sabato 31 dicembre 2011

BUON 2012 A TUTTI :-)

A tutti voi ed alle vostre famiglie i più grandi auguri di un sereno 2012!!!
A domani, cioè al prossimo anno :-))
Raffaella

Benedetto XVI: "Dal giorno del Natale del Signore è venuta a noi la pienezza del tempo"

Su segnalazione di Laura leggiamo:

Papa:Nascita Gesù dà senso a esistenza uomo,non cedere a angoscia

Umanità lacerata da ingiustizie, Cristo ci dà la tenerezza di Dio

Roma, 31 dic. (TMNews)

La nascita di Gesù è la risposta all'interrogativo che attraversa l'umanità sul senso dell'esistenza.
E di fronte alle ingiustizie e alle violenze che lacerano l'umanità, "la novità di Cristo" restituisce agli uomini "la contemplazione della bontà e della tenerezza di Dio". Papa Benedetto XVI si rivolge così ai fedeli della Chiesa di Roma nell'omelia del Te Deum pronunciata nella Basilica Vaticana nel giorno in cui "un altro anno si avvia a conclusione mentre ne attendiamo uno nuovo: con la trepidazione, i desideri e le attese di sempre".
Ma "se si pensa all'esperienza della vita - afferma il Papa - si rimane stupiti di quanto in fondo essa sia breve e fugace. Per questo, non poche volte si è raggiunti dall'interrogativo: quale senso possiamo dare ai nostri giorni? Quale senso, in particolare, possiamo dare ai giorni di fatica e di dolore? Questa è una domanda che attraversa la storia, anzi attraversa il cuore di ogni generazione e di ogni essere umano. Ma a questa domanda c'è una risposta: è scritta nel volto di un Bambino che duemila anni fa è nato a Betlemme e che oggi è il Vivente, per sempre risorto da morte. Nel tessuto dell'umanità lacerato da tante ingiustizie, cattiverie e violenze, irrompe in maniera sorprendente la novità gioiosa e liberatrice di Cristo Salvatore, che nel mistero della sua Incarnazione e della sua Nascita ci fa contemplare la bontà e la tenerezza di Dio".
Sottolinea Benedetto XVI: "Dal giorno del Natale del Signore è venuta a noi la pienezza del tempo. Non c'è, dunque, più spazio per l'angoscia di fronte al tempo che scorre e non ritorna; c'è adesso lo spazio per una illimitata fiducia in Dio, da cui sappiamo di essere amati, per il quale viviamo e al quale la nostra vita è orientata in attesa del suo definitivo ritorno. Da quando il Salvatore è disceso dal Cielo, l'uomo non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché, o che è segnato dalla fatica, dalla tristezza, dal dolore. L'uomo è figlio di un Dio che è entrato nel tempo per riscattare il tempo dal non senso o dalla negatività e che ha riscattato l'umanità intera, donandole come nuova prospettiva di vita l'amore, che è eterno".

© Copyright TMNews

Un rinnovato ardore missionario per annunciare la fede. L'invito del Papa nella celebrazione dei Vespri con il tradizionale Te Deum. Al termine l'omaggio al Presepe in Piazza San Pietro

Su segnalazione di Laura leggiamo:

Un rinnovato ardore missionario per annunciare la fede. L'invito del Papa nella celebrazione dei Vespri con il tradizionale Te Deum. Al termine l'omaggio al Presepe in Piazza San Pietro

Annunciare la fede nel Verbo fatto carne è il cuore della missione della Chiesa. Lo ha ribadito stasera il Papa nel corso della celebrazione, nella Basilica Vaticana, dei primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio. Una celebrazione che si è conclusa con l’inno di ringraziamento Te Deum e la visita al presepe in Piazza San Pietro. Benedetta Capelli:

Un canto, il Te Deum, per varcare la soglia del 2012 e per mettere nelle mani del Signore “le tragedie di questo mondo e le speranze di un futuro migliore”. Il Papa spiega così l’intensità di questo inno dopo aver ricordato l’attesa e la trepidazione di un nuovo anno che ci fa pensare a quanto la vita sia “breve e fugace”. Per questo ci attraversa una domanda: quale senso dare ai nostri giorni soprattutto quelli dolorosi. La risposta, evidenzia Benedetto XVI, “è scritta nel volto di un Bambino che duemila anni fa è nato a Betlemme e che oggi è il Vivente”:

“Nel tessuto dell’umanità lacerato da tante ingiustizie, cattiverie e violenze, irrompe in maniera sorprendente la novità gioiosa e liberatrice di Cristo Salvatore, che nel mistero della sua Incarnazione e della sua Nascita ci fa contemplare la bontà e la tenerezza di Dio”.

Una nascita che spazza via “l’angoscia di fronte al tempo che scorre e non ritorna” e che lascia “lo spazio per un’illimitata fiducia in Dio, da cui sappiamo di essere amati”. “L’uomo - aggiunge il Papa - non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché”, ma “è figlio di un Dio che ha riscattato l’umanità donandole come nuova prospettiva di vita l’amore che è eterno”. “La Chiesa – sottolinea il Santo Padre – vive e professa questa verità e intende proclamarla ancora oggi con rinnovato vigore spirituale”:

“I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e di testimoniarlo, a partire dalla domanda sempre molto personale: perché credo?”

Si tratta dunque di ravvivare una fede che fondi “un nuovo umanesimo capace di generare cultura e impegno sociale”.

“Annunciare la fede nel Verbo fatto carne, infatti, è il cuore della missione della Chiesa e l’intera comunità ecclesiale deve riscoprire con rinnovato ardore missionario questo compito imprescindibile. Soprattutto le giovani generazioni che avvertono maggiormente il disorientamento accentuato anche dall’attuale crisi non solo economica ma anche di valori, hanno bisogno di riconoscere in Gesù Cristo la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana”.

Da qui la necessità di sostenere i genitori, “primi educatori alla fede dei loro figli” nella loro missione educativa attraverso opportune iniziative. Il Papa esorta poi a promuovere itinerari appositi per accompagnare le comunità parrocchiali e le realtà ecclesiali nella migliore comprensione dei Sacramenti "attraverso i quali l’uomo è reso partecipe della vita stessa di Dio”:

“Non manchino alla Chiesa di Roma fedeli laici pronti ad offrire il proprio contributo per edificare comunità vive, che permettano alla Parola di Dio di irrompere nel cuore di quanti ancora non hanno conosciuto il Signore o si sono allontanati da Lui”.

Il compito più grande è di “essere totalmente al servizio del progetto divino”, “ridonare un’anima a questa nostra società”. Al termine della celebrazione nella Basilica Vaticana, Benedetto XVI ha pregato davanti al Presepe in Piazza San Pietro: una Natività nel segno di Maria e in omaggio a Giovanni Paolo II, il Papa del “Totus Tuus”, beatificato nell’anno che stiamo per lasciare.

© Copyright Radio Vaticana

Il Papa, il tempo, il Presepe (Angela Ambrogetti)

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Il Papa: "Affidiamo a Dio tragedie e speranze"

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Il Papa: ravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo (AsiaNews)

Papa: ravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo

Nel Te Deum di fine anno, Benedetto XVI torna a proporre l’urgenza della “questione della fede”. “I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e di testimoniarlo”. “È in Dio che deve terminare l’ultima nostra ora, l’ultima ora del tempo e della storia”.

Città del Vaticano (AsiaNews)

La quaestio fidei, la questione della fede, è “la sfida pastorale prioritaria” del nostro tempo: “si tratta di ravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo capace di generare cultura e impegno sociale”. E’ rivolto all’anno trascorso, ma più ancora a quello che si apre, lo sguardo di Benedetto XVI nel Te Deum che conclude i primi vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio, celebrati questa sera nella basilica di san Pietro. Uno sguardo verso la diocesi di Roma e la Chiesa intera e che ancora una volta torna sulla necessità della nuova evangelizzazione.
“Un altro anno – dice il Papa - si avvia a conclusione mentre ne attendiamo uno nuovo: con la trepidazione, i desideri e le attese di sempre. Se si pensa all’esperienza della vita, si rimane stupiti di quanto in fondo essa sia breve e fugace. Per questo, non poche volte si è raggiunti dall’interrogativo: quale senso possiamo dare ai nostri giorni? Quale senso, in particolare, possiamo dare ai giorni di fatica e di dolore? Questa è una domanda che attraversa la storia, anzi attraversa il cuore di ogni generazione e di ogni essere umano. Ma a questa domanda c’è una risposta: è scritta nel volto di un Bambino che duemila anni fa è nato a Betlemme e che oggi è il Vivente, per sempre risorto da morte”.
“Nel tessuto dell’umanità lacerato da tante ingiustizie, cattiverie e violenze, irrompe in maniera sorprendente la novità gioiosa e liberatrice di Cristo Salvatore, che nel mistero della sua Incarnazione e della sua Nascita ci fa contemplare la bontà e la tenerezza di Dio. Dio eterno è entrato nella nostra storia e rimane presente in modo unico nella persona di Gesù, il suo Figlio fatto uomo, il nostro Salvatore, venuto sulla terra per rinnovare radicalmente l’umanità e liberarla dal peccato e dalla morte, per elevare l’uomo alla dignità di figlio di Dio. Il Natale non richiama solo il compimento storico di questa verità che ci riguarda direttamente, ma, in modo misterioso e reale, ce la dona di nuovo”.
Con la “pienezza del tempo” giunta con il Natale del Signore, “non c’è più spazio per l’angoscia di fronte al tempo che scorre e non ritorna; c’è adesso lo spazio per una illimitata fiducia in Dio, da cui sappiamo di essere amati, per il quale viviamo e al quale la nostra vita è orientata in attesa del suo definitivo ritorno. Da quando il Salvatore è disceso dal Cielo, l’uomo non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché, o che è segnato dalla fatica, dalla tristezza, dal dolore. L’uomo è figlio di un Dio che è entrato nel tempo per riscattare il tempo dal non senso o dalla negatività e che ha riscattato l’umanità intera, donandole come nuova prospettiva di vita l’amore, che è eterno.
La Chiesa vive e professa questa verità ed intende proclamarla ancora oggi con rinnovato vigore spirituale”.
Bisogna dunque “porre l’evangelizzazione al primo posto, al fine di rendere più responsabile e fruttuosa la partecipazione dei fedeli ai Sacramenti, così che ciascuno possa parlare di Dio all’uomo contemporaneo e annunciare con incisività il Vangelo a quanti non lo hanno mai conosciuto o lo hanno dimenticato”.
“I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e di testimoniarlo, a partire dalla domanda sempre molto personale: perché credo? Occorre dare il primato alla verità, accreditare l’alleanza tra fede e ragione come due ali con cui lo spirito umano si innalza alla contemplazione della Verità; rendere fecondo il dialogo tra cristianesimo e cultura moderna; far riscoprire la bellezza e l’attualità della fede non come atto a sé, isolato, che interessa qualche momento della vita, ma come orientamento costante, anche delle scelte più semplici, che conduce all’unità profonda della persona rendendola giusta, operosa, benefica, buona. Si tratta di ravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo capace di generare cultura e impegno sociale”.
Annunciare la fede nel Verbo fatto carne, infatti, è il cuore della missione della Chiesa e l’intera comunità ecclesiale deve riscoprire con rinnovato ardore missionario questo compito imprescindibile. Soprattutto le giovani generazioni, che avvertono maggiormente il disorientamento accentuato anche dall’attuale crisi non solo economica ma anche di valori, hanno bisogno di riconoscere in Gesù Cristo «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana» (Conc. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 10). I genitori sono i primi educatori alla fede dei loro figli fin dalla più tenera età; pertanto è necessario sostenere le famiglie nella loro missione educativa attraverso opportune iniziative. In pari tempo, è auspicabile che il cammino battesimale, prima tappa dell’itinerario formativo dell’iniziazione cristiana, oltre a favorire la consapevole e degna preparazione alla celebrazione del Sacramento, ponga adeguata attenzione agli anni immediatamente successivi al Battesimo, con appositi itinerari che tengano conto delle condizioni di vita che le famiglie devono affrontare”.
“Te Deum laudamus!”. “Noi ti lodiamo, Dio! La Chiesa ci suggerisce di non terminare l’anno senza rivolgere al Signore il nostro ringraziamento per tutti i suoi benefici. È in Dio che deve terminare l’ultima nostra ora, l’ultima ora del tempo e della storia. Dimenticare questo fine della nostra vita significherebbe cadere nel vuoto, vivere senza senso. Per questo la Chiesa pone sulle nostre labbra l’antico inno Te Deum. È un inno pieno della sapienza di tante generazioni cristiane, che sentono il bisogno di rivolgere in alto il loro cuore, nella consapevolezza che siamo tutti nelle mani piene di misericordia del Signore.

© Copyright AsiaNews

Il Te Deum di Benedetto XVI: «Affidiamo a Dio le tragedie del mondo» (Corriere)

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VESPRI E TE DEUM: OMELIA DEL SANTO PADRE

Il Papa: "Da quando il Salvatore è disceso dal Cielo, l’uomo non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché, o che è segnato dalla fatica, dalla tristezza, dal dolore. L’uomo è figlio di un Dio che è entrato nel tempo per riscattare il tempo dal non senso o dalla negatività e che ha riscattato l’umanità intera, donandole come nuova prospettiva di vita l’amore, che è eterno"

Strategie paoline. Bartolomeo Puca alle prese con l’apostolo che parla di sé scrivendo ai Galati (Galeotti)

Bartolomeo Puca alle prese con l’apostolo che parla di sé scrivendo ai Galati

Strategie paoline

Giulia Galeotti

Quando ci si avvicina alle lettere paoline, si sa, si resta ogni volta ammutoliti per la profondità del contenuto e per l’intelligenza stilistica e comunicativa che le caratterizza. E stupisce ogni volta notare come l’apostolo parli di sé — con sfumature diverse — solo in alcune circostanze, utilizzando gli elementi autobiografici sempre per scopi precisi.
A oggi però — nota Bartolomeo Puca, docente di Sacre scritture all’Istituto superiore di scienze religiose di Aversa — questi passaggi autobiografici sono stati utilizzati solo per tratteggiare la figura di Paolo. Così, l’impresa in cui il giovane studioso si è lanciato, con la sua tesi di dottorato all’università Gregoriana, è stata cercare di comprendere questi passaggi, confrontandoli dal punto di vista retorico e in riferimento al loro ruolo nelle sezioni delle lettere in cui sono utilizzati, allo scopo di aprire nuove prospettive per la comprensione della stessa retorica e del pensiero paolino. Il desiderio di comprendere il ruolo giocato dall’autobiografia nei testi dell’apostolo (tra i vari a disposizione, la scelta di Puca è caduta su Galati) è ora diventato il volume Una periautologia paradossale. Analisi retorico-letteraria di Gal 1,13-2,21 (Roma, Editrice Università Gregoriana 2011, pagine 309, euro 20).
Le domande suscitate nell’analisi del testo sono molteplici. E rimandano sia alla complessa e travagliata storia relazionale di Paolo con queste comunità galate, sia alla relazione dell’apostolo con la comunità gerosolimitana in generale e ai suoi capi in particolare.
Nella sua ricerca, Bartolomeo Puca dà sempre priorità al testo, vero oggetto dell’analisi, onde evitare di incastonarlo in strutture precostituite che possano mortificare la vitalità e la libertà proprie di ogni testo biblico e, in particolare, degli scritti paolini. Ed è molto interessante la dimostrazione che lo studioso compie dell’opera creativa di Paolo quando impiega termini già in uso nella cultura del tempo vestendoli però di un significato nuovo relativo all’esperienza di Cristo.
Il metodo d’indagine di Puca si articola in quattro fasi: delimitazione del testo oggetto di studio nella sua attuale configurazione; analisi particolareggiata del testo, versetto per versetto; studio della sistemazione del materiale; individuazione del problema retorico preponderante.
La conclusione cui giunge la ricerca è che in Galati 1-2 ci si trova di fronte a un auto-elogio paradossale di Paolo: in questa argomentazione, infatti, l’apostolo fa scivolare l’attenzione dalla sua personale esperienza a colui che ne è all’origine, manifestando ai Galati l’origine divina del vangelo da lui annunciato e offrendo un esempio di fedeltà a esso contro qualsiasi tentativo di allontanamento o travisamento.
Se la costatazione da cui Bartolomeo Puca e gli studiosi paolini in genere muovono è che l’analisi dell’epistolario non si esaurirà mai con un’indagine per quanto approfondita possa essere, il contributo di ricerche come il volume in oggetto fornisce comunque un importante tassello ulteriore.

(©L'Osservatore Romano 1° gennaio 2012)

Il 2011 di Papa Benedetto: luci ed ombre. Il commento di Raffaella

Caravaggio, "Vocazione di San Matteo"
Cari amici,
come ogni anno il blog si trova a fare un bilancio degli ultimi dodici mesi trascorsi insieme.
Innanzitutto ringrazio tutti voi per l'affetto con cui seguite questo spazio virtuale, per le segnalazioni, per i commenti e per la grande gentilezza che dimostrate sempre nei miei confronti.
Grazie a tutti con tutto il cuore :-)
Come è stato il 2011?
E' difficile dare una risposta "secca". Ad una prima analisi superficiale, questi ultimi mesi sembrano meno duri ed impegnativi di quelli che abbiamo vissuto negli anni scorsi, in particolare nel 2010.
In un certo senso e' cosi', anche perche' credo che difficilmente gli attacchi a Papa Benedetto avrebbero potuto scendere piu' in basso rispetto allo scorso anno.
Tuttavia non ho potuto fare a meno di notare che sono diminuite le falsita', le offese e le accuse inverosimili nei confronti di Benedetto XVI, ma si e' fatto strada un pessimo atteggiamento, strisciante quanto subdolo, consistente nella mancanza di rispetto verso il Santo Padre.
Dopo una prima meta' dell'anno trascorsa abbastanza serenamente (diciamo fino alla beatificazione di Giovanni Paolo II), e' venuto allo luce un astio che mi ha lasciata davvero basita e che influisce su questo bilancio di fine anno.
Dividerei l'analisi del 2011 in due parti.
La prima parte riguarda Benedetto XVI. Anche negli ultimi mesi il nostro Papa ha saputo regalarci momenti straordinari che sarebbe riduttivo riassumere in poche righe.
Tanti sono stati i viaggi, i discorsi, le omelie, le visite pastorali.
Mi rifiuto di fare una classifica dei discorsi e delle omelie perche' sono l'una piu' bella degli altri.
Scorrendo velocemente all'indietro le immagini del 2011 mi vengono in mente quattro momenti: la veglia alla Gmg di Madrid, quando il Papa si e' rifiutato di abbandonare i giovani sotto il nubifragio; il discorso del Papa al Parlamento tedesco ed il colloquio con i detenuti di Rebibbia; l'incontro di Benedetto con i bimbi nel Benin.
Sono queste le prime istantanee che mi vengono in mente fra la miriade di avvenimenti che hanno visto il Papa protagonista.
E' impossibile elencare tutte le emozioni in un unico commento e quindi lascio a voi la possibilita' di aggiungere fatti e parole a questo post.
Anche nel 2011, quindi, abbiamo imparato dal Papa la pazienza, il coraggio e potuto "afferrare" un po' della sua grande cultura che egli vuole generosamente regalarci.
Non dimentichiamo a questo proposito di citare il secondo volume su Gesù.
Certo! Ci sono state alcune decisioni che ho fatto un po' fatica a comprendere, ma che ho accettato fidandomi della sapienza e della intuizione del Papa.
La seconda parte del bilancio del 2011 riguarda invece l'atteggiamento interno ed esterno alla Chiesa Cattolica nei riguardi del Santo Padre.
Dopo un periodo di relativa tranquillita', durato circa cinque mesi, ecco che si e' fatto strada un certo risentimento espresso in mille occasioni.
Non voglio fare di tutta l'erba un fascio e quindi premetto che ci sono tantissimi professionisti che hanno fatto e fanno in modo eccellente il proprio lavoro e che meritano tutto il nostro rispetto e la nostra stima. Non li cito per nome per paura di dimenticare qualcuno, ma voi sicuramente sapete a chi mi riferisco.
Accanto a questi bravi professionisti, che hanno messo l'obiettivita' al primo posto, sui giornali, alla televisione, sulle agenzie di stampa e su internet, purtroppo, altri non possono godere della stessa stima.
Ci sono stati episodi che mi hanno lasciata davvero di stucco (e non e' un barbatrucco!).
L'ultimo e' di stamattina e ne abbiamo parlato qui.
Nel 2011 sono usciti alcuni libri di "analisi" sul Pontificato di Papa Benedetto che non solo non gli rendono giustizia, ma sono per molti versi offensivi.
C'e' poi tutta la schiera di commentatori che riferisce di una Chiesa in crisi (citando in primis lo scandalo dei preti pedofili) dimenticando di scrivere quando si sono verificati gli abusi e chi (Ratzinger) si e' sempre battuto per combatterli.
Nell'ultimo anno il Papa ha avuto qualche sofferenza fisica. Perche' dobbiamo negarlo?
E' da Pasqua di quest'anno che in questo blog si notano queste piccole difficolta' del Santo Padre che comunque non gli impediscono di tenere fede a TUTTI i suoi impegni con una lucidita' mentale da fare invidia ad un trentenne.
Per questo hanno fatto ancora piu' male certe "battute" sulla pedana mobile che evidentemente il Papa e' costretto ad usare.
C'e' stato poi un episodio che mi ha fatto comprendere come sia scarso l'affetto di molti vaticanisti nei confronti di Benedetto XVI.
Si tratta della denuncia all'Aja. Ricordate? I particolari qui.
Non e' il ricorso in se' che ha turbato, ma l'atteggiamento di quei giornalisti che meglio degli altri devono conoscere il lavoro del Santo Padre.
Il giorno in cui usci' questa notizia in pochissimi fra i vaticanisti si sentirono in dovere di precisare che Benedetto XVI e' il Papa che piu' di ogni altro ha fatto per combattere la piaga della pedofilia nella Chiesa. Quella giornata fu pessima perche' sembrava di essere tornati al 2010.
Ci penso', udite udite, la stampa laica e laicista a spiegare ai lettori perche' quella denuncia era assurda.
Dal giorno dopo nessuno torno' piu' su quella panzana. Che strano!
Sono molto addolorata per certi atteggiamenti. C'e' una sottile mancanza di rispetto verso il Santo Padre che salta fuori ogni volta che si crea l'occasione.
Ma che cosa ha fatto il Vaticano per combattere il circo di offese contro il Papa?
Nulla! Ha risposto solo alla campagna di Benetton (e ci mancherebbe!).
Per il resto ciascuno puo' dire tutto ed il contrario di tutto senza che da Oltretevere si alzi un sopracciglio!
C'e' una sorta di liberta' di offesa e di dileggio nei confronti del Pontefice (parliamo di Benedetto XVI, ovviamente) proprio in virtu' della sicurezza dell'assoluta impunita'.
Pensiamo al famoso discorso del premier irlandese che, nella foga di attaccare la Chiesa, se la prese anche con il Papa citando una sua frase completamente fuori contesto.
La Santa Sede ha forse reagito? Ma figuriamoci!
Nella risposta data al Governo irlandese, dopo settimane di vana attesa, non si e' fatto alcun cenno all'offesa recata al Papa ne', ovviamente, si sono pretese delle scuse.
Ci voleva cosi' tanto per contestare il discorso irlandese? In pochissimo tempo abbiamo il blog ha preparato il suo speciale.
Se pero' qualcuno attacca un vescovo o un cardinale scatta la difesa d'ufficio.
E La Cei? Idem! 

Da dove deriva la certezza dell'immunita'? Proprio dalla miriade di episodi accaduti nel 2010 ed ai quali la Santa Sede non ha saputo o voluto reagire.
E' chiaro che nel momento in cui si permette a chiunque di sparare accuse false contro il Vicario di Cristo, senza sentire il bisogno di fare precisazioni e/o, se necessario, denunciare gli episodi nelle sedi opportune, non ci si deve sorprendere se poi ciascuno si sente autorizzato a offendere o mettere in ridicolo il Papa e la Chiesa.
Non e' troppo tardi per mettere fine all'andazzo. Basta volerlo.
Nel 2011 si e' festeggiato il sessantesimo anniversario di ordinazione di Papa Benedetto.
Sarebbe stata un'eccellente occasione non per fare celebrazioni, ma per indicare ai Cristiani l'esempio di vita di un grande sacerdote che ha sacrificato se stesso per la Chiesa e che in questi anni si e' caricato delle colpe di tutti e per tutti. Se pensiamo che fu celebrato in pompa magna ed in Vaticano il sessantesimo anniversario di ordinazione di Maciel...
Nutrite qualche speranza per l'85° compleanno del Papa? Io no! :-)
Luci ed ombre, quindi, nel 2011.
La grande luce del Papa, che riporta direttamente alla Grande Luce di Cristo, si contrappone alle ombre che ruotano intorno alla persona ed al lavoro di Benedetto.
Non e' detto pero' che sia un male: senza ombra non si percepisce la straordinarieta' della luce.
Pensiamo ai dipinti del mio amato Caravaggio: siamo davanti ad un gioco di luci ed ombre, ma e' proprio grazie a queste ultime che l'osservatore puo' riconoscere lo splendore delle figure illuminate dalla luce!
Ecco! Per me e' questa l'immagine del 2011 di Papa Benedetto: un quadro di Caravaggio!
La speranza per il 2012? Preghiamo affinche' il Signore conservi la splendida lucidita' mentale del Papa e gli dia la forza fisica per affrontare i tanti impegni che lo attendono.
Preghiamo anche che ci si renda finalmente conto che reagire alle offese recate al Papa (a Benedetto ovviamente) e' interesse primario della Chiesa e che e' tempo di "crescere" e di non nascondersi sempre e comunque dietro il "farafulmine" Ratzinger.
Un sogno per il 2012? Potere cancellare qualche punto del decalogo.
Vabbe'....i sogni son desideri :-)
Buon Anno a tutti :-))

Raffaella

Compiti a casa per i media cattolici. L’annuncio del Vangelo e le responsabilità del sistema informativo (José María Gil Tamayo)

L’annuncio del Vangelo e le responsabilità del sistema informativo

Compiti a casa per i media cattolici

José María Gil Tamayo

Se dovessi indicare un messaggio ripetuto nell’insegnamento di Papa Benedetto XVI, sarebbe l’appello a far capire, in un mondo secolarizzato come il nostro, il primato di Dio e a mostrarlo come condizione della pienezza e della felicità dell’uomo.
Questo è il compito primario e urgente che Benedetto XVI desidera trasmettere a tutti gli ambiti della Chiesa e in tal senso si è pronunciato nel suo discorso di alcuni giorni fa all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici, che ha avuto come tema di studio proprio La questione di Dio oggi. «Non dovremmo mai stancarci di riproporre tale domanda, di “ricominciare da Dio”, per ridare all’uomo la totalità delle sue dimensioni, la sua piena dignità», ha indicato il Papa, e allo stesso tempo ha avvertito che dimenticarsi di Dio è il male radicale che non colpisce solo la società contemporanea, ma che può minacciare anche i cristiani, i quali «non abitano un pianeta lontano, immune dalle “malattie” del mondo, ma condividono i turbamenti, il disorientamento e le difficoltà del loro tempo. Perciò non meno urgente è riproporre la questione di Dio anche nello stesso tessuto ecclesiale».
Per consentire alla Chiesa di raggiungere questo obiettivo evangelizzatore fondamentale i diversi dicasteri della Santa Sede stanno lavorando nei loro rispettivi campi di competenza, seguendo le indicazioni del Santo Padre ed estendendo questo impegno apostolico a tutti gli organismi ecclesiali del mondo.
Nel caso dell’influente mondo della comunicazione sociale — contemplato dai Lineamenta del prossimo Sinodo dei vescovi come uno degli scenari su cui la Nuova Evangelizzazione deve incidere in modo particolare —, si tratta semplicemente, partendo dalla competenza professionale irrinunciabile della comunicazione, di curare maggiormente l’identità degli operatori e dei media cattolici, per ristabilire nel mondo il senso trascendente della vita umana che risiede solo in Dio e dalla quale derivano come verità suprema la vera libertà e il progresso dell’essere umano e della società. «Il vostro compito è quello di aiutare l’uomo contemporaneo ad orientarsi a Cristo, unico Salvatore, e a tenere accesa nel mondo la fiaccola della speranza, per vivere degnamente l’oggi e costruire adeguatamente il futuro», ha affermato Benedetto XVI nel suo discorso ai partecipanti all’ultimo Congresso mondiale della Stampa cattolica.
In questa prospettiva non ha senso domandarsi se la Chiesa e le sue istituzioni debbano disporre o meno di mezzi di comunicazione cattolici o se debbano piuttosto limitarsi ad avere fedeli cristiani in quelli civili; e, nel caso dispongano di tali media, se questi devono affrontare tematiche religiose o essere generalisti. La missione affidata a tutti è quella indicata dal Santo Padre, il che deve portare a evitare posizioni escludenti e a puntare piuttosto sulle due opzioni, ma sempre con professionalità e lealtà verso la natura di ogni media, e con cristiana coerenza istituzionale e personale, facendo sempre in modo che gli operatori cattolici siano, con personale e libera responsabilità, attivi apostolicamente nel flusso circolatorio della società dell’informazione.
È particolarmente necessario tener conto di ciò in Occidente, con il suo ambiente secolarizzato, il che esige la presenza di professionisti e di media cattolici coerenti, visto che lo statuto pubblico del cattolicesimo è messo in dubbio da determinate posizioni ideologiche, al punto da volerlo limitare alla sfera del privato, di modo che le convinzioni religiose vengano private di ogni operatività sociale e culturale, di influenza sul pensiero e sull’agenda pubblica, in definitiva sulla vita delle persone.
In questo contesto, la comunità cattolica ha bisogno oggi più che mai per la Nuova Evangelizzazione, perché possa ricostruire il tessuto cristiano della società attuale, di mezzi e di professionisti della comunicazione con un’inequivocabile identità ed esperienza cattoliche per restituire a Dio la sua presenza nello spazio pubblico. In tal modo la Chiesa rafforzerà la sua rilevanza, dando espressione, con tutta la sua specificità, varietà e ricchezza, al pensiero pubblico dei credenti nella pluralità delle offerte di significato che oggi confluiscono nella società.
A tal fine, i cattolici devono continuare a mostrare di avere risposte attuali per le domande che interessano gli uomini e le donne di oggi, come ha fatto il grande architetto cristiano Antoni Gaudí in un ambiente per nulla facile, con la bellezza della basilica della Sagrada Família di Barcellona; lo ha detto Benedetto XVI affermando che in piena modernità, «con la sua opera (Gaudí) ci mostra che Dio è la vera misura dell’uomo (...). Lui stesso, aprendo in questo modo il suo spirito a Dio, è stato capace di creare in questa città uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa».
Per questo motivo, un media cattolico deve riflettere il fatto che essere credenti significa essere anche moderni, per cui in esso si può scrivere o parlare di tutto ciò che riguarda l’umano e il divino, senza lasciarsi contagiare dalla diffusa opinione che la religione è qualcosa di marginale, anche negli spazi tipografici della stampa e nelle bande orarie del palinsesto dei media audiovisivi.
Ogni media cattolico deve soddisfare in modo trasversale questo requisito, nel fondo e nella forma, per la qual cosa ha bisogno — poiché nulla dà ciò che non ha — dell’aiuto di buoni professionisti realmente credenti, d’imprenditori altrettanto impegnati nella fede e di un pubblico che lo sostenga, ascoltandolo o seguendolo.
Ma l’identità non è negoziabile e non può limitarsi a qualcosa di astratto; deve al contrario plasmarsi in una linea editoriale chiara, che deve essere qualcosa di fattibile e pertanto di concreto. In essa si devono esprimere — e servire per valutare adeguatamente i risultati — gli obiettivi per cui un media viene creato, i quali, in modo esplicito o tacito — dipendendo dal tipo o dal modello del media — devono ispirare i suoi contenuti, e così deve essere percepita dal pubblico come indicativa di una determinata istituzione comunicativa, alla quale il pubblico risponde con l’adesione del suo ascolto o della sua lettura e dalla quale desidera prendere liberamente i solidi criteri con cui formare la propria coscienza cristiana e civica nelle mutevoli circostanze del divenire personale e sociale.
Questo impegno di coerenza con l’identità e la missione di un media cattolico (si deve intendere anche di un cattolico nei mezzi di comunicazione), ha bisogno del sostegno delle risorse soprannaturali date dalla fede cristiana, poiché il compito che l’aspetta non è facile, non solo nel contesto mediatico di oggi, dove confluiscono interessi economici, politici, di potere e d’influenza estranei alla comunicazione e al sentire cristiani, che compromettono la sopravvivenza editoriale e lavorativa, ma anche nelle stesse fila cattoliche, che devono ancora comprendere appieno sia l’importanza evangelizzatrice della comunicazione sociale sia il bisogno di ricomporre, nella varietà e dispersione degli stessi suoi media, la necessaria unità verso comuni obiettivi evangelizzatori, come pure di stabilire con chiarezza, in quelli che ne hanno bisogno, i fini originali per i quali sono stati creati, e orientarli all’obiettivo che Benedetto XVI non smette mai di ricordare: la Nuova Evangelizzazione.

(©L'Osservatore Romano 1° gennaio 2012)

Domani Giornata mondiale della pace. Benedetto XVI: dono da invocare e obiettivo da perseguire senza stancarsi (R.V.)

Domani Giornata mondiale della pace. Benedetto XVI: dono da invocare e obiettivo da perseguire senza stancarsi

Domani si celebra la 45.ma Giornata Mondiale della Pace sul tema “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”. Il Papa, in questa occasione e nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, presiederà la Santa Messa alle 9.30 nella Basilica Vaticana. In un mondo che conclude il 2011 con un “senso di frustrazione” per la crisi “che sta assillando la società il mondo del lavoro e l’economia” - scrive Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Giornata - l’attenzione di tutti deve essere posta ai giovani, “nella convinzione che essi con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale possono offrire una nuova speranza al mondo”. Queste parole sono le ultime in ordine di tempo di un itinerario di riflessioni spirituali e appelli concreti, costruito in questi anni da Benedetto XVI. Alessandro De Carolis lo ripercorre in questo servizio:

Verità, persona, famiglia, creato, libertà. I pilastri solidi sui quali incardinare quel valore assoluto e precario che è la pace. La road map tracciata finora dal Papa non per salvaguardare la stabilità in una singola nazione, né per disinnescare un conflitto in un’area del mondo, ma per il bene di tutta l’umanità. Un percorso a tappe rintracciabile nelle parole dedicate da Benedetto XVI alla pace ad ogni primo gennaio, a partire dal 2006, dalla prima Messa presieduta nelle vesti di Pontefice. “Nella verità, la pace” è il titolo del Messaggio di quell’anno e il Papa pianta con esso la pietra miliare di quello che sarà il suo viaggio. “Per accogliere il dono della pace”, afferma, dobbiamo guardare a Cristo, “il quale ci ha insegnato il ‘contenuto’ e insieme il ‘metodo’ della pace, cioè l’amore”. Ma pace e amore hanno bisogno di braccia e gambe. Hanno bisogno della “persona umana” che – recita il titolo del Messaggio – è il “cuore della pace”:

“Di fronte alle minacce alla pace, purtroppo sempre presenti, dinanzi alle situazioni di ingiustizia e di violenza, che continuano a persistere in diverse regioni della terra, davanti al permanere di conflitti armati, spesso dimenticati dalla vasta opinione pubblica, e al pericolo del terrorismo che turba la serenità dei popoli, diventa più che mai necessario operare insieme per la pace. Questa, ho ricordato nel Messaggio, è ‘insieme un dono e un compito’ (n. 3): dono da invocare con la preghiera, compito da realizzare con coraggio senza mai stancarsi”. (Omelia primo gennaio 2007)

Dunque, la pace non può essere il nobile intento di qualche eroe solitario, ma un obiettivo da costruire insieme, come corpo, come famiglia. E “famiglia umana, comunità di pace” è il titolo del Messaggio 2008 e all’omelia del primo gennaio Benedetto XVI ribadisce:

“Chi anche inconsapevolmente osteggia l’istituto familiare (…) rende fragile la pace nell’intera comunità, nazionale e internazionale, perché indebolisce quella che, di fatto, è la principale ‘agenzia’ di pace”. (Omelia primo gennaio 2008)

Individuati i protagonisti, e l’ideale che li anima, bisogna rimboccarsi le maniche. “Combattere la povertà, costruire la pace”, intitola il Papa il Messaggio per il 2009. C’è – osserva – una povertà scelta da Dio, che per un misterioso disegno fa nascere suo Figlio in una stalla, è c’è “un’indigenza che Dio non vuole e che va combattuta”. Quella delle mille miserie sparse sul pianeta, che aspetta l’avvento di una “umanità nuova, capace, sempre e solo con la grazia di Dio, di operare una ‘rivoluzione pacifica”:

“Una rivoluzione non ideologica ma spirituale, non utopistica ma reale, e per questo bisognosa di infinita pazienza, di tempi talora lunghissimi, evitando qualunque scorciatoia e percorrendo la via più difficile: la via della maturazione della responsabilità nelle coscienze.” (Omelia primo gennaio 2009)

Ma voler estirpare la povertà dalla terra, senza preoccuparsi di proteggere la terra stessa è un controsenso. “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, scrive Benedetto XVI nel 2010. E per rendere incisivo il suo discorso chiede a chi lo ascolta di guardare a chi la terra la gestirà dopo di noi, ricevendola in condizioni spesso drammatiche, i bambini:

“Di fronte alla loro condizione inerme, crollano tutte le false giustificazioni della guerra e della violenza. Dobbiamo semplicemente convertirci a progetti di pace, deporre le armi di ogni tipo e impegnarci tutti insieme a costruire un mondo più degno dell’uomo”. (Omelia primo gennaio 2010)

E un mondo più degno dell’uomo lo è se a quell’uomo è permesso di esprimere senza costrizioni la propria fede. La “libertà religiosa” è “via per la pace”, ribadisce il Papa nel Messaggio di quest’anno. E all’omelia del primo gennaio spiega:

“Là dove si riconosce effettivamente la libertà religiosa, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice e, attraverso una sincera ricerca del vero e del bene, si consolida la coscienza morale e si rafforzano le stesse istituzioni e la convivenza civile. Per questo la libertà religiosa è via privilegiata per costruire la pace”. (Omelia primo gennaio 2011)

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Un consiglio all'Illustrissimo Sergio Romano: quando si stilano classifiche sul lavoro altrui, si dovrebbero evitare errori clamorosi!

Corriere della Sera, 31 dicembre 2011
Su segnalazione della nostra Gemma apprendiamo che sul Corriere della sera di oggi Sergio Romano stila una sorta di classifica degli eventi sopravvalutati del 2011. Chi si piazza al primo posto? Ma Benedetto XVI ovviamente! Secondo il Nostro le "apparizioni" papali (siamo a Lourdes?) sono sopravvalutate e lo sono ancora di piu' del matrimonio (definito "inutile") di William e Kate, piazzatisi al secondo posto, e del parto di Carla Bruni che conquista il quarto posto.
Ciascuno e' libero di fare i bilanci e le classifiche che preferisce tanto e' vero che anche io presentero' entro stasera il mio personale bilancio, ma, quando si citano eventi che vedono protagoniste altre persone, si dovrebbe almeno dimostrare di avere visto tali "apparizioni". Come si puo' commentare qualcosa che non si e' visto?
Romano afferma che sono state sopravvalutate tutte le "apparizioni" papali e, ahimè, anche la visita del Santo Padre al Regina Coeli.
Beh, io sto cercando in tutti i modi di scavare nella mia memoria, ma non mi risulta che Papa Benedetto sia andato a Regina Coeli. Mi pare che sia andato a Rebibbia o sbaglio?
Beh, se il primo punto della classifica contiene un errore cosi' grave e clamoroso, mi sembra superfluo ogni altro commento.
Comunque credo sia alquanto offensivo far passare il messaggio che gli interventi del Papa sono meno importanti persino degli eventi di gossip come un matrimonio reale o la nascita di una bimba.
Fossi nella Santa Sede farei qualche precisazione, ma Romano dorma sogni tranquilli: nessuno si prendera' la briga di "difendere" Benedetto XVI da classifiche come queste.
Una cosa pero' e' certa: il Santo Padre non lascia indifferente nessuno
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R.

Messaggio del Papa alla festa delle famiglie a Madrid: lasciatevi guidare dalla Chiesa per testimoniare la speranza

Messaggio del Papa alla festa delle famiglie a Madrid: lasciatevi guidare dalla Chiesa per testimoniare la speranza

La famiglia è un tesoro da custodire e valorizzare: è il cuore del messaggio di Benedetto XVI inviato alle famiglie spagnole che, ieri pomeriggio, si sono riunite a Plaza de Colon a Madrid, in occasione della Festa della Santa Famiglia di Nazareth. Momento forte dell’evento è stata la Messa presieduta dal cardinale arcivescovo di Madrid, Antonio Maria Rouco Varela, concelebrata con decine di vescovi provenienti dalla Spagna e anche da diversi Paesi europei. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Una grande festa della fede, un momento di gioia e gratitudine al Signore per il dono della vita e della famiglia. Decine di migliaia di persone, genitori con bambini, tantissimi giovani si sono riuniti ieri a Madrid per la quinta edizione della festa della Famiglia incentrata quest’anno sul tema “Grazie alla famiglia cristiana siamo nati”. Ai partecipanti è giunto il Messaggio di Benedetto XVI, letto dal cardinale Rouco Varela:

“Dejaos guiar por la Iglesia…”

“Lasciatevi guidare dalla Chiesa”, sottolinea il Papa, “senza cedere alle tante forze mondane che minacciano il grande tesoro della famiglia”. Un tesoro “che deve essere custodito ogni giorno”. Il Papa afferma che la Santa Famiglia è segno di gioia e speranza per l’umanità intera. E sottolinea poi che il Bambino Gesù ha appreso nell’intimità della Casa di Nazareth il “modo umano di vivere”:

“Esto nos lleva a pensar…”

“Questo – scrive il Papa – ci porta a pensare alla imprescindibile dimensione educativa della famiglia” in cui si impara a convivere, si trasmette la fede e i figli prendono coscienza della propria vocazione e dignità. L’esempio della famiglia, sottolinea ancora il Messaggio, è “capace di insegnare molte più cose di quanto possano fare le parole”:

“Esta dimension educativa…”

“Questa dimensione educativa della famiglia – ne è convinto Benedetto XVI – può ricevere un afflato speciale nell’Anno della fede”, che prenderà il via il prossimo ottobre. Di qui l’invito alle famiglie affinché “rivitalizzino la fede nelle proprie case”. Il Papa non manca infine di salutare in modo speciale i giovani che proprio a Madrid hanno vissuto con lui l’emozionante Giornata Mondiale della Gioventù. E li esorta a difendere “l’autentica dignità della famiglia”, istituzione primaria della società e vitale per la Chiesa. Nell’omelia, il cardinale Rouco Varela ha messo l’accento sul segnale di speranza che le famiglie cristiane offrono alla società in un tempo di crisi.

Prima della Messa, si è svolto un momento ricco di canti e testimonianze a cui hanno preso parte anche giovani provenienti da Paesi europei. Si è così rivissuto il clima festoso della Gmg, anche grazie al Coro della Giornata mondiale della Gioventù che ha riproposto l’inno del raduno di Madrid.

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Vaticano, la carica dei vescovi che non vogliono andare in pensione (Galeazzi)

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Ubbidire tacendo e tacendo ubbidire!

Educazione e pace: l’editoriale di padre Lombardi (Radio Vaticana)

Educazione e pace: l’editoriale di padre Lombardi

Domani si celebra la 45.ma Giornata Mondiale della Pace sul tema “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”. Il Papa, in questa occasione e nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, presiederà la Santa Messa alle 9.30 nella Basilica Vaticana. Sul significato di questa Giornata e sul Messaggio di Benedetto XVI per questo evento, ascoltiamo il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

“Educare i giovani alla giustizia e alla pace”: è questo il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace, il 1° gennaio. Finora non ha avuto l’eco che merita. Ma ogni tanto succede: non sempre le cose più importanti sono quelle di cui si parla di più. In realtà, se i giovani oggi non sono educati alla pace, la pace domani certamente non ci sarà.

In occasione dei grandi cambiamenti avviati nel Nordafrica e nel Medio Oriente, o anche nei movimenti degli "indignados" che hanno percorso i Paesi occidentali, dalla Spagna all’Inghilterra o agli Stati Uniti, l’attenzione si è spesso rivolta ai giovani, alle loro frustrazioni e alle loro attese, al loro modo di comunicarle e di esprimerle. Quali ne saranno gli esiti, aldilà del breve periodo in cui avranno avuto le prime pagine dei media? Dipende in gran parte dall’educazione, se no alle frustrazioni di oggi seguiranno inevitabilmente quelle di domani e di dopodomani.

“L’educazione è l’avventura più affascinante e difficile della vita” – afferma il Papa. E tutti ne siamo coinvolti. Il messaggio del Papa non si limita a incoraggiare o esaltare un ruolo attivo dei giovani. Fa capire che le sue premesse vengono dal servizio responsabile degli educatori, che non sono solo i genitori e gli insegnanti, ma anche i politici e gli operatori dei media: tutti coloro, insomma, che possono e devono trasmettere un orientamento a quei valori su cui si costruisce una società giusta e pacifica, e facilitare quei passi di crescita culturale e di inserimento sociale che avvicinano a questa meta. Se quei valori vengono distrutti dal relativismo e da un’esaltazione della libertà arbitraria, se non vengono proposti con testimonianze concrete di onestà, di impegno, di solidarietà - diciamo pure anche di amore -… domani non ci saranno giustizia né pace. Se si vuole che il domani del mondo sia meno oscuro, bisogna affrontare con decisione le “emergenze educative” di oggi.

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E' morto a Milano Don Luigi Verze'

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Rapporto Fides sugli operatori pastorali uccisi nel 2011: 26 vittime in tutto il mondo

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venerdì 30 dicembre 2011

Evento e segno nella storia e nell’anima. La divina e verginale maternità di Maria (Biffi)

La divina e verginale maternità di Maria

Evento e segno nella storia e nell’anima

Inos Biffi

La fede cristiana riflessa nei vangeli di Matteo e di Luca professa la divina e verginale maternità di Maria. Ignoriamo per quali vie storiche essa sia stata conosciuta, ma è indubbio che dagli inizi la Chiesa abbia la certezza che Gesù è stato concepito nel grembo della madre, senza che questa conoscesse uomo, ossia, secondo le parole dell’angelo a Giuseppe: «Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Matteo, 1, 20). Maria concepirà un figlio — «il Figlio dell’Altissimo», con la prerogativa di una signoria e di una regalità intramontabile — ma non sarà in virtù del «volere di carne, o del volere di uomo» (cfr. Giovanni, 1, 13); sarà invece Dio stesso a generarlo, grazie alla discesa in lei dello Spirito e alla potenza dell’Altissimo, che l’avvolgerà della sua ombra, a segnalare e garantire la sua presenza — come già la colonna di nube indicava la presenza e la gloria divina agli Ebrei nel deserto (cfr. Esodo, 13, 22).
Senza dubbio, la verginità di Maria è — per usare la distinzione di Agostino (In Ioannis Evangelium, 49, 2) — insieme un evento e un segno. Un evento, anzitutto, dalla consistenza reale. Solo una prevenzione ideologica lo potrebbe risolvere a pura finalità didascalica: prevenzione che porterebbe fatalmente al dissolvimento storico di Gesù stesso, riducibile alle dimensioni di una semplice figura umana decorata e addobbata dal mito. Privato della consistenza dell’evento il segno medesimo si dissolverebbe, per convertirsi in una fantasiosa invenzione.
D’altronde, non si comprenderebbe il valore della concezione verginale del Verbo di Dio, se non apparissero il suo senso teologico e la sua intenzione nel disegno salvifico.
Quanto avviene in Maria risale unicamente alla possibilità di Dio, a cui appartiene non solo di far germogliare la sterilità, ma di rendere feconda la verginità. Il grembo di Sara, arido e avvizzito, si ravviva e la sterile diviene fertile. Essa ride alla promessa che potrà partorire nella sua vecchiaia, ma Dio dice ad Abramo: «C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?» (Genesi, 18, 11-14). Il caso si ripete per Elisabetta, la parente di Maria: «era detta sterile» e «nella sua vecchiaia ha concepito un figlio», sempre per la ragione che «nulla è impossibile a Dio» (Luca, 1, 36-37). La verginità di Maria è tutta relativa a Gesù: essa è l’epifania che egli è la Grazia; che l’uomo non concorre alla sua apparizione, ma lo ritrova come puro Dono di Dio. Così come assolutamente dono è il favore di Maria presso Dio, il suo essere voluta da sempre piena di grazia.
Di fronte al “consiglio” divino inatteso, ideato su di lei dall’Altissimo, Maria dichiara la sua totale disponibilità, professandosi la «Serva del Signore», nella linea del servizio reso all’Alleanza da Abramo, da Mosè, e dal Servo paziente di Isaia. La sua verginità sarà dedicata al compimento del mistero di Gesù Cristo, raggiungendo in tal modo una forma singolare di fecondità. Essa otterrà una soprannaturale pienezza, impossibile a una verginità naturale: toccata dall’energia della grazia, la verginità di Maria maturerà il Frutto benedetto.
Come, per altro, avviene di ogni verginità scelta per il Regno dei cieli (cfr. Matteo, 19, 12).
Non vi è nulla che induca a pensare a un voto di verginità da parte di Maria. Né la prospettiva verginale di Maria è quella che noi diremmo della consacrazione religiosa. Questo in certo modo è incluso.
La Parola di Dio annunziata dall’Angelo scombina, si direbbe, i propositi della vergine di Nazaret fidanzata a Giuseppe: Maria non si ritrae, ma pronunzia il «Sì» irrevocabile, che la associa al destino stesso di Cristo. Tutto, ormai, per lei avverrà secondo la Parola e quindi in relazione e comunione con la sorte del Figlio, accolta dalla fede della Madre.
Quindi l’onnipotenza di Dio, da un lato, e, dall’altro, l’affidamento di Maria, che non vedeva il progetto celeste ma lo credeva e lo accettava, avvolto nell’oscurità dell’improbabile secondo la natura, e, pure, saldamente fondato sulla certezza della promessa divina.
Elisabetta saluta Maria come Madre del suo Signore — per lei nel grembo della Vergine già abita Gesù nella sua signoria di Risorto glorioso e Figlio di Dio: «Signore mio e Dio mio», lo professerà l’apostolo Tommaso, reduce dalla sua incredulità (Giovanni, 20) — e la proclama beata perché ha creduto alla Parola della Promessa. Con particolare compiacenza sant’Ambrogio mette in luce il rifrangersi e il rinnovarsi mistico e quindi reale della concezione verginale di Gesù nella Chiesa e nelle «singole anime». Maria è considerata «il tipo della Chiesa» che come la Madre del Verbo è «immacolata e sposa» (Super evangelium secundum Lucam, ii).
Ma anche l’anima in cui viva lo spirito di Maria riceve e concepisce il Verbo di Dio. Infatti, «se una sola è stata la madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede tutti lo producono come frutto»; se l’anima, immacolata e immune dalle colpe, conserva la castità con «intemerato pudore» (ibidem).

(©L'Osservatore Romano 31 dicembre 2011)

Le dieci notizie dell'anno secondo Rome Reports

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Padre Cavalcoli: E' assolutamente indimostrabile che non ci sia continuità dottrinale tra i documenti del Vaticano II e il precedente Magistero

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I libri di e su Benedetto XVI: novità in libreria

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Le ricerche dell'Enea sulla Sindone. Padre Pascual: strada lunga ma passo in avanti verso l'autenticità

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Le ricerche dell'Enea sulla Sindone. Padre Pascual: strada lunga ma passo in avanti verso l'autenticità

Sta suscitando l’attenzione dei media la recente pubblicazione dei risultati di alcune ricerche scientifiche condotte sulla Sindone tra il 2005 e il 2010 dai ricercatori dell’Enea, l'Ente nazionale italiano per le nuove tecnologie e le energie alternative. Ricerche ed esperimenti che hanno tentato di riprodurre la colorazione sindonica su tessuti, attraverso avanzatissime tecniche laser. Tentativi sostanzialmente non riusciti, che fanno in certo modo compiere alla ricerca scientifica sul Telo un passo in avanti sulla dibattuta questione della sua autenticità. Alessandro De Carolis ne ha parlato con padre Rafael Pascual direttore dell’Istituto Scienza e Fede all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, che dall’ottobre scorso ha attivato un corso di studi sulla Sindone:

R. – Penso sia un risultato interessante quello ottenuto dall'Enea, perché sappiamo che spesso il discorso sulla Sindone trova terreno fertile in ambito scientifico, come dimostrano coloro che hanno cercato argomenti – per l'appunto scientifici – per dimostrare la non autenticità della Sindone. Invece, altri studi scientifici come questo dell'Enea fanno capire anzitutto che per la scienza la Sindone continua ad essere un mistero, qualcosa che non si è in grado di spiegare: è interessante osservare come la scienza sia coinvolta, o scienziati di professione, come quelli dell’Enea, che si sono dedicati a questi studi. E questo mi sembra un segnale molto importante. Dunque, penso che questa scoperta riaprirà il discorso sul tema dell’autenticità della Sindone, che mi sembra molto importante.

D. – A questo proposito, è azzardato dire che i risultati della ricerca condotta dall’Enea spostino, per così dire, in avanti l’asticella verso l’autenticità del Telo sindonico?

R. – Penso che siamo più vicini, almeno nell’accezione negativa: cioè, non si può dimostrare la non autenticità. Ci sono dei dettagli che mi sembrano molto interessanti, tra quello che hanno detto gli scienziati dell’Enea. Caratteristiche molto particolari, molto precise che fanno riflettere. Per esempio, perché mai non c’è l’immagine dove ci sono le macchie di sangue? Perché queste macchie di sangue non sono distorte, come se la Sindone fosse stata strappata dal corpo? E così via. Dunque, questi dettagli sono dei passi avanti per capire anche le caratteristiche della Sindone, che sono così particolari. Anche la questione della datazione secondo me si riapre in qualche modo. E' noto che in passato i risultati non sono stati molto convincenti, per diverse ragioni. Speriamo che – come qualcuno ha proposto – di fronte a queste nuove scoperte si possa rilanciare lo studio della Sindone dal punto di vista scientifico. E’ chiaro che è una questione un po’ delicata e bisognerà fare una proposta molto seria, molto attenta. Ma io spero che vi siano dei risultati.

D. – Tra gli esperimenti condotti dall’Enea, colpisce quello della proiezione di un brevissimo e potentissimo lampo di radiazione ultravioletta, che sarebbe stato in grado di colorare il tessuto in un modo simile all’originale. Un riscontro che sembra quasi "suggerire" cosa sia successo al momento in cui l’Uomo della Sindone ha lasciato il Telo…

R. – E' un po’ difficile ovviamente dire che sia stato proprio in questo modo che si è formata l’immagine. Ciò che gli scienziati dicono è che quello potrebbe essere il modo più vicino a come si possa formare un’immagine simile a quella della Sindone, con la tecnologia a disposizione. Non significa che sia stato proprio così che si è formata questa immagine. E’ anche vero che, per il momento, non abbiamo un’altra ipotesi. Mi sembra sia un discorso ancora aperto.

D. – Dallo scorso ottobre, l’Istituto “Scienza e Fede” che lei dirige all’interno dell’Ateneo Regina Apostolorum, ha inaugurato un corso di studi sulla Sindone. Quali aspetti avete approfondito in questi mesi di lavoro?

R. – Abbiamo aperto due corsi, in questo semestre, e questo fa capire come la Sindone ci offra tante prospettive. Abbiamo parlato di quelle scientifiche, sicuramente molto interessanti. E c'è poi il rapporto fra la Sindone e la teologia: la teologia della salvezza, la teologia dell’incarnazione, dell’arte… Un secondo corso è quello della Storia della Sindone, del dr. Gian Maria Zaccone, e anche lì c’è una miniera: ci sono tanti studi, tante questioni ancora aperte. Mi sembra che anche nella prospettiva storica sia molto importante considerare le domande che chiedono risposte, così da continuare a portare avanti gli studi sulla Sindone anche da questo punto di vista. (gf)

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Dopo le stragi in Nigeria il cardinale Jean-Louis Tauran ribadisce il valore del dialogo tra le religioni (Ponzi)

Dopo le stragi in Nigeria il cardinale Jean-Louis Tauran ribadisce il valore del dialogo tra le religioni

Chi cammina verso Dio non può scegliere la violenza

Mario Ponzi

«Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace; chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio».
Questa frase, pronunciata da Benedetto XVI all’Angelus del 1° gennaio di quest’anno, quando annunciò la commemorazione del XXV anniversario dell’incontro di Assisi, è diventata, per il cardinale Jean-Louis Tauran, il filo conduttore dell’impegno per la promozione del dialogo tra le religioni.
«Parole — sottolinea il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso nell’intervista rilasciata al nostro giornale — che mi hanno profondamente colpito e che hanno ispirato ogni mio intervento nel corso dei diversi incontri avuti con esponenti di altre religioni, in quest’anno che sta ormai per concludersi. Parole disarmanti, anche per chi si affida ancora alla violenza per risolvere i problemi».

La tragedia consumatasi in Nigeria in questo ennesimo Natale di sangue mostra l’attualità di queste parole del Papa. Ma dimostra anche che quella del romano Pontefice è una delle rare voci di un capo religioso a levarsi contro la strumentalizzazione del nome di Dio da parte di uomini che hanno eletto la violenza a fede.

Davanti a episodi come quelli accaduti in Nigeria, ma anche in altre parti del mondo, mi convinco sempre di più dell’importanza del dialogo tra le religioni e della necessità che si intensifichi sempre di più. Detto questo, però, vorrei cogliere l’occasione per sottolineare l’urgenza dell’intervento di ogni capo religioso per inculcare nei cuori e nelle menti dei propri fedeli una vera mentalità di pace: l’idea di un Dio non violento che ama tutti gli uomini a prescindere da razza, cultura, convinzioni e condizione sociale. Un Dio nel nome del quale non si può commettere violenza o fomentare odio. È inutile continuare ad attribuire la responsabilità di simili orrori a frange estremiste di questa o quella religione se, poi, il Papa resta una delle pochissime autorità religiose che continua a infondere — e non solo tra i cristiani — sentimenti di pace, di riconciliazione, di giustizia, di solidarietà fraterna. In ognuno dei miei incontri chiedo ai responsabili delle altre religioni di farsi interpreti, presso i loro fedeli, dei valori universali, quali appunto la pace, l’amore fra i popoli, la solidarietà, la non violenza, che già il Papa proclama. Purtroppo però continuano a registrarsi fatti di sangue tra i figli delle nostre comunità religiose. Ciò significa che in questo senso c’è ancora molta strada da fare per convincere ognuno a essere prima di tutto araldo della pace di quel Dio vilipeso dalla violenza.

Come mai il messaggio di pace del Papa, che ha una portata universale, non sempre è compreso da tutti?

È proprio questo che mi stupisce. L’impressione che ricevo quando incontro gli altri capi religiosi è che ormai i responsabili delle religioni di tutto il mondo capiscono sempre di più la grande missione di pace che la Chiesa cattolica continua a compiere in ogni angolo della terra, promuovendo ovunque un dialogo fondato sul rispetto reciproco nella ricerca della verità. Poi però accadono questi fatti. Forse manca, in altre sedi, una comunicazione in senso verticale, che scenda sino alle radici.

Nella storia del dialogo tra le religioni bisogna annoverare l’evento caratteristico del 2011, che verrà ricordato come l’anno di Assisi, sia per la ricorrenza del XXV anniversario della prima giornata, sia per l’incontro presieduto da Benedetto XVI nella città di san Francesco. Quanto queste giornate possono effettivamente influire sul dialogo stesso?

Direi che il primo frutto di queste giornate — forse il più importante — è il riconoscimento, ormai dalla maggior parte dei leader religiosi di tutto il mondo, del fatto che la Chiesa cattolica mantiene viva la fiamma del dialogo tra le religioni. Ci è riconosciuto questo impegno di promozione ed è una constatazione molto importante. Per ciò che riguarda la giornata di Assisi dello scorso 27 ottobre, vorrei innanzitutto sottolineare una delle caratteristiche che le ha voluto dare lo stesso Benedetto XVI: quella, cioè, di celebrare una pietra miliare nella storia dei rapporti tra le religioni. In sostanza il Pontefice ha inteso ravvivare il ricordo dell’incontro di venticinque anni fa, rimasto unico nella storia. Nessun intento ripetitivo, dunque, semmai un arricchimento, apportato con il suo proprio stile, per aiutare ad approfondire la riflessione.

Quali ricadute ha avuto nel contesto internazionale, soprattutto laddove i rapporti tra le religioni sono particolarmente difficili?

Credo che per ogni governante, per ogni responsabile politico sia un vantaggio annoverare tra i propri interlocutori responsabili di comunità religiose che si fanno pellegrini della riconciliazione e della pace. Il dialogo tra le religioni non ha come scopo quello di riunire i fedeli delle diverse religioni in un unico tempio o in una chiesa. Quello che possiamo realmente fare in questo momento, però, è mettere tutto ciò che abbiamo in comune e tutti i nostri sforzi al servizio della società e dunque dell’umanità intera. Io credo che proprio laddove le situazioni sono più difficili, dove ancora persiste un clima di violenza che spesso genera vicende drammatiche, si intuisce sempre più la necessità di rilanciare un dialogo tra credenti che favorisca la comprensione reciproca. Come ha detto il Papa nel suo discorso nella basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, laddove si dimentica la presenza di Dio nel mondo l’umanità scompare.

In questo contesto cosa ha rappresentato la sua partecipazione alla riunione di novembre in India, il cui obiettivo dichiarato era quello di far rivivere lo spirito di Assisi?

In India ci sono stati momenti significativi. Il primo a Bombay dove abbiamo avuto alcuni incontri informali con i musulmani. Sono stati evidenziati interessi comuni che richiedono una più approfondita collaborazione tra cristiani e musulmani, per superare innanzitutto i pregiudizi generati dalla mancanza di un’approfondita conoscenza l’uno dell’altro, e di conseguenza la strumentalizzazione della religione che genera violenza. Discorso questo che è stato affrontato anche con gli induisti. Rilevante in questo senso l’incontro di Pune, presso l’ateneo pontificio retto dai gesuiti, dove ha avuto luogo forse l’incontro più importante del nostro viaggio in India, quello con gli induisti su come rafforzare il dialogo tra di noi per promuovere la giustizia, la pace e soprattutto l’armonia, che in quella terra è molto importante. La discussione si è articolata principalmente su questi aspetti: il dialogo tra le religioni, come affrontare la difficile situazione attuale, la dignità umana, la dignità della donna, il rapporto tra religione e società, tra religione e famiglia, tra religione e povertà, tra religione e sviluppo. Un confronto su vasta scala, come si può capire, molto positivo e che spero possa dare frutti abbondanti in un futuro non troppo distante.

Tra le tappe più significative del suo itinerario in diverse parti del mondo è da annoverare il secondo incontro del forum cattolico musulmano, svoltosi in Giordania a fine novembre. Quali sono state le conclusioni a cui siete giunti?

Ritengo tutti importanti i diversi incontri ai quali partecipiamo proprio per gli argomenti che si trattano e per i risvolti che possono avere. Ci sono evidentemente cose che mi colpiscono in modo particolare. In Giordania per esempio sono rimasto sorpreso dallo spirito di amicizia che ha impregnato l’atmosfera dell’incontro. Ci siamo detti le cose con franchezza, a volte anche cose che potevano suonare forti, ma tutti hanno ascoltato con rispetto e risposto con delicatezza.

Il tema dell’incontro «Ragione, fede e persona umana. Prospettive cristiane e musulmane» richiamava il discorso tenuto da Benedetto XVI nel settembre del 2006 a Ratisbona. Cosa ha dettato la scelta?

Sicuramente, quando ben comprese, le parole del Papa a Ratisbona sono di ispirazione: la scelta del tema è stata spontanea. Naturalmente i capi di ogni religione sanno che non può esserci un collegamento tra violenza e religione, qualunque religione. Semmai il problema è quello di far penetrare questi concetti, chiarissimi per i responsabili delle religioni, nella mentalità di tutti gli uomini e trasferirli nelle diverse legislazioni. Il tema ha favorito il clima nel quale l’incontro si è svolto. Le cose che ci siamo dette in proposito toccavano tutti e ciascuno, dunque è stato molto sentito. Abbiamo ribadito che la fede è un dono di Dio attraverso il quale la persona umana scopre di essere creata da Dio e deve progredire nella conoscenza di questo Dio. Siamo stati concordi nel riconoscere che la religione non è frutto della ragione ma non è irrazionale. Il cuore dell’uomo è il punto in cui fede, ragione e compassione si incontrano; dunque è il cuore dell’uomo che porta a Dio e all’amore verso il prossimo. Da ciò consegue che la dignità della persona umana viene da Dio stesso e quindi deve essere rispettata da tutti e protetta dalla legge. Questo è un particolare molto importante.

Sembra di capire che ci sia stato, su questi principi, un accordo condiviso.

Certamente, ma non parlerei di accordo di tutti. Il documento conclusivo è un breve riassunto di numerosi scambi di buon livello. Ovviamente, tutto non può apparire in un documento ufficiale. La cosa importante è continuare il pellegrinaggio verso la verità e non esitare a compiere piccoli passi alla volta. Non possono camminare tutti alla stessa velocità, anche perché se i capi religiosi hanno capacità di comprendere più a fondo le questioni bisogna sempre tenere presente il contesto al quale essi devono rivolgersi.

Risale all’autunno del 2007 la lettera A common word, sottoscritta da 138 personalità musulmane di tutto il mondo. Da allora i firmatari si sono fatti promotori di un dialogo ispirato a quel documento. In questi quattro anni cosa è cambiato, se qualcosa è cambiato, nei rapporti islamo-cristiani?

Certo la lettera cui fa riferimento è importante, ma non bisogna pensare che il rapporto tra cristiani e musulmani cominci con quella lettera. Il nostro è un discorso ultramillenario. Questa lettera semmai ha creato un nuovo capitolo, un nuovo spazio. In essa viene usato un linguaggio più connaturale alla cristianità. Per esempio, si cita la Bibbia. È anche vero che questa lettera e la nostra risposta, hanno dato luogo in tutto il mondo a iniziative di approfondimento. Va poi sottolineato che ogni incontro di dialogo, anche se sembra non cambiare molte cose, resta sempre un segno importante per il mondo, per il rispetto reciproco e per la ricerca della concordia e della pace nel mondo.

Su cosa puntare per il futuro perché non si ripetano più tragedie come quelle più recenti?

Innanzitutto bisogna puntare sui giovani, sulla loro formazione, senza retorica. E qui entra in gioco quella responsabilità dei capi religiosi, di tutti i capi religiosi, alla quale facevo cenno. Il Papa insiste molto sulla formazione dei giovani alla pace, alla solidarietà, alla giustizia, alla fratellanza universale. A questo egli dedica le Giornate mondiale della gioventù così come ai giovani ha dedicato la Giornata mondiale della pace 2012. Bisognerebbe intensificare iniziative simili anche in altre realtà. Educare i giovani alla pace e alla giustizia è un obbligo per tutti i credenti se si vuole estirpare dalla faccia del mondo la violenza, almeno quella che falsamente si ammanta di motivazioni religiose.

Cosa c’è in programma per il 2012?

L’Africa. Inizierò una serie di incontri con le religioni tradizionali africane. Sino a oggi ci siamo preoccupati soprattutto di avvicinare le religioni a noi più prossime. Ora è il momento di incontrare le religioni delle popolazioni africane, ricche di grandi spunti trascendentali. Non possiamo trascurarle. Poi, a novembre, ci sarà a Roma l’VIII colloquio con i nostri partner iraniani. Per quanto riguarda altri incontri previsti, molto dipenderà della situazione politica in alcuni Paesi arabi. Come vedete, il dialogo tra le religioni non è una navigazione facile, ma malgrado le difficoltà rimane tuttavia una priorità. Durante l’udienza per gli auguri natalizi della Curia Romana, il Papa, riferendosi all’incontro di Assisi, parlava del «clima di amicizia e di rispetto reciproco, nell’amore per la verità e nella comune responsabilità per la pace». Nel mondo precario di oggi, il primo dovere dei credenti è di manifestare «una nuova disponibilità a servire la pace, la riconciliazione e la giustizia».

(©L'Osservatore Romano 31 dicembre 2011)

I risultati di cinque anni di ricerche sulla Sindone condotte da una équipe specializzata dell’Enea (Bonatti)

I risultati di cinque anni di ricerche sul sacro telo condotte da una équipe specializzata dell’Enea

La scienza a tu per tu con l’impossibile

di Marco Bonatti

La Sindone continua a essere, per la scienza, un «oggetto impossibile». Impossibile, anche, da falsificare.
Nei giorni scorsi sono stati resi noti i risultati di cinque anni di interessanti ricerche condotte da una équipe dell’Enea (l’Ente nazionale italiano per le nuove tecnologie e lo sviluppo sostenibile) e dedicate alla «colorazione simil-sindonica di tessuti di lino tramite radiazione nel lontano ultravioletto».Si è cercato, cioè, di approfondire quello che è il tema centrale delle ricerche scientifiche sulla Sindone: come si sia formata quell’immagine che ai credenti evoca così potentemente la Passione del Signore e che per tutti — ma per gli scienziati in particolare — costituisce una «provocazione all’intelligenza», come la definì Giovanni Paolo II nella sua riflessione di fronte al telo, nel duomo di Torino il 24 maggio 1998.
Le ricerche dell’Enea sono state condotte per un lustro ma in particolare nel 2010, durante l’«International Workshop on the Scientific Approach to the Acheiropoietos Images» tenutosi a Frascati, nella sede dell’Enea, nel mese di maggio, utilizzando le più aggiornate fra le tecnologie attualmente disponibili (responsabili i professori Di Lazzaro, Murra, Santoni, Nichelatti e Baldacchino). L’obiettivo era di tentare la «riproduzione» dell’immagine del tessuto sindonico (e del Volto in particolare): se uno dei numerosi esperimenti effettuati da vari studiosi nel passato allo scopo di riprodurre l’immagine sindonica fosse riuscito, si sarebbe aperta la possibilità di dimostrare, con argomenti più validi, che la Sindone attualmente custodita a Torino possa essere un «manufatto», realizzato in un’epoca successiva al i secolo.
Ma anche i tentativi di riproduzione hanno evidenziato una colorazione troppo profonda e molti fili di lino carbonizzati, caratteristiche incompatibili con l’immagine sindonica. Senza contare che le prove sono state condotte su porzioni di tessuto molto piccole. Per effettuare l’esperimento su una superficie come quella della Sindone (4,36 metri per 1,10 circa) bisognerebbe disporre di una potenza di 34.000 miliardi di watt: una quantità che, osservano gli scienziati Enea, «rende oggi impraticabile la riproduzione dell’intera immagine sindonica usando un singolo laser eccimero, poiché questa potenza non può essere prodotta da nessuna sorgente di luce vuv (radiazione ultravioletta nel vuoto) costruita fino a oggi (le più potenti reperibili sul mercato arrivano ad alcuni miliardi di Watt)».
Diversamente da altri annunci sensazionali che si sono succeduti negli anni scorsi, gli scienziati dell’Enea, molto attenti a documentare tutti i passaggi del metodo di lavoro seguito, presentano con estrema cautela le proprie conclusioni, limitandosi a proporre precise considerazioni che non esulano dal campo scientifico. È una prudenza molto apprezzata da monsignor Giuseppe Ghiberti, presidente della commissione diocesana torinese per la Sindone: «Il lancio di notizie sulla Sindone assume facilmente il tono del sensazionale, ma nel caso attuale è apprezzabile il senso di misura con cui i protagonisti parlano delle loro ricerche: un fatto raro, che rende la cosa gradevole e dà alla notizia la qualifica di serietà».
Negli ultimi anni gli annunci di «nuove scoperte», «rivelazioni sconvolgenti» intorno alla Sindone sono diventati un vero e proprio genere letterario: il telo è stato associato ai templari o ai marziani; ci si è detti sicuri che sarebbe stato dipinto da Leonardo da Vinci, sottolineando certe somiglianze con l’Autoritratto; sono comparsi qua e là nel mondo campioni di tessuto sindonico di provenienza per lo meno dubbia. In molti casi, per non dire in tutti, dietro questi annunci c’era soprattutto l’opportunità di lanciare la pubblicazione di un libro o la possibilità di trovare finanziamenti per qualche ricerca. In questo la Sindone non è certo in grado di sottrarsi alle logiche dominanti del marketing. Il massiccio ingresso del «mistero sindonico» nel mondo della comunicazione di massa rende sempre più difficile, per il pubblico comune, la distinzione fra il lavoro scientifico serio, la ricerca dilettantesca e il puro opportunismo.
La storia recente delle ricerche sul telo è purtroppo ricca di manipolazioni, equivoci, fraintendimenti.
Le conclusioni degli esami condotti col carbonio 14 nel 1988, che indicarono una datazione medievale per la Sindone, risultano oggi ulteriormente indebolite dai risultati, seppure parziali, delle ricerche Enea; ma più ancora dalle carenze metodologiche con cui fu eseguito l’iter scientifico.
All’indomani delle ricerche del 1988, quando era grande lo sconcerto e l’amarezza per i risultati comunicati, il cardinale Alberto Anastasio Ballestrero, all’epoca arcivescovo e custode pontificio della Sindone, rispose così ad una intervista pubblicata su «La voce del popolo», il settimanale diocesano torinese: «Si è dato fiducia alla scienza perché la scienza ha chiesto fiducia. Ed è facile rendersi conto che l’accusa della scienza verso la Chiesa è sempre stata quella che la Chiesa ha paura della scienza, perché la “verità” della scienza è superiore alla verità della Chiesa. Quindi aver dato udienza alla scienza mi pare sia un gesto di coerenza cristiana (...) Che questo aver dato udienza alla scienza non sia costato alla Chiesa non è vero: però la Chiesa è serena, ha ribadito e ribadisce che il culto della Santa Sindone continua e che la venerazione per questo sacro lino rimane uno dei tesori della nostra Chiesa».
Oggi si attende che possa ripartire una nuova stagione di ricerche. «Le nuove tecnologie acquisite — dice ancora monsignor Ghiberti — permetteranno di compiere esami e accertamenti non invasivi sul telo; ma, soprattutto, si dovrà prestare la massima attenzione al rigore e al rispetto delle procedure scientifiche: per evitare strumentalizzazioni e per rispettare il grande significato religioso ed ecclesiale che la Sindone ha per il popolo cristiano e per tutti quelli, anche non credenti, che in quel Volto vedono la testimonianza misteriosa di un amore senza fine».

(©L'Osservatore Romano 29 dicembre 2011)

Prima della seconda guerra mondiale fu trasferita in gran segreto nel Santuario dei benedettini di Montevergine, alle pendici del monte Partenio

Quando la Sindone andò ad Avellino

Giovanni Preziosi

Fiumi d’inchiostro sono stati versati finora sulla reliquia più venerata dalla cristianità: il “sacro lenzuolo” che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo di Gesù nel sepolcro prima della Resurrezione. Durante i secoli, infatti, un’aura di mistero ha circondato i racconti dei suoi numerosi spostamenti. Del resto fino a pochi anni fa non molti sapevano che, proprio alla vigilia della seconda guerra mondiale, la Sindone — allora in possesso dei Savoia — fu trasferita, nel più stretto riserbo, alle pendici del monte Partenio, una località alle porte di Avellino dove sorge il Monastero benedettino di Montevergine. La scelta di questo cenobio da parte dei Savoia non avvenne soltanto per i requisiti di sicurezza che garantiva la zona, ma soprattutto per i legami con i monaci benedettini che affondavano le radici fin dal lontano 1433, allorché Margherita, figlia del celebre duca Amedeo VIII di Savoia — che tra il 1439 e il 1449 divenne antipapa con il nome di Felice v — in segno di devozione e riconoscenza verso la Madonna di Montevergine per essere scampata a un naufragio donò alla comunità monastica uno splendido affresco trecentesco di scuola senese attribuibile a Pietro Cavallino dei Cerroni. Senza contare, poi, che l’abate Guglielmo De Cesare (1859-1884) fu il postulatore della causa di beatificazione di Maria Cristina di Savoia, di cui in seguito divenne anche il primo e più autorevole biografo. Da allora i rapporti tra la comunità e i Savoia si andarono sempre più consolidando e, pertanto, anche grazie a quest’amicizia di lunga data, verso la fine di settembre del 1939, si decise di trasferire presso il santuario di Montevergine la Sindone, considerati i tempi tutt’altro che tranquilli.
A quell’epoca, infatti, il quadro politico internazionale non lasciava presagire nulla di buono: il primo settembre l’esercito tedesco aveva invaso la Polonia. Il 3 settembre successivo, la Gran Bretagna e la Francia si decisero a dichiarare guerra alla Germania, mentre l’Italia aveva proclamato la non belligeranza, giustificando la deroga al Patto d’acciaio con l’impreparazione militare che non le consentiva, in quel momento, di affrontare una guerra lunga e logorante. Di fronte alla trama negativa di questi ultimi eventi, Vittorio Emanuele III si convinse dell’assoluta necessità di mettere al più presto al sicuro la preziosa reliquia, in modo da sottrarla a qualsiasi pericolo. Dunque, come si evince anche da questa vicenda, si può dedurre chiaramente, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Casa Savoia — sin dal settembre del 1939 — era ormai consapevole dell’entrata in guerra dell’Italia al fianco dell’alleato teutonico con tutte le prevedibili conseguenze disastrose che si potevano facilmente immaginare. Proprio per questo motivo i Savoia avevano ritenuto opportuno trasferire in gran fretta la Sindone dalla cappella di Palazzo reale a Torino, dove era custodita, presso il palazzo del Quirinale. Tuttavia, nel timore di incursioni dei cacciabombardieri anglo–americani, decisero di rivolgersi al Vaticano, ritenendo che quel luogo offrisse maggiori requisiti di sicurezza. Di lì a poco si cercò ancora un’altra sistemazione in quanto, secondo il principe ereditario Umberto, anche questo luogo non si prestava a custodire adeguatamente la preziosa reliquia. Fu immediatamente interpellato il sostituto della Segreteria di Stato di Sua Santità per gli Affari ordinari, monsignor Giovanni Battista Montini, col preciso intento di persuaderlo a interporre i suoi buoni uffici per il trasferimento del sacro telo all’interno delle mura vaticane. Dopo aver esaminato a fondo la delicata questione, la Santa Sede comunicò ai Savoia che, purtroppo, anche quel luogo non poteva garantire un’adeguata protezione dal pericolo di un eventuale bombardamento. Di conseguenza il 7 settembre 1939 Montini provvide a inviare un telegramma all’abate di Montevergine, monsignor Ramiro Marcone, nel quale scriveva laconicamente: «sarebbe desiderata quanto prima sua venuta Roma». Il prelato benedettino si mosse subito, non immaginando neanche lontanamente il motivo di quell’invito così pressante. Montini lo mise subito al corrente, senza tante circonlocuzioni, del fatto che «S. M. Vittorio Emanuele III desiderava affidare al Vaticano la preziosa reliquia della Santa Sindone, già ricoverata nel Quirinale per salvarla dai pericoli dei bombardamenti. La Segreteria di Stato di Sua Santità aveva fatto presente al Sovrano che il Vaticano era ugualmente esposto e in pericolo come il Quirinale, e che Sua Eminenza il cardinale Maglione, Segretario di Stato, personalmente consigliava come sicuro ricovero il Santuario di Montevergine».
In effetti bisogna osservare che la Santa Sede — e in modo particolare il segretario di Stato, cardinale Luigi Maglione — nutriva nei confronti dell’abate Marcone una profonda stima tant’è che, a distanza di appena due anni da questo evento, per la precisione nell’estate del 1941, comunicava al presule benedettino che, su sua proposta, il Papa aveva deciso di affidargli una delicata missione, incaricandolo di recarsi nello Stato indipendente di Croazia in qualità di rappresentante papale con il titolo di visitatore apostolico presso l’episcopato, allo scopo di allacciare rapporti anche con il governo del nuovo Stato balcanico. Il cardinale Maglione, infatti, prima di esprimere il suo parere sul trasferimento della Sindone presso il santuario benedettino, si era recato personalmente a Montevergine, in compagnia del vescovo di Pozzuoli, monsignor Alfonso Castaldo, del fratello sacerdote e di due suoi nipoti, per compiere un sopralluogo e constatare se la zona possedeva i necessari requisiti di affidabilità. Il responso si rivelò favorevole e a quel punto, com’è facile immaginare, l’abate non solo non espresse alcuna obiezione al riguardo, ma rimase lusingato che proprio il santuario fosse stato scelto per custodire, seppur temporaneamente, questa preziosa reliquia. Presi i dovuti accordi, il 25 settembre 1939, verso le 15 giunsero a Montevergine due automobili della Casa reale, provenienti dalla capitale, con a bordo i due cappellani del re, monsignor Paolo Brusa e monsignor Giuseppe Gariglio, che portavano con loro la Sindone. La reliquia venne collocata sotto l’altare del Coretto di notte — fatto realizzare nel lontano 1632 dall’allora abate Gian Giacomo Giordano per la salmodia dei monaci — mettendola al riparo da occhi indiscreti, dopodiché si procedette a siglare gli atti della consegna ufficiale.
«L’anno millenovecentotrentanove il giorno 25 del mese di settembre — si legge nel verbale di consegna e di deposito temporaneo della Sindone — in esecuzione degli Ordini di Sua Maestà il Re ed Imperatore, comunicata a voce dal Suo Ministro, S.E. il Conte Senatore del Regno Piero Acquarone, e, previa intesa con la S. Sede, esperite pel tramite del Suo Cappellano Maggiore, Mons. Giuseppe Beccaria, in uno dei locali dell’Abbazia Nullius Diocesis di Montevergine (provincia di Avellino) sono intervenuti S.E. Reverendissima il Padre Giuseppe Ramiro Marcone, nella sua qualità di Abate Ordinario della detta Abbazia, Mons. Paolo Brusa, Cappellano di Sua Maestà il Re ed Imperatore, nella sua qualità di custode della SS. Sindone, nonché il Reverendissimo Padre D. Bernardo Rabasca, Priore del detto Santuario, ed il Reverendissimo Mons. Giuseppe Gariglio, quali testimoni per procedere alla consegna di cui qui sotto. Premesso che per misure precauzionali, atteso l’attuale stato politico internazionale, si è riconosciuta l’opportunità di trasferire in luogo più sicuro di quello dove viene abitualmente custodita e venerata la Reliquia della SS. Sindone in Torino, nella sua Cappella omonima dentro il Palazzo Reale, si è scelto all’uopo, per altissimo suggerimento, come luogo che offre le maggiori garanzie di sicurezza e di incolumità, il detto Santuario di Montevergine. E pertanto, dopo essere stata tolta dall’abituale suo luogo la cassetta d’argento contenente la detta Reliquia e disposta in una cassa di legno, chiusa a viti, foderata di tela bianca ricucita all’ingiro e cinta con spago recante ai nodi il sigillo di piombo con le iniziali del Conte Generale Giovanni Amico di Meane, Reggente dell’Amministrazione della Real Casa in Torino, giusta l’analogo verbale del 7 settembre 1939, essa cassa contenente l’insigne Reliquia venne portata a Roma il giorno dopo, 8 settembre, accompagnata dal menzionato Cappellano di Sua Maestà, Teol. Don Giuseppe Gallino, e deposta provvisoriamente nella Cappella detta di Guido Reni dentro il Palazzo Reale del Quirinale. Da qui, il giorno 25 settembre 1939, dopo fattosi il debito riconoscimento della cassa e constatatone l’integrità, essa è stata presa in consegna dal detto Mons. Brusa, custode della SS. Sindone, dal menzionato Gariglio, Cappellano di Sua Maestà, entrambi incaricati dalla Real Casa, i quali in automobile l’hanno portata in questo Santuario per essere temporaneamente e a titolo di deposito quivi custodita».
Allegato a questo documento fu stilato anche un altro verbale aggiuntivo che — come rilevato in precedenza — lascia intendere chiaramente come ormai Casa Savoia, fin dal settembre del 1939, fosse persuasa dell’imminente entrata in guerra dell’Italia e temesse che, prima o poi, ci sarebbero state delle pericolose incursioni aeree che avrebbero potuto seriamente compromettere l’incolumità della sacra reliquia. Per ovviare a questo inconveniente, sebbene la cassa fosse stata collocata in un luogo sicuro nel muro maestro alla profondità di 88 metri quasi a ridosso della montagna, per maggior precauzione si stabiliva che l’abate Marcone, in caso di pericolo imminente, «data la potenza formidabile di esplosione di certe bombe», avrebbe potuto, di sua spontanea volontà, trasferire la cassa nella galleria artificiale, profonda circa 145 metri, scavata nella roccia viva che distava appena un centinaio di metri dal Coretto di notte, alla quale si poteva accedere attraverso il corridoio del monastero senza esporla al pericolo di dover uscire all’esterno del santuario. Per ovvi motivi, la Sindone fu tenuta lontana da occhi indiscreti e custodita nel più stretto riserbo al punto che, ufficialmente, erano al corrente della sua presenza soltanto l’abate Marcone, il priore dom Bernardo Rabasca, il vicario dom Anselmo Tranfaglia, il superiore “invernale” del santuario e il padre sacrista che s’impegnarono «a conservare gelosamente il segreto». Nel frattempo, a Montevergine, nonostante lo scrupoloso riserbo, col quale i monaci custodivano la Sindone, si verificò in quei giorni un episodio che, come scrisse il padre Federico Renzullo, a quel tempo ospite del monastero, rischiò di mettere alcune persone sulla pista giusta per scoprire la preziosa reliquia. «Un giorno a Montevergine — scrive sul filo della memoria lo stesso sacerdote — [fu] un tramestio inconsueto, un andare affannoso avanti e indietro, un bisbigliare sommesso e misterioso. Ma nessuno seppe in quel giorno rendersi conto del singolare avvenimento». Quindi, dopo aver accennato a coloro i quali erano al corrente del segreto, continuava: «Intanto un vecchio sacerdote, il Can. Paolo Brusa, custode della S. Sindone, che era giunto improvviso sul monte, aveva voluto celebrare la S. Messa all’Altare della Cappella del Coro di Notte. I monaci, intuito il mistero, anche da questa celebrazione in luogo insolito, cor[sero]al Messale, svolg[endo] i fogli (...) Il vecchio prete aveva celebrato la Messa propria della S. Sindone. Avevano carpito il grande mistero. Ma l’intuizione che tra quella Messa celebrata in luogo così insolito e il grande mistero da scoprire ci dovesse essere un qualche evidente rapporto era loro balenato alla mente dalla osservazione commossa delle molte copiose lacrime che il sacerdote aveva versato durante tutto il tempo della celebrazione del Sacrificio».
Recentemente è stata avanzata una suggestiva ipotesi secondo la quale il trasferimento della sacra reliquia a Montevergine fu disposto, in realtà, per impedire che finisse nelle mani del Führer che, fin dalla sua visita in Italia del 1938, aveva sguinzagliato i suoi uomini per scovare la preziosa reliquia e trafugarla allo scopo di assecondare le manie esoteriche che condivideva con Himmler e molti altri gerarchi nazisti, come paventava lo stesso arcivescovo di Torino, il cardinale Maurilio Fossati, in un testo pubblicato nel novembre del 1946 sul bollettino ufficiale della Curia sostenendo che anche se il sacro telo fosse stato «rispettato dalle bombe, non sarebbe forse stato rispettato dall’invasore che si affrettò a chiederne notizie».
Era noto, infatti, che reliquie tradizionalmente connesse con la Passione di Cristo facevano gola a Hitler al punto che, in seguito, riuscì a impossessarsi della Lancia di Longino custodita nel Tesoro imperiale di Vienna, incaricando il colonnello delle ss Otto Rahn di cercare persino il Santo Graal. Tuttavia, l’improvvisa irruzione nel settembre del 1943 all’interno del santuario di Montevergine delle truppe naziste, va piuttosto interpretata come una normale perquisizione. Se infatti i nazisti fossero stati davvero convinti di aver fiutato la pista giusta per ritrovare la Sindone di certo non avrebbero esitato a mettere a soqquadro l’intero complesso monastico per trafugarla.
In realtà, come attesta anche il solerte cronista benedettino, poiché il 14 settembre 1943 i caccia bombardieri b–26 americani avevano sganciato sulla città di Avellino varie decine di bombe di medio calibro, i militari tedeschi sul far della sera vedendo dei riflessi di luce che partivano proprio dal santuario, subito si precipitarono a Montevergine immaginando che quelle fossero delle segnalazioni a opera di qualche spia che si celava all’interno del monastero, mentre si trattava semplicemente dei riflessi lunari sui vetri delle finestre. Alle 23 giunse improvvisamente a Montevergine un’automobile con a bordo alcuni militari tedeschi i quali, poiché il portone esterno era sbarrato, suonarono insistentemente il campanello.
Nel frattempo i due padri che erano di vedetta sull’Osservatorio si accorsero dell’insolita visita e subito corsero ad avvertire il superiore, visto che l’abate si trovava ancora in missione a Zagabria. Così, ancora ignari di quanto stava loro per accadere, i monaci si precipitarono ad aprire. Furono accolti dai tedeschi con i fucili spianati. I soldati fecero intendere di aver visto dalla pianura dei minacciosi riflessi di luce a Montevergine, per cui avevano pensato che tra le mura del monastero benedettino si nascondessero delle spie; aggiungendo con un tono che non ammetteva repliche: «Noi già volere sparare (...) ma noi essere buoni e quindi avvertire. Luce essere là e così dicendo indica[rono] l’Ospizio Nuovo. Là vedere altra volta luce, già puntato cannoni, sparare!».
A distanza di pochi giorni, il 20 settembre successivo, altri quattro tedeschi si presentarono al santuario con l’intento di perquisire i locali. A ogni modo, dopo essersi «affoga[ti] in quattro bicchieri di ottimo vino» ripresero la strada del ritorno. Poco dopo ne giunsero altri sempre in cerca di qualcosa di cui impossessarsi. Tuttavia, il loro bottino fu magro, poiché non riuscendo a trovare granché, si dovettero accontentare di alcune sigarette. Comunque, nonostante ciò, il segreto non trapelò. I numerosi pellegrini che affluivano al Santuario non nutrirono il benché minimo sospetto che in quel luogo fosse custodito il sacro lenzuolo.
Alla fine della guerra, dopo il referendum istituzionale e la proclamazione della Repubblica, il 28 ottobre 1946, come disposto dalla Real casa, la Sindone fu riconsegnata al cardinale Fossati che, accompagnato da monsignor Brusa, giunse a Montevergine «per riportarla, sempre in forma riservatissima, nella sua cappella in Torino».

(©L'Osservatore Romano 29 dicembre 2011)