giovedì 12 aprile 2012

Nuova evangelizzazione in Terra Santa. Intervista al cardinale O’Brien, Gran maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (Biccini)

Intervista al cardinale O’Brien, Gran maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme

Nuova evangelizzazione in Terra Santa

Gianluca Biccini

Benedetto XVI sette mesi fa lo ha posto a capo dell’istituzione che sostiene le attività educative, caritative e assistenziali della Chiesa in Terra Santa, e nel concistoro del 18 febbraio gli ha assegnato la porpora.
Il cardinale statunitense Edwin Frederick O’Brien, gran maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, in questa intervista al nostro giornale parla della nuova missione affidatagli dal Papa, alla guida di una realtà che conta oltre 28.000 membri tra cavalieri, dame ed ecclesiastici, presenti nelle 59 luogotenenze in cui essa è articolata in tutto il mondo. «Le più recenti, costituite nel biennio 2010-2011, sono quelle di Russia, Africa del Sud e Venezuela; e numerose altre delegazioni sono allo studio», confida specificando che nell’ultimo decennio l’Ordine ha inviato al patriarcato di Gerusalemme dei Latini l’equivalente di circa 72 milioni di euro, nove solo lo scorso anno. «Tra i progetti in corso di attuazione — afferma — ci sono la costruzione di una chiesa ad Aqaba, in Giordania, e di una scuola superiore a Rameh, in Galilea». Ma per il porporato newyorchese il sostegno ai cristiani del Medio Oriente passa anche attraverso la nuova evangelizzazione e in questo senso l’Anno della fede indetto dal Pontefice rappresenta una opportunità da non perdere.

Da arcivescovo di Baltimora a gran maestro dell’Ordine gerosolimitano: come è stato il passaggio tra questi due incarichi?

Sono trascorsi sette mesi e mezzo dalla mia nomina del 29 agosto scorso a pro gran maestro, ma per tutto questo tempo sono stato anche amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Baltimora. Successivamente Benedetto XVI mi ha creato cardinale, promuovendomi, il 15 marzo, gran maestro a tutti gli effetti. Ma è stato solo quattro giorni dopo, il 20 marzo, con la nomina di monsignor William Edward Lori a sedicesimo arcivescovo di Baltimora, che ho potuto cominciare a sentirmi sollevato dalle mie responsabilità pastorali verso la Chiesa primaziale degli Stati Uniti d’America. E quando il mio successore avrà preso possesso dell’arcidiocesi, il prossimo 16 maggio, potrò trasferirmi definitivamente a Roma e assumere a tempo pieno la guida dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro. Finora sono stato qui nell’Urbe per circa una settimana al mese. Comunque la nostra amministrazione è molto capace e ha portato avanti il lavoro in modo egregio.

Come ha accolto la scelta del Papa di annoverarla nel Collegio cardinalizio?

Il giorno in cui Benedetto XVI ha annunciato i nomi dei nuovi cardinali ero in piazza San Pietro. Avevo partecipato alla messa per l’ordinazione episcopale dell’arcivescovo statunitense Charles Brown, nunzio apostolico in Irlanda, che è stato mio studente quando ero rettore del seminario di Saint Joseph a New York. Benedetto XVI lo ha ordinato nella basilica Vaticana nella solennità dell’Epifania. Uscendo mi sono ritrovato in piazza per l’Angelus del Pontefice, che proprio in quella circostanza ha dato la notizia della creazione di 22 nuovi cardinali. Quando ha letto l’elenco — mi pare che il mio nome fosse l’ottavo — è stato un momento memorabile.

È vero che nella delegazione dei suoi amici e familiari venuti a Roma per il Concistoro c’erano anche veterani che hanno combattuto in Vietnam?

Dopo la mia ordinazione sacerdotale ho prestato servizio all’accademia militare di West Point. Alcuni ex cadetti della classe del 1969 sono venuti per il Concistoro e hanno partecipato anche all’udienza concessa dal Papa il giorno seguente nell’aula Paolo VI. Conoscevo due di loro dai tempi di West Point e successivamente eravamo stati insieme al fronte nel conflitto vietnamita. È stato molto gentile da parte loro venire a Roma per partecipare al Concistoro e agli avvenimenti che gli fanno da contorno.

Lei è stato cappellano militare al fronte. Che ricordi ha dell’esperienza indocinese?

È stato un tempo molto speciale del mio sacerdozio, perché la sete spirituale dei soldati era molto concreta e quindi apprezzavano immensamente la presenza di un prete. Erano sempre in tanti a partecipare alla messa; sentivano che la fede era molto importante per loro. Sono stato un anno in Vietnam come cappellano, dal 1971 al 1972, e considero questa esperienza un momento molto particolare di arricchimento nella mia vita di sacerdote, perché i giovani che servivo avevano un bisogno profondo di forza e di motivazione spirituali. Molti di loro hanno ripreso a praticare la fede. E tutti erano profondamente grati per il fatto di avere un sacerdote vicino. Ho quindi pensato che il mio ministero non arricchiva solo loro, ma anche me.

Nato a New York — dove si è formato come sacerdote, è stato rettore di seminario e vescovo ausiliare — successivamente lei ha retto l’arcidiocesi di Baltimora, la prima sede espicopale degli Stati Uniti, fondata nel lontano 1789. Che rapporto ha con queste due realtà?

Amo entrambe le diocesi e le città, e mi sento a casa in entrambe. Ho molti amici nell’una e nell’altra e sono fortunato di poterli andare a trovare. Mi sento il benvenuto in ambedue le diocesi e vorrei continuare a mantenere con loro uno stretto contatto. I miei doveri di gran maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro mi porteranno spesso negli Stati Uniti ed è bello avere un posto dove continuare a sentirmi a casa quando tornerò a New York e a Baltimora.

Ora dovrà occuparsi sempre più di Terra Santa. C’è mai stato?

Sì, diverse volte, ma non di recente. Avrò molto da imparare, da ascoltare, da osservare, ma so che il Patriarca di Gerusalemme Fouad Twal e i suoi collaboratori, come anche gli esperti qui a Roma, mi aiuteranno a orientarmi per servire la Chiesa nei luoghi della vita terrena di Cristo.

Ha già individuato obiettivi e priorità del suo mandato alla guida dell’Ordine?

Mi auguro di poter favorire la crescita del numero di cavalieri e di dame del Santo Sepolcro. Hanno il grande compito di sostenere i luoghi sacri e la missione della Chiesa nella nuova evangelizzazione. Incoraggio tutti i nostri membri a recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa, specialmente nell’Anno della fede. Non andrò a Gerusalemme fino a quando non assumerò pienamente il mio ruolo qui. Quando il mio successore avrà preso possesso dell’arcidiocesi di Baltimora potrò incominciare a pensare al mio programma in Terra Santa e ai molti inviti che ho ricevuto dalle luogotenenze in tutto il mondo per le cerimonie annuali di investitura.

Lei succede al cardinale Foley, suo connazionale. Lo ha conosciuto?

Sì, quando era un giovane sacerdote che studiava giornalismo alla Columbia University di New York. Nel 1966 è venuto a West Point per fare un servizio sulla cappellania militare per il giornale dell’arcidiocesi di Philadelphia e da allora ci siamo sempre mantenuti in contatto. Quando ero a Roma come rettore del Pontificio Collegio Americano del Nord lo incontravo regolarmente e in occasione di eventi sociali. In seguito, ogniqualvolta sono venuto a Roma sono sempre andato a trovarlo. Era un caro amico.

Qui a Roma sarà anche maggiormente vicino al Papa.

Certo, anche se non so ancora quale contributo specifico potrò offrire al suo ministero apostolico. Probabilmente sarò chiamato a servire in qualche Congregazione. Però sono pronto a rappresentarlo per promuovere la missione della Chiesa in Terra Santa. Il Pontefice ha parlato spesso della situazione in Medio Oriente, chiedendo dialogo e maggiori possibilità per i cristiani che ci vivono. Il loro tasso di disoccupazione è alto a causa delle limitazioni negli spostamenti. Da molti anni c’è un esodo dei cristiani dalla Terra Santa. Tutte queste cose preoccupano Benedetto XVI e per questo credo che il primo compito sia di collaborare con il Patriarca di Gerusalemme a consolidare una presenza più piena della Chiesa per la libertà dei cristiani che vivono in Terra Santa.

(©L'Osservatore Romano 13 aprile 2012)

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