Su segnalazione di Eufemia leggiamo:
La realpolitik di Ratzinger: fedeli prima della democrazia
Come Wojtyla nel ’98, il Papa è per una transizione morbida: attento a non contrastare il regime per guadagnare più spazi per i credenti.
di Paolo Rodari
L’incontro del Papa con Fidel Castro conferma un dato di fatto: pur rispettando e comprendendo le loro sofferenze il Vaticano non vuole in alcun modo salire sul carro degli oppositori al regime: «Nessuno ha il diritto di trasformare le chiese in trincee politiche», ha detto in un comunicato l'arcidiocesi dell'Avana a riguardo delle tredici persone che hanno occupato qualche giorno fa la chiesa di Nostra Signora della Carità nel centro della capitale chiedendo un incontro col Papa.
Perché la «politica» del Vaticano dall’arrivo di Giovanni Paolo II nel Paese nel 1998 a oggi è ed è sempre stata una: non intralciare il regime, guadagnare più spazi di libertà possibili per i fedeli residenti e quindi appoggiare, dove e se è possibile, una transizione morbida che porti il regime verso un qualcosa che assomigli più a una democrazia.
È una real politik, quella vaticana, molto apprezzata all'Avana dove, già lo scorso dicembre, Raúl Castro aveva dichiarato a una delegazione della Santa Sede: «Aspetto il Papa con affetto e rispetto».
In Vaticano sono consapevoli che la loro linea fa gioco anche ai Castro. E che, dunque, non ha tutti i torti il Foreign Policy quando scrive che anche «la visita papale, in fondo, contribuisce all'agenda del governo cubano perché consolida il dialogo istituzionale tra il governo di Raúl Castro e la chiesa cattolica, offrendo incentivi perché quest'ultima partecipi, nella forma prevista, al rinnovamento del sistema attuale; contribuisce a creare un ambiente internazionale favorevole ai progetti di apertura e riforma senza abbandonare il monopartitismo, e rafforza l'immagine di un Paese in transizione che paga i costi della rigida posizione statunitense di isolamento nei confronti di Cuba».
Dal 1998, dal viaggio di Wojtyla a oggi, il tentativo è quello di non inasprire gli animi, di assecondare in qualche modo il regime per ottenere risultati concreti. Nel 1998, ad esempio, il Vaticano chiese e ottenne l'introduzione della festa del Natale. Oggi potrebbe ottenere il riconoscimento della festività del venerdì santo. Sembra poca cosa, ma non lo è.
Giovanni Paolo II non mostrò in nessun modo la volontà di abbattere il Muro dell'Avana, ma anzi criticò apertamente l'embargo americano che egli considerava un fallimento. Così sta facendo in queste ore Benedetto XVI, decisamente contrario alla politica di regime change praticata dalle varie Amministrazioni statunitensi e favorevole a cambiamenti economici e sociali decisi tuttavia attraverso un dialogo e un confronto i cui protagonisti principali sono il governo, la chiesa locale e la popolazione.
Sono due le personalità della Santa Sede protagoniste di questa linea: l'arcivescovo dell’Avana Jaime Ortega, le cui dimissioni per limiti di età il Papa non ha voluto accettare lo scorso ottobre. Attraverso il dialogo col governo Ortega non solo ha ottenuto la liberazione di 130 prigionieri politici ma è anche riuscito, appoggiandosi alla popolosa comunità cubano-americana della Florida, a raggiungere l'Amministrazione Obama che, si dice non a caso, ha adottato recentemente verso Cuba una linea più morbida. L'altra personalità è l'attuale sostituto della segreteria di stato, l'arcivescovo Angelo Becciu, dal 2009 al 2011 nunzio a Cuba. A suo dire, la chiesa a Cuba è oramai «uscita dalla sagrestie».
Dice: «Il termometro vero per misurare le buone relazioni tra Santa Sede e stato è la situazione dei rapporti tra il governo e la chiesa locale. Nell'ultimo periodo le relazioni sono diventate molto più scorrevoli, sono diventate molto più efficienti, perché la chiesa è riuscita ad avere maggiori spazi per la sua azione.
Si può dire che è uscita dalle sagrestie dove era stata costretta a vivere, ha sviluppato una maggiore attività catechetica e inoltre le è stata data la possibilità di svolgere la sua attività caritativa».
© Copyright Il Giornale, 29 marzo 2012 consultabile online anche qui.
Dal "Foglio" 29/3, Eufemia
RispondiEliminaPICCOLA POSTA di Adriano Sofri
Dal punto di vista della filosofia della storia, o degli scherzi della vita, si potrebbe guardar la fotografia e metterla così: che Fidel rappresenta il passato, e Benedetto XVI il futuro.