martedì 20 dicembre 2011

«Santità, ti voglio bene». «Anche io ti voglio bene». È lo scambio di battute tra Omar, giovane nordafricano recluso nella casa circondariale di Rebibbia, e Benedetto XVI (Ponzi)

Una speranza oltre il carcere

«Santità, ti voglio bene». «Anche io ti voglio bene». È lo scambio di battute tra Omar, giovane nordafricano recluso nella casa circondariale di Rebibbia, e Benedetto XVI, che ha voluto trascorrere la mattinata di ieri, domenica 18 dicembre, con i detenuti nel carcere romano. Parole semplici, accompagnate dalla commozione spontanea di Omar, che rendono perfettamente l'idea di cosa sia realmente accaduto nell'istituto di pena sulla consolare Tiburtina, alla periferia della città. Non un incontro di cartello, non un classico evento destinato al consueto minestrone mediatico natalizio, non un atto simbolico. Semplicemente un gesto d'amore.
Così lo ha vissuto Benedetto XVI. E lo ha manifestato con quel suo tipico stile di comunicazione, raccontando un po' della sua vita privata, come solitamente gli capita di fare quando vive interiormente un momento intenso. «Nella mia famiglia -- ha detto riferendosi alle suore laiche che si prendono cura della sua casa, la sua “famiglia” appunto -- parliamo spesso di voi con affetto e preghiamo per voi. Alcune delle suore hanno anche degli amici tra voi».
E come atto di amore lo hanno vissuto anche i detenuti. «Ti vogliamo bene» hanno scritto su un dono che hanno voluto tipicamente familiare: uno strudel preparato da uno di loro nelle cucine del carcere. Parole essenziali che rimarranno preziose nel ricordo di un evento che, almeno per poche ore, ha squarciato quel velo di solitudine e di sofferenza di tanti uomini e donne che, nel distacco dai propri cari, offrono alla società la loro espiazione.
Benedetto XVI è giunto a Rebibbia poco prima delle 10. Lo accompagnavano il cardinale vicario per la diocesi di Roma, Agostino Vallini, gli arcivescovi Giovanni Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, e James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia, con il vescovo reggente Paolo De Nicolò, il segretario particolare del Pontefice, monsignor Georg Gänswein, e il suo medico personale Patrizio Polisca. Mentre passava tra i cortili interni della mastodontica struttura -- si sviluppa su 27 ettari di superficie -- numerosi dei circa 1.700 detenuti nel carcere lo hanno acclamato al di là del reticolato che recinge i campi sportivi. I più lo hanno salutato a gran voce sbracciandosi dietro le finestre sbarrate che si affacciano lungo il percorso sino alla chiesa del Padre Nostro, dove ad attenderlo erano il ministro della Giustizia del Governo italiano, Paola Severino, il capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Franco Ionta, il direttore dell'istituto penitenziario Carmelo Cantone e i cappellani Pier Sandro Spriano e Roberto Guarnieri. Era anche presente il direttore del nostro giornale.
All'interno della chiesa il Papa è stato accolto da una vera e propria ovazione. Tra i banchi trecento detenuti, con i rappresentanti della polizia carceraria e dei volontari che prestano il loro servizio all'interno della struttura. Il Pontefice è passato lentamente tra loro. Ha stretto decine e decine di mani. Ha ascoltato quanti hanno voluto parlargli. Ha benedetto chi glielo ha chiesto.
Il ministro Severino, per dare maggiore significato a un ringraziamento che non fosse solo formale, ha scelto di leggere la lettera che gli aveva consegnato un detenuto nel carcere di massima sicurezza Buoncammino, a Cagliari. L'autore, Alfio Diolosà, è un pluripregiudicato catanese cinquantaduenne, che sta scontando una pena di trent'anni. Dopo il ministro è stata la volta del cappellano, che ha parlato al Papa della speranza riaccesa dalla sua visita.
Nel suo discorso Benedetto XVI ha dato voce a tutte le angosce dei detenuti, alle loro richieste, sottolineando il ruolo di responsabilità che spetta al «nostro Governo», come lo ha definito immedesimandosi fino in fondo nel suo ruolo di Primate d'Italia. Ha reclamato a gran voce il rispetto della loro dignità di uomini «caduti ma pronti a rialzarsi».
Il momento più toccante, però, è stato quello che segue: il dialogo diretto tra i carcerati e il Papa. In sette si sono alternati al microfono, ponendo domande diverse. Qualcuna personale, come quella di un neo papà che non ha ancora potuto tenere in braccio Gioia, la figlia di appena due mesi. Altre esistenziali, come quella di Nwaihim, beninese, che ha chiesto al Papa come mai Dio consenta che un popolo che lo ama ed è fedele come il suo, sia costretto a vivere tra gli stenti e la sofferenza. Oppure sono richieste di aiuto, come quella di Omar che, disperato, gli ha chiesto il permesso di aggrapparsi a lui come a un cavo che lo possa unire a Cristo per comunicargli direttamente la sua richiesta di soccorso. Il Papa ha risposto a tutti con calore. Li ha confortati esprimendo tutto il suo amore per loro. E certamente nel suo ricordo resterà anche il bacio che Rocco, con un gesto spontaneo, gli ha dato dopo avergli parlato. Lo ha abbracciato con il calore di un padre. Qualche lacrima ha rigato anche volti generalmente più protocollari.
Infine lo scambio dei doni. Con lo strudel, i detenuti hanno donato al Pontefice altri prodotti del loro lavoro quotidiano. Significativo un quadro che rappresenta una finestra del carcere sulle sbarre della quale si posa una colomba bianca. Il Papa ha regalato a ciascuno di loro un panettone, un rosario e una copia del cartoncino con la preghiera di Paolo VI fatto stampare in oltre tremila copie dalla Prefettura della Casa Pontificia e inviato anche ai cappellani di altre carceri italiane e nel resto del mondo per aiutare la riflessione in questo periodo natalizio. Nelle mani del cappellano Benedetto XVI ha lasciato una somma di denaro per provvedere alle necessità più urgenti dei detenuti. Infine ha benedetto un albero che, all'esterno della chiesa, resterà a ricordo della giornata.
Erano le 11.30 quando il Papa ha lasciato il carcere. Da dietro le finestre sbarrate, tra biancheria stesa e scarpe lasciate all'aria, i detenuti che all'incontro avevano partecipato solo attraverso il circuito televisivo interno hanno accompagnato la sua uscita invocandolo a gran voce, quasi volessero aggrapparsi a lui e affidargli le loro speranze. (mario ponzi)

(©L'Osservatore Romano 19-20 dicembre 2011)

Nessun commento: