martedì 20 marzo 2012

Come il "Mosè" di Michelangelo è nato nella Cappella Sistina. Davanti a quel volto che ha visto Dio (Verdon)

Come il "Mosè" di Michelangelo è nato nella Cappella Sistina

Davanti a quel volto che ha visto Dio

di TIMOTHY VERDON

Il Deuteronomio, dopo aver narrato la morte del santo legislatore, afferma semplicemente che "non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, che il Signore conosceva faccia a faccia" (Deuteronomio, 34, 10). Ecco il personaggio che Michelangelo scolpì per la tomba di Giuliano della Rovere, eletto Papa nel 1503 col nome di Giulio II: la tomba originalmente intesa per la basilica di San Pietro ma che, dopo la morte del Pontefice, fu ripensata per la chiesa romana di San Pietro in Vincoli.
Per entrare nell'argomento è sufficiente ricordare che il Mosè è parte di una tomba papale del primo Cinquecento. Rientra cioè nella serie di fastose sepolture pontificie che ha inizio nel secondo Quattrocento, di cui la più magnifica era forse la tomba di Sisto IV, modellato e gettato in bronzo da Antonio Pollaiuolo per l'interno della vecchia San Pietro e oggi nel tesoro della Basilica.
Sisto IV, Francesco della Rovere, era lo zio di Giuliano, e il ruolo chiave del cardinale nipote lo associa anche con gli ambiziosi progetti architettonici e decorativi del Papa, tra cui la costruzione nelle forme attuali della "cappella magna" del palazzo, nota appunto come la Sistina. All'interno della nuova cappella di rappresentanza, Sisto IV fece dipingere un doppio ciclo di affreschi, con scene della vita di Cristo sulla parete nord e di fronte, sulla parete sud, episodi della vita di Mosè. Sisto IV, che si trovava a dover affrontare le pretese dei conciliaristi, che si opponevano all'assolutezza dell'autorità attribuita al Successore di Pietro, aveva scritto un trattato intitolato Moises vir Dei in cui, attraverso il legislatore antico, evidenziava il metodo prescelto da Dio per guidare il suo popolo: quello cioè di affidare ad alcuni uomini da lui preparati l'autorità propria, l'autorità divina.
E il tema del potere, associato all'antico legislatore visto come typus veterotestamentario di Cristo, sarà una componente del Mosè che Michelangelo scolpirà per il nipote di Sisto IV.
Tra le ambizioni di Sisto IV, come dei Papi suoi immediati predecessori, c'era probabilmente anche quella di intraprendere la ricostruzione della fatiscente basilica vaticana, all'epoca vecchia quasi 1.200 anni. Sarà il nipote, Giulio II, ad avviare questo progetto nel 1506, dandone commissione a Donato Bramante.
La tomba immaginata dal Papa insieme a Michelangelo nel 1505 doveva occupare l'abside della vecchia basilica, iniziata da Niccolò V alla metà del Quattrocento, ma il progetto di rifare interamente San Pietro portò a un primo ripensamento in cui la sepoltura sarebbe sorta nel titanico nuovo edificio progettato dal Bramante.
L'associazione del monumento con la basilica nelle prime fasi va tenuta presente, se vogliamo capire le dimensioni del tutto nuove, grandissime, della tomba nonché la sua ricchezza plastica, altrettanto nuova. Si trattava di una struttura libera su tutti e quattro i lati, a tre ripiani, con un loculo interno al livello inferiore, in cui sarebbe andato il sarcofago del Pontefice. Figure di Prigioni al livello inferiore, e di grandi personaggi biblici o allegorici al primo ripiano, preparavano la piattaforma sommitale con l'effigie di Giulio II posto nel sepolcro da due angeli.
Il progetto formulato nel 1505 verrà come confermato dalla riscoperta, nel gennaio del 1506 e presente Michelangelo, della più celebre delle opere antiche allora credute perse: il Laocoonte. Buonarroti, che già nel Davide ultimato due anni prima aveva rivelato la passione e la capacità per il nudo maschile, ora aggiunge l'ulteriore dimensione della lotta fisica, psicologica e spirituale. In termini puramente visivi, è impressionante la capacità di Michelangelo di tradurre in eloquenti forme attuali le lezioni dei massimi capolavori antichi allora visibili a Roma. L'onirica visione della tomba da realizzare come gigantesco trofeo brulicante di eroiche figure in posizioni di suprema tensione era ispirata anche da queste opere ellenistiche. Ma prima di cominciare il lavoro sulla tomba, Michelangelo fu obbligato controvoglia a realizzare un altro dei progetti del Papa: l'ultimazione della decorazione ad affresco della cappella fatta costruire dal suo zio. Ed ecco allora che le componenti di architettura e scultura che il Buonarroti aveva appena elaborato per la tomba vengono tradotte nell'illusione pittorica della volta: al posto delle titaniche statue progettate per gli angoli del primo ripiano della tomba, Michelangelo dipinge Profeti e Sibille in affresco; al posto dei Prigioni di marmo, situa Ignudi dipinti agli angoli delle scene narrative.
Questo mutamento di programma spiega l'impatto della volta, la forza travolgente dell'insieme e delle singole figure. Michelangelo, anche se dipingeva, pensava in scultura. Cioè, nonostante i toni solari e le sfumature cromatiche i valori dominanti della volta rimangono plastici, scultorei e tridimensionali, perché il pittore pensava sempre al monumento scultoreo della tomba di Giulio II. Il dramma umano che in Raffaello verrà espresso dalla coralità del movimento, e in Bramante dalla progressione di spazi e volumi, in Michelangelo è concentrato nei sublimi, eroici corpi "scolpiti" nella volta della cappella papale. Obbligato a dipingere le storie bibliche, Michelangelo perfeziona uno stile in cui il corpo umano diventa esso stesso istoria, "racconto" tridimensionale che coinvolge (anche corporeamente) chi lo guarda.
Ciò significa però che le statue finalmente scolpite per la tomba, a partire dal 1513, rispecchiano l'esperienza della volta della Sistina, e lo stesso Mosè non fa che realizzare in marmo un'idea nata, sì, per la scultura ma elaborata nella pittura.
La straordinaria libertà con cui, negli affreschi degli anni 1508-1512 Michelangelo esplora le possibilità di movimento corporeo, in base a studi non solo approfonditi ma, viene da dire, trasfigurati, dei capolavori antichi visibili in Vaticano, darà una forza espressiva altrimenti inimmaginabile alle sculture che realizzerà per la tomba a partire dal 1513.
Questo processo ha particolare importanza per il Mosè, la più importante delle figure della tomba scolpite. L'indimenticabile volto del "profeta (...) che il Signore conosceva faccia a faccia" nasce, nella volta della Sistina, come il volto del Dio che nessun uomo può vedere e restar vivo: nasce cioè nella "terribilità" di Yahweh. Ecco, il volto del Mosè michelangelesco riflette l'intima conoscenza che trasforma l'uomo in Dio.
Infatti, dice il libro dell'Esodo che, anche se non aveva visto con i suoi occhi tutta la gloria di Dio, quando scese dal Monte Sinai "la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Lui" (Esodo, 34, 29). Dopo aver immaginato (nella Sistina) il volto divino, nel Mosè Michelangelo immagina il volto umano reso raggiante dall'intimo contatto con la divinità.

(©L'Osservatore Romano 20-21 marzo 2012)

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