venerdì 16 dicembre 2011

Benedetto XVI in visita a Rebibbia (Melina)

Benedetto XVI in visita a Rebibbia

Domenica 18 dicembre il Papa celebra la Messa nella chiesa centrale del carcere. I cappellani: «Un'attenzione importante». Le sfide da vincere: reinserimento e risocializzazione. Oltre al sovraffollamento

di Graziella Melina

«Siamo abituati a non aspettarci niente che riguardi i benefici, la libertà, indulti e amnistie. Sappiamo benissimo che quella del carcere è una situazione che non si vuole affrontare». Don Pier Sandro Spriano, da 21 anni cappellano del carcere di Rebibbia, inizia a parlare al plurale: «Mi sento anch’io - spiega subito - come uno dei 1740 detenuti che si trovano qui». Per questo la notizia che Benedetto XVI domenica 18 li andrà a visitare e dialogherà con alcuni di loro è stata accolta con tanta speranza: «Vogliono incontrarlo - prosegue - perché tutti riconoscono che in questo momento di abbandono la sua visita è un’attenzione importante da parte della Chiesa. Chi è governante sappia leggere in questo un senso di clemenza e di misericordia».
Benedetto XVI incontrerà i detenuti alle 10 nella chiesa centrale; ci sarà posto per 300 persone, tutti gli altri lo potranno seguire in diretta dalle celle. Prima di andare via, alle 11.30, il Papa benedirà un albero che verrà piantato a ricordo della visita. «Purtroppo i detenuti sono tutti molto rassegnati», continua don Spriano riferendosi al sovraffollamento dell’istituto penitenziario romano, che oggi ospita oltre 500 detenuti in più rispetto alla capienza effettiva. «Il fatto di stare prima in 3, adesso in 6 in una stanzetta è diventata una situazione di rassegnazione, per cui si sopravvive lo stesso, ma con una serie di privazioni in più, che abbassano ulteriormente la dignità della persona umana».
In realtà, il problema più importante, continua il cappellano, è che «non si riesce a fare nulla per il reinserimento e la risocializzazione». I progetti di recupero, per esempio, ci sono, ma sono assolutamente insufficienti. «Partecipano a queste attività 300 persone. Quindi - rimarca don Sandro - le altre 1.400 fanno 24 ore di cella». Il motivo: mancano le risorse umane e quelle finanziarie. «Mentre 20 anni fa venivano a scontare una condanna per un reato che aveva davvero una pericolosità sociale forte - prosegue don Spriano -, oggi la stragrande maggioranza dei detenuti è composta da tossicodipendenti, da stranieri e italiani che non riescono a mangiare tutti i giorni. Più del 70 per cento provengono dall’emarginazione e dalla povertà». Il carcere è diventato dunque «un manicomio, un affido, un luogo di ricovero per anziani, un ospedale. Un luogo, insomma, di accoglienza degli emarginati».
Rebibbia per fortuna può contare sulla solidarietà delle comunità parrocchiali del territorio. «In genere vengono ad animare la Messa la domenica - racconta don Roberto Guernieri, cappellano da 19 anni -. Conoscono i detenuti, parlano con loro. Tante persone cambiano mentalità». E spesso organizzano anche delle iniziative culturali. Come hanno fatto per esempio i ragazzi dell’oratorio della parrocchia di Santa Maria della Fiducia che il 28 novembre scorso si sono esibiti in un musical. A portare un saluto ai detenuti in quell’occasione, anche il vescovo ausiliare Giuseppe Marciante. «Per il periodo di Natale - prosegue don Roberto - da vari anni organizziamo un concorso di presepi. Durante l’anno, ogni tanto, portiamo la statua della Madonna del Divino Amore nel carcere, oppure compiamo un pellegrinaggio per i detenuti che hanno un permesso premio. E poi cerchiamo di sensibilizzare le parrocchie perché promuovano delle raccolte». Qui infatti serve tutto: dalla biancheria ai prodotti di igiene intima. La maggior parte dei detenuti non ha neanche un indumento di ricambio.
«Ogni settimana portiamo una settantina di pacchi», spiega Daniela De Robert, presidente dei Volontari in carcere(Vic). Sono loro, un centinaio, che si danno da fare quotidianamente per sostenerli e accompagnarli in varie attività di formazione e recupero. Hanno così messo in piedi tra l’altro, centri di ascolto, la cooperativa e-Team, che dà lavoro a più di 20 detenuti che si occupano della ristorazione. Per chi sta fuori e non ha una casa dove andare, hanno messo a disposizione anche un alloggio che può ospitare fino a 14 persone. «Abbiamo anche costituito un grande centro cottura per fare catering - aggiunge De Robert -, ma non riusciamo ad avere le commesse. C’è diffidenza». La stessa che si ritrovano poi a dover affrontare anche quando finiscono di scontare la pena. «In questa fase di transizione vogliamo aiutarli a trovare più facilmente un lavoro. Ma se non cambia l’atteggiamento della società libera - ribadisce -, il nostro lavoro non serve a niente».

http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=7830

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