanno coinvolgendo le parrocchie, le associazioni, i gruppi, i movimenti – come esito una modalità ordinaria di vivere la sua testimonianza e il suo Magistero che non può che essere, oltre che un caposaldo, un bene per la Chiesa e per la Chiesa non soltanto milanese. 


Da mesi, centinaia di famiglie milanesi e lombarde hanno dato disponibilità ad aprire le porte delle proprie case per ospitare – non di rado a proprie spese – le famiglie partecipanti all’Incontro in arrivo dall’estero. Tra queste c’è una coppia di pensionati, Gianni e Lidia Pisan, del Movimento di Comunione e Liberazione, che vive a Cassano Magnago in provincia di Varese e che accoglierà una famiglia ugandese. L’inviato Alessandro De Carolis ha raccolto la loro storia: 


R. – (Lidia) Io ero disponibile ad accogliere una famiglia per l’Incontro mondiale con il Papa, e mi è venuto in mente che poteva essere una bella idea ospitare una famiglia ugandese, che altrimenti non avrebbe avuto possibilità di partecipare ad un incontro di questa portata. Conoscevo da anni solo il marito - si chiama Joseph – così io gli ho scritto e lui subito si è dichiarato felicissimo di poter partecipare a questo evento. Mi ha detto, però, che avevano difficoltà economiche a pagarsi il biglietto del viaggio, quindi ci siamo interessati e gli abbiamo detto: “Te lo offriamo noi”. Gli amici che hanno saputo della nostra storia, ci hanno anche dato un contributo, quindi anche noi siamo stati aiutati. Ci sono state poi varie difficoltà burocratiche, ad esempio nel fare il passaporto per la moglie che non era mai stata all’estero. Ma adesso finalmente le cose sono a posto, quindi saranno qui di sicuro.


R. – (Gianni) Si fa tutto quello che è necessario, come tenere i contatti con altre persone e da noi le disponibilità erano state date di un centinaio di famiglie. Ciò che mi ha colpito fin dall’inizio – quando l’abbiamo conosciuto anni fa – è stata l’esperienza di Joseph, di etnia hutu, che era scappato dal Rwanda all’epoca del genocidio, era stato educato in Inghilterra ed era diventato pilota di aereo. Poi, però, si era rifugiato in Uganda per non andare a bombardare la sua gente, e questo mi aveva colpito particolarmente. Mi dicevo: uno che ha la possibilità di viver bene penso non sia una cosa da poco... Così, nel tempo, abbiamo continuato questa nostra amicizia. 


D. – La famiglia in crisi, la “coppia che scoppia”: questi cliché mediatici riflettono purtroppo anche delle realtà di fatto. Secondo voi, dove brilla ancora la bellezza della famiglia?


R. – (Gianni) Queste situazioni di difficoltà delle famiglie capitano ovunque: io credo che l’unica cosa che salva non siamo noi stessi, ma il fatto di sentirsi parte di una dimensione ecclesiale. Ci è stato insegnato a non fidarci delle nostre forze, ma a far conto su Chi dirige queste nostre azioni. In sintesi, a non far sì che Gesù Cristo sia solo una parola.


R. – (Lidia) La bellezza sta nel fatto che, nonostante la situazione sia spesso così grave, ci siano comunque esempi di famiglie che testimoniano, così come è loro possibile, unità e bellezza, appunto. Potrebbe essere di stimolo e di aiuto per le coppie che magari sono separate o sono in difficoltà a chiedersi: “Perché non è possibile anche per me fare una vita così?”. Non c’è bisogno di fare tanti discorsi: quando si vede una cosa bella, si desidera che lo sia anche per sé.


D. – Cosa vi aspettate dall’incontro tra voi famiglie a Milano e dall’incontro di tutte voi con il Papa?


R. – (Lidia) Innanzitutto, ci aspettiamo una parola di speranza ed un sostegno nella fede. Sì, ci aspettiamo grandi cose…


R. – (Gianni) Quello che mi aspetto è che questa mobilitazione favorisca la testimonianza di ciò che la Chiesa ha da dire – e senz’altro con questo Papa ha molto da dire: che proviamo ad aiutarci un po’ tutti e che ci facciamo formare alla fede, che penso sia il grande problema dei nostri giorni.


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