Quel vivace dibattito che portò alla costituzione conciliare «Dei Verbum» sulla divina rivelazione
La notte degli inganni
Quando il cardinale Bea prese il controllo della riunione decisiva per la stesura del testo
Riccardo Burigana
Ripercorrere le vicende del dibattito intorno alla Dei Verbum è un utile osservatorio per ricostruire le dinamiche del Vaticano II a partire dalla pluralità di posizioni sul ruolo della Scrittura nella vita della Chiesa, dalla riflessione teologica sulla dimensione biblica della rivelazione, alla storicità dei vangeli, al valore dell’inerranza fino al rapporto della Scrittura con la quotidianità dell’esperienza cristiana, anche in prospettiva ecumenica.
Proprio per il rilievo della costituzione per i temi trattati e per il suo ruolo nella storia del Vaticano II appare quanto mai opportuno promuovere ancora delle ricerche sulla Dei Verbum, che è «una pietra miliare nel cammino ecclesiale», come si legge nell’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Papa Benedetto XVI.
Nelle proposte (vota) per il futuro concilio in gran parte formulate in latino, dei vescovi, dei superiori degli ordini religiosi, delle università e istituzioni accademiche e delle Congregazioni romane si coglie la molteplicità di posizioni e di approcci che offrono un interessante quadro della Chiesa. Nei vota ampio spazio era dedicato alla definizione del rapporto tra Scrittura e tradizione nella trasmissione della rivelazione; su questo punto si era sviluppato un vivace dibattito negli ultimi anni del pontificato di Pio XII tra coloro che sostenevano la superiorità della tradizione sulla Scrittura e coloro che ritenevano la necessità di ripensare in modo più unitario il rapporto tra Scrittura e tradizione nella trasmissione della rivelazione. Proprio la molteplicità e l’ampiezza delle proposte relative alla Scrittura come tema per il futuro, non solo rimandano a un dibattito che si era sviluppato nel corso del XX secolo all’interno della Chiesa cattolica e, più in generale, del cristianesimo, provocando tensioni, sulle quali non è il caso di soffermarsi in questa sede, ma mostrano quanto fosse auspicata la redazione di uno schema per il futuro concilio nel quale affrontare le questioni, in senso lato, legate alla lettura e alla conoscenza della Sacra Scrittura da una parte e dall’altra del rapporto tra questa, la tradizione e il magistero nella trasmissione della rivelazione.
Quando la quarta sessione del concilio ecumenico Vaticano II (14 settembre – 8 dicembre 1965) si aprì, l’agenda dei lavori appariva tanto ricca da far pensare che difficilmente i padri sarebbero riusciti ad approvare tutti gli schemi; tra questi c’era anche il De divina revelatione che venne votato in aula conciliare nei giorni 20-22 settembre 1965; i risultati non lasciavano dubbi sull’ampio favore che ormai circondava lo schema, anche se c’erano stati su 2246 votanti 9 non placet, 354 placet iuxta modum sul secondo capitolo.
Dal 29 settembre all’11 ottobre la Commissione Dottrinale prese in esame le proposte, i modi, per le ultime modifiche dello schema, presentati dai padri, talvolta sottoscritte da decine di padri conciliari. Nel ripercorrere questa fase dell’iter redazionale dello schema emerge quanto si fossero irrigidite le posizioni all’interno della Commissione Dottrinale tanto che le modifiche venivano sottoposte a continue votazioni, sulle quali si aprivano infinite discussioni procedurali.
In questa situazione cominciò a diffondersi la voce che non pochi padri erano decisi a chiedere a Paolo VI un intervento per uscire da una situazione che sembrava prospettare nuove fratture; per questo Albert Prignon, rettore del Collegio Belga, scrisse che forte era il timore che si potesse avere une nouvelle settimana nera et une nota praevia et avec tous les inconvénients et difficultés que nous avons eu l’an passé, con un’evidente forzatura di un eventuale intervento di Papa Montini.
Il 10 ottobre 1965 Paolo VI si rivolse al cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto della Congregazione del Santo Uffizio, chiedendogli di fargli avere la versione approvata del De divina revelatione, prima di inviarla alle stampe; era un messaggio chiarissimo sulla volontà del Papa di intervenire non tanto per assecondare le proteste della minoranza conciliare quanto piuttosto per non lasciare niente di intentato per giungere a un testo sul quale si potesse avere la più ampia maggioranza possibile, così come era nelle intenzioni di Paolo VI fin dalla seconda Sessione del Vaticano II.
Proprio per questo, mentre la revisione nella Commissione Dottrinale si avviava alla conclusione, Paolo VI aveva cominciato un personale giro di consultazioni in modo da raccogliere il maggior numero di elementi sulle ricchezze e sulle debolezze dello schema, mentre continuavano a arrivargli richieste per un suo intervento. Il 17 ottobre, dopo che si era formalmente conclusa la revisione del De divina revelatione e quindi si attendeva la sua ultima presentazione in aula in vista della sua approvazione, Paolo VI prese la decisione di riconvocare la Commissione Dottrinale per prendere in esame tre punti dello schema: sulla tradizione costitutiva al numero 9, sulla espressione veritas salutaris nel numero 11 e infine sulla storicità dei vangeli al numero 19.
Il Papa inviò delle proposte di modifica sui singoli punti, pur lasciando la libertà alla commissione di valutarne altre. La notizia della convocazione di una nuova riunione si diffuse rapidamente, suscitando vari commenti; ci si preparava all’ultima battaglia per il De divina revelatione. Nel tentativo di stemperare le tensioni, la segreteria della Commissione Dottrinale decise di riunirsi, in modo del tutto informale, nella mattina del 19 ottobre in modo da preparare la riunione del pomeriggio. In questo incontro preparatorio fu deciso di affidare a Gerard Philips, uno dei due segretari della Commissione Dottrinale, il compito di presentare le formule giunte dal Papa per le modifiche dei singoli punti così da indirizzare la discussione verso una soluzione che non stravolgesse il testo e non favorisse ulteriori polemiche dentro e fuori della Commissione.
La riunione del 19 ottobre ebbe uno svolgimento e un esito completamente diverso da quello immaginato dalla segreteria; infatti alla riunione il protagonista, sicuramente del tutto inatteso, fu il cardinale Augustin Bea, che ricomparve così sulla scena dopo che il Segretariato era stato estromesso dal processo redazionale nella primavera 1964 e dopo che egli stesso si era lamentato, anche pubblicamente, di questa esclusione. Bea assunse di fatto la direzione della riunione, esautorando così Philips; alla fine, dopo interminabili discussioni, anche di carattere procedurale, con le ventilate minacce da parte di alcuni membri di considerare invalida una votazione appellandosi al Tribunale del concilio, vennero approvate le modifiche allo schema.
Al termine di questa riunione, per la quale si può evocare l’immagine manzoniana della “notte degli inganni”, si può ben dire, riprendendo un giudizio del vescovo di Namur André-Marie Charue, che il testo era stato salvato, dal momento che le modifiche introdotte non toccavano la struttura e il contenuto del De divina revelatione. Questo passaggio suscitò molte perplessità, qualche «lacrima» e molte critiche, soprattutto sul ruolo di Bea, che per molti parve essere completamente diverso da quello tenuto durante il concilio; sul ruolo di Bea, così come sulle intenzioni di Paolo VI, che in qualche modo vennero presentate in forma ufficiale dal gesuita Giovanni Caprile in un articolo su «La Civiltà Cattolica» poche settimane dopo, sarebbe interessare soffermarsi per comprendere l’importanza del De divina revelatione non solo nella storia del Vaticano II ma per la missione della Chiesa, soprattutto nella promozione di un recupero della centralità della Scrittura nella prospettiva di un rinnovato impegno per l’unità della Chiesa.
Il 20 ottobre 1965, il segretario del Concilio monsignor Pericle Felici chiese a Philips la relazione della riunione, comunicandogli che Paolo VI aveva già dato il suo placet alla nuova versione del testo e aveva chiesto di stamparlo quanto prima. Il 25 ottobre il De divina revelatione fu consegnato ai padri conciliari e quattro giorni dopo il relatore Ermenegildo Florit arcivescovo di Firenze lesse la sua relazione sui modi illustrando le modifiche e sottolineando l’importanza del testo, che i padri si accingevano a votare; le votazioni confermarono il consenso, quasi unanime, raggiunto dallo schema.
Il 18 novembre 1965, nella ottava sessione pubblica del concilio Vaticano II, venne così promulgata la costituzione Dei Verbum, con un consenso quasi unanime: su 2350 votanti 2344 votarono a favore del testo: sembrava di essere giunti alla parola fine della storia dell’iter dello schema, ma proprio sui titoli di coda doveva accadere ancora qualcosa.
Pochi giorni dopo, quando ancora i padri erano impegnati nella revisione e nella votazione degli ultimi schemi, si verificarono alcuni tentativi di intervenire sul testo e sulla sua traduzione in italiano, come se fosse possibile modificare quanto i padri avevano votato. Di fronte a questi tentativi, che erano passati inosservati ai più, reagì il sotto segretario padre Umberto Betti, che fece presente, con insistenza, a Florit e a Charue le conseguenze che questi interventi potevano avere sul contenuto dottrinale dello schema, oltre che a configurarsi come qualcosa di profondamente sbagliato. Alla fine, pur con qualche difficoltà, il testo venne ripristinato così come era stato approvato dai padri conciliari, anche se furono necessarie delle rettifiche e delle precisazioni: solo dopo la conclusione del concilio si poté dire veramente conclusa la storia della redazione della Dei Verbum che tanto aveva segnato il Vaticano II nel tentativo, in gran parte riuscito, di un recupero di quanto la Chiesa Cattolica aveva pensato, scritto e testimoniato per secoli sulla centralità della Scrittura nella propria missione, avendo sempre ben presente che «la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime».
(©L'Osservatore Romano 27 aprile 2012)
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A ben vedere tutto il concilio è stato una notte degli inganni...le conseguenze purtroppo le paghiamo noi oggi!
RispondiEliminaTutto partì da quelle riunioni che nel 1907 si svolsero ad Arcore(si,nell'attuale villa di Berlusconi allora appartenente ai Casati Stampa)con i modernisti Gallarati Scotti,maestro di G.B. Montini,Bonaiuti e compagni...questa combriccola decise che la Chiesa doveva essere aggiornata...Pio X li bloccò ma come un torrente sotterraneo costoro continuarono a scavare fino immettendo acque fetide e malefiche fino a lesionare le fondamenta del mirabile edificio che è la Chiesa di Cristo!
La Regina della Pace a Medjugorje ha detto il 25 maggio 2010 "(...)ma satana non dorme e attraverso il MODERNISMO vi devia e vi guida sulla sua via (...)". Questa chiara accusa è passata inosservata.
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